Arte & Mostre

Palazzo Pitti svela il suo scrigno

di Rossella TarchiFrancesco Bocchi nella sua guida alle Bellezze della città di Firenze, edita nel 1591, parla di Palazzo Pitti come di una fabbrica «che di magnificenza non cede a nessuna altra». Eppure per i fiorentini, ma anche per i numerosi turisti che ogni anno lo visitano, Pitti è un «bel palazzo», sede di numerosi ed importanti musei (Galleria Palatina e Appartamenti Monumentali, Galleria d’Arte Moderna, Museo degli Argenti, delle Porcellane, del Costume). Ma pochi – forse – sono coscienti che Pitti è molto di più: è un unicum nella storia dell’architettura e più in generale della storia dell’arte. Con il suo maestoso palazzo e l’immenso giardino di Boboli, Pitti è stato il prototipo della reggia moderna, luogo privilegiato del gusto, della storia e dei fasti di principi, granduchi e sovrani. Da più di dieci anni il complesso di Palazzo Pitti è oggetto di un fenomeno che il soprintendente del Polo museale fiorentino Antonio Paolucci definisce l’emersione di Pitti, un processo lungo di interventi strutturali, museografici e di riqualificazione degli spazi, come la trasformazione del giardino di Boboli – avvenuta non senza polemiche – in un museo accessibile solo con biglietto di ingresso, che tuttavia lo ha salvato da un’usura indiscriminata e non più tollerabile. Tutto questo lavoro trova ora nella mostra Palazzo Pitti, una reggia rivelata, piena visibilità. La mostra, che si è aperta il 7 dicembre e lo resterà fino al 31 maggio 2004, paradossalmente non sembra tale poiché chi entrerà a Palazzo Pitti avrà l’impressione di entrare nella reggia che ha già visitato e che conosce da sempre. Ma non è così. Il riallestimento che ora il visitatore può godere, gli darà modo di capire l’unitarietà di uno straordinario scrigno di tesori ricollocati nell’originaria posizione o riscoperti e restaurati e di comprendere anche come è nato Pitti, qual è stata la sua storia, le modifiche, gli accrescimenti, il rapporto spaziale e urbanistico con la città, il ruolo europeo che ebbe il dominio fiorentino, il suo prestigio, la sua influenza internazionale.

Ideata e curata da Detlef Heikamp e da Amelio Fara, l’esposizione è davvero un’affascinante riscoperta, che ricrea il dialogo tra la statuaria (troppo spesso messa in disparte), la pittura, gli spazi architettonici interni ed esterni. E proprio dall’esterno la visita può iniziare con la «rivelazione» della Grotta Grande del giardino di Boboli progettata da Bernardo Buontalenti e ora nuovamente riaperta al pubblico, dopo tempo immemorabile. Un’emozione straordinaria che ci riporta a quel gusto manierista di ricreare la natura in modo artificiale, con i suoi giochi d’acqua, le luminosità suggestive, i suoni; un luogo armonioso, scrigno di capolavori unici come la Venere in marmo del Giambologna, uno dei nudi femminili più belli dell’arte italiana.

Dalle meraviglie della Grotta, passando per il cortile, dove segnalazioni permettono di individuare le nuove statue ricollocate, si accede alla reggia; e salendo lo scalone monumentale, dove troneggia un altorilievo raffigurante La Fama opera di straordinaria bravura di Raffaello Curradi, si arriva alla Sala Bianca dove, fra gli abbaglianti nitori degli stucchi e delle luci, sono stati «concentrati» capolavori dell’arte: uno fra tutti l’Arringatore, scultura bronzea etrusca che Cosimo I teneva nella sua camera da letto al piano terreno di Palazzo Pitti. E così nelle sale successive della Palatina troveremo altre sculture, il Nettuno di Stoldo Lorenzi (già in Boboli) sotto i tumultuosi affreschi di Pietro da Cortona nella Sala di Marte, un Ganimede cinquecentesco nella Sala delle Nicchie, la Venere italica di Canova nella Sala di Venere. E oltre cento sono le statue che formano l’ideale itinerario della mostra, molte delle quali restaurate grazie al finanziamento dell’Ente Cassa di Risparmio di Firenze (circa 1 milione e 300 mila euro), che si è accollata anche le spese per lo spostamento delle sculture, la messa in opera di copie e calchi per le statue di Boboli che non torneranno più nel giardino.

Una parte dell’esposizione è inoltre dedicata all’architettura del Palazzo, alla disposizione di Boboli e al loro rapporto urbanistico e difensivo con la città. Le indagini condotte da Amelio Fara – curatore di questo settore della mostra – hanno permesso la ricostruzione del tracciato planimetrico delle fortificazioni, il rilievo delle gallerie presenti nel Giardino di Boboli e – non ultima – l’elaborazione dei profili altimetrici di tutti i progetti relativi alla sistemazione di Piazza Pitti che sono stati elaborati nel corso dei secoli dal Cinquecento all’Ottocento, da quello del Buontalenti a quello di Giuseppe Cacialli.

La scheda della mostra

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