Cultura & Società

Acqua: chiara, fresca… e cara ai cristiani

di Carlo Nardi

«Umile acqua» viva. «Per battezzare!» Si dice rispondesse un rubicondo, un po’ trasandato priore di campagna, alla domanda: «A che serve l’acqua?». Risposta meravigliata, concisa, perentoria. Del resto che per battezzare ci voglia l’acqua è un’ovvietà spontanea e immediata. E anche giusta.

In effetti, il «battesimo» presuppone una «immersione»: il greco baptízein, «battezzare», proviene da báptein, «immergere». I tedeschi Taufe e taufen, «battesimo» e «battezzare» danno in italiano «tuffo» e «tuffare». In latino, gli scrittori più antichi usano tinguere, che rimanda al nostro «intingere».

Mentre per gli altri sacramenti la chiesa utilizza materia lavorata dall’uomo, l’acqua per il battesimo, primo sacramento e porta della salvezza, è materia non manipolata. Nella chiesa degli Atti degli apostoli e immediatamente seguente si preferiva l’acqua corrente, raccomandata dalla Didachè. Nel vangelo della Samaritana il «pozzo» a cui la donna era andata ad attingere rimanda ad un’altra «sorgente di acqua, quella che zampilla per la vita eterna» (Gv 4,10), e che Ignazio di Antiochia dice di sentire «gorgogliare» in sé, la vita della grazia del battesimo. In seguito si adattarono a fonti battesimali anche i bagni in cui gli antichi passavano gran parte del pomeriggio a rilassarsi. Già, proprio un’espressione che dopo una doccia o un bagno ci sfugge facilmente dalle labbra, «mi sento rinascere», fa davvero pensare. Al battesimo.

Storia dell’acqua. Mito e salvezza. Difatti, l’acqua ha molto da dire. A maggior ragione l’acqua «materia» del battesimo, come dicevano con la teologia i catechismi. Ha molti significati. Intanto, dove c’è lei, c’è vita. Nelle riflessioni degli antichi greci, gl’inventori della filosofia, l’elemento tende a identificarsi con la «materia madre», il «sostrato» che si riteneva permanesse in tutte le ulteriori differenziazioni (Aristotele).

Secondo Omero, dèi e uomini nacquero da Teti, ninfa marina, anzi il mare stesso. E non ha tutti i torti. La vita viene dal mare: grosso modo pesci, poi rettili, poi mammiferi, tra i quali qualcuno, come i delfini o le balene, c’è voluto restare o ritornare. Talete, il tradizionale iniziatore della filosofia, poneva l’acqua come «principio» (arché), causa e al tempo stesso garanzia dell’esistenza di tutte le cose, realtà «umile», come dirà San Francesco, forse perché capace di assumere tutte le forme.

Nell’Antico Testamento l’acqua è elemento primordiale già nella Genesi: «sulle acque caotiche» «si librava lo Spirito di Dio», principio fecondante, vitale, strutturante, significativo rispetto alle acque informi ma pronte a diventare tutto (Gen 1,2). Il diluvio è la morte di un mondo e la nascita di uno nuovo con l’alleanza attraverso l’arca, prefigurazione della Chiesa (Gen 6-9), barca di salvezza (2 Pt 3,20). Poi c’è il passaggio del Mar Rosso nell’esodo del popolo di Dio dalla schiavitù dell’Egitto alla sua liberazione. Anche lì acqua è morte e vita nello stesso tempo, si direbbe per una morte alla morte e una vita oltre ogni attesa, specialmente in riferimento alla pasqua di Cristo e nostra, nel battesimo, come ricorda la liturgia. Penso al preconio pasquale, – lo si ode, una volta entrati in chiesa finalmente illuminata nella veglia pasquale –, e alla benedizione del fonte. Il battesimo attua la pasqua dell’Antico Testamento nella nuova pasqua cristiana, efficace in virtù dello Spirito di Dio mediante il segno dell’acqua.

Acqua e Pasqua. Ora, nell’antichità cristiana c’erano due concezioni della pasqua. Talvolta la pasqua è passio «passione», secondo una etimologia popolare, per cui si pensava erroneamente che il greco páscha derivasse da páschein, «soffrire». In questa logica il battesimo diventa partecipazione alla passione e morte di Cristo: «la vita e la morte si sono affrontate in un prodigioso duello: il Signore della vita era morto. Ora, vivo, trionfa», nella sequenza pasquale. Ma c’è anche la pasqua intesa come transitus, «passaggio», secondo la vera etimologia e una lettura più corretta dell’esodo: è il «passaggio» dell’angelo di Dio per far «passare» il popolo dall’Egitto, luogo di peccato, idolatria e morte, alla libertà e dignità di popolo di Dio. Il battesimo è il nostro esodo, il nostro «passaggio» alla vita di Dio nella partecipazione alla passione di Cristo.

All’itinerario battesimale rimanda la struttura dei mosaici del battistero di San Giovanni in Firenze: c’è la creazione a partire dal caos, dal «disordine» (ataxía) dello «spazio» (chóra) indifferenziato, all’«ordine» (táxis) e quindi alla vita, per dirla con Platone, e ancora dalla morte in Egitto alla vita, dalla schiavitù del peccato alla libertà. Il battesimo, pasqua di Cristo da morte a vita, diventa pasqua del cristiano da uomo vecchio a figlio di Dio.

Il battesimo contiene tutto: dal mistero cosmico della creazione alla storia della salvezza; dall’esodo alla pasqua di Cristo, attuale nell’«oggi» del culto in vista della pasqua eterna. Clemente di Alessandria negli Estratti profetici intravedeva una «pasqua in atto» nel cammino dell’uomo verso la sua divinizzazione. Anche Dante nel Purgatorio alla base della scansione penitenziale («sette P ne la fronte mi descrisse col punton della spada»: IX,12-13) pone un riferimento battesimale, richiamato dal bagno nel fiume Lete (XXXI,91-102). Già implicito nel discorso di Gesù a Nicodemo, il battesimo è un entrare nel grembo materno, il fonte battesimale della chiesa, per una nuova nascita (Gv 3,1-13).

Un anticipo al Giordano. Perché nei battisteri, in prossimità del fonte battesimale, c’è spesso raffigurato San Giovanni che battezza Gesù? Che ha a che vedere il battesimo amministrato da Giovanni come segno di penitenza e preparazione alla venuta del Messia col battesimo che abbiamo ricevuto noi? Che rapporto c’è tra il battesimo che anche Gesù ha voluto ricevere, senza averne bisogno, col nostro battesimo, reso efficace dalla sua incarnazione, morte e risurrezione, e pertanto da lui disposto e, come si dice, istituito (Mt 28,19)?

La somiglianza degli atteggiamenti dice qualcosa, ma non spiega il perché. Qualcosa ci dice la storia dell’interpretazione. Secondo antichi scrittori cristiani, i cosiddetti Padri della chiesa, Gesù si sarebbe immerso nelle acque per santificarle. L’idea va collegata alla concezione piuttosto sospettosa dell’acqua nel mondo ebraico. Si riteneva il mare abitato da mostri demoniaci. Tra questi il leviatano (Gb 40,25), raffigurato in molte rappresentazioni orientali del battesimo di Gesù, è un drago acquattato nei gorghi. Gesù si sarebbe immerso nel Giordano per purificare le acque, sgominando i demoni degli abissi, e per abilitarle alla nostra santificazione (Ignazio di Antiochia, Agli Efesini 18,2; Giustino, Dialogo 88Estratti profetici 7,2).

Senonché ai Padri greci il mare piaceva. Greci come l’antico Ulisse, avevano con le acque, specialmente del mare, una certa familiarità. Lo chiamavano póntos, che ha la stessa origine del latino pons, il nostro «ponte». Per i greci il mare, in qualche modo addomesticato, diventa mezzo di comunicazione. A maggior ragione, acque tempestose, anzi diaboliche diventano atte a santificare. Gesù le ha sanate e santificate per noi. Così il vescovo Gregorio di Nazianzo, in una predica per la festa del battesimo di Gesù, l’Omelia sulle sante luci, in occasione di una luminaria esprimeva i motivi di quella gioiosa luminosità.

Gesù «spugna»? Verso la croce e la luce. Eppure il puro e semplice contatto fisico di Cristo con le acque non spiega a sufficienza che le abbia rese materia per il nostro battesimo.

Giovanni che battezzava chi veniva da lui per confessare i propri peccati e cambiar vita, al vedere Gesù, domanda: «Ho bisogno io di essere battezzato da te e vieni tu da me?» (Mt 3,14). Anche con la risposta: «Conviene che così adempiamo ogni giustizia» (Mt 3,15) e con l’atto di mettersi tra peccatori Gesù si dichiara disponibile ad assumere su di sé tutti i peccati del mondo, come appare dalle parole di Giovanni: «Ecco l’Agnello di Dio, ecco colui che prende su di sé, che si sobbarca e quindi toglie il peccato del mondo» (Gv 1,29). È il misterioso Servo di Dio «trafitto per i nostri delitti» (Is 53,5), venuto «per dare la vita in riscatto per le folle» (Mt 20,28), «giustificate gratuitamente per la sua grazia, in virtù della redenzione da lui realizzata» (Rm 3,24). A questo proposito è illuminante l’episodio del ministro della regina Candace: non comprende finché non sopraggiunge il «diacono» Filippo a spiegargli che la profezia di Isaia (cap. 53) si è realizzata in Cristo, e l’effetto è la sua richiesta del battesimo: «Che cosa mi impedisce di essere battezzato»? (At 8,36)

Gesù ha santificato le acque per la sua disponibilità, manifestata nel battesimo nel Giordano, ad assorbire tutti i nostri peccati, e a distruggerli in sé sulla croce e in noi nel nostro battesimo. Una bambina, ormai diversi decenni fa, a catechismo osservò: «Allora Gesù è stato come una spugna». Ci aveva azzeccato abbastanza.