Cultura & Società

Alfredo Martini, una volata lunga 90 anni

di Simone Spadaro

I novanta anni di Alfredo Martini sono anche novanta anni di storia del ciclismo italiano. Sono pochi coloro che possono raccontare, con saggezza e sapienza, cos’era il mondo delle due ruote prima della Seconda Guerra mondiale e come si è sviluppato questo sport, divenendo fenomeno di massa, grazie alle imprese dei vari Bartali, Coppi, Magni, Moser, Saronni, Bugno e Pantani.

Schivo per natura, Alfredo Martini, da Sesto Fiorentino, è stato prima un discreto corridore che però non ha vinto moltissimo chiuso, com’era, non solo dai già citati Coppi, Bartali e Magni ma anche da altri grandi di oltre confine come Bobet, Robic, Van Steenbergen, Koblet e Gaul. «Mi difendevo, ma non ero un grande – spiega subito l’ex Ct azzurro – anche se ho vinto alcune classiche come il Giro dell’Appennino nel 1947, la mia vittoria più bella dopo 200 km. di fuga e, nello stesso anno, arrivai terzo al Giro dell’Emilia dietro Coppi e Bartali.

Nel 1949 fui di nuovo terzo nella famosa tappa Cuneo-Pinerolo al Giro d’Italia vinta da Coppi davanti a Bartali. Ho vinto il Giro del Piemonte nel ’50 e, lo stesso anno, arrivai terzo in classifica generale al Giro d’Italia dietro Koblet e Bartali. In quel Giro tenni la maglia rosa per un giorno e vinsi la tappa Salsomaggiore-Firenze con arrivo di fronte allo Stadio comunale e, ancora, terzo arrivai al Giro della Svizzera l’anno dopo dietro Kubler e Koblet.

Grande soddisfazione fu poi essere scelto dall’allora Ct Alfredo Binda come componente della squadra azzurra per i mondiali. A quel tempo erano solo sei i ciclisti chiamati a far parte del team italiano. Fui chiamato nel ’49 a Copenaghen, nel ’50 a Moorslede in Belgio e l’anno dopo a Varese. Ho partecipato anche a due Tour de France, quelli vinti da Coppi nel ’49 e nel ’52». Binda è stato un po’ il primo maestro di Martini: «Me lo ricordo ancora quando lo vidi passare in testa sulla salita delle Croci di Calenzano. Io avevo otto anni ed avevo una bicicletta che mio padre, che lavorava alla Ginori, mi comprò con grandi sacrifici.

Da Ct – aggiunge – mi chiamò in nazionale per fare da mediatore tra Bartali e Coppi». Ma l’ex azzurro ricorda anche un altro epico corridore, Girardengo. «Fu lui ad inventare uno stile di vita adatto ai ciclisti. Stava sempre molto attento all’alimentazione e poi – racconta – aveva due occhi così vivaci e maliziosi che, con uno sguardo, ti convinceva a fare una pedalata di 200 chilometri».

Martini ha vissuto grandi dualismi. Quello tra «Ginettaccio» ed il «Campionissimo» Coppi rimane nella storia. «Tra loro c’era molta rivalità», conferma l’ex Ct. «Si stimavano ma non andavano mai a prendere un caffè insieme. Anche quando eravamo insieme ai Mondiali o al Tour uno stava in cima ed uno in fondo al gruppo. Non me la sento di dire chi, tra i due, era il più forte – aggiunge Martini – anche perché Bartali era più resistente ai disagi della corsa. 350 chilometri in un giorno neanche lo scalfivano. Coppi era più veloce: vinceva le cronometro e fece il record dell’ora. Correndo con loro mi convinsi che avrei fatto bene come selezionatore perché mi piaceva studiare le strategie in corsa, le tattiche da adottare. Magni, che era sempre imprevedibile e fu il terzo incomodo tra i due, si confidava con me. Mi chiedeva consigli su quando attaccare Coppi e Bartali e spesso riuscì a beffarli. Fu lui che, da Presidente della Lega ciclistica, chiese a Rosoni, allora Presidente della Federazione, di chiamarmi per sostituire Nino De Filippi».

Prima dell’approdo come selezionatore azzurro Martini lavorò come Direttore sportivo e riuscì a far vincere il Giro d’Italia 1971 allo svedese Gosta Petterson poi, come raccontato, la chiamata in federazione. In ventitré anni da selezionatore azzurro, dal 1975 al 1997, l’Italia ha vinto sei volte i Mondiali. Con Francesco Moser, nel 1977, a San Cristóbal (Venezuela), Giuseppe Saronni, nel 1982, a Goodwood (Gran Bretagna), Moreno Argentin, nel 1986, a Colorado Springs (Stati Uniti), Maurizio Fondriest, nel 1988, a Renaix (Belgio), Gianni Bugno, nel 1991, a Stoccarda (Germania) e nel 1992 a Benidorm (Spagna). «Ma ricordo anche sette secondi posti e sette terzi posti. A volte non abbiamo vinto un mondiale per cinque centimetri», precisa Martini che però non si esprime sul mondiale più bello.

«A volte siamo arrivati secondi per poco accorgimento ma tutti hanno corso talmente bene, come nel ’78 in Germania a Nurburgring, che è come se si fosse vinto. È chiaro che la volata, anzi la «fucilata», di Saronni nell’82 a Goodwood è rimasta nella storia». Anche Martini, da Ct ha avuto a che fare con una forte rivalità quella, appunto, tra Moser e Saronni. «Sceglievo sempre il momento giusto per parlargli – racconta – ed anche se tutti e due volevano fare il capitano, entrambi capivano che dovevano collaborare e che sceglievo il leader in base al percorso ed al tipo di arrivo».

Martini ha avuto in squadra anche Pantani. «Arrivò terzo in Colombia, nel ’95. Ero un ragazzo un po’ chiuso e dovevi saperlo prendere – aggiunge Martini – anche perché non è facile essere campioni sulla bici e nella vita di tutti i giorni. Ha avuto vicino dei mercenari di veleni. Gentaglia che non gli ha fatto del bene». Il problema doping ha fatto tanto male al ciclismo.

«La piaga del doping nel ciclismo ha fatto clamore ma l’abbiamo combattuta. In altri sport la si è presa meno seriamente. Noi uomini di ciclismo – confessa l’ex azzurro – sappiamo di avere un debito verso il nostro pubblico ma poi quando, come l’anno scorso, vedi vincere Basso al Giro d’Italia e Nibali alla Vuelta, ti viene da dire: queste vittorie sono un risarcimento verso chi ci segue».

Un pensiero per questi 90 anni. «Mi sento onorato e imbarazzato. Ho ricevuto tante lettere e telegrammi. Spero di aver fatto qualcosa per il pubblico che ama la bicicletta».

L’ultimo pensiero di Martini è per Franco Ballerini. «Il Mondiale del 2013 deve essere dedicato a Franco. Un uomo con tante belle doti. Sono contento che si correrà tra le nostre strade – conclude – ed è una grande soddisfazione per tutta la Regione».