Cultura & Società

Barnaba, il santo di Campaldino

di Elena GiannarelliSabato 11 giugno 1289 fu una giornata memorabile per Firenze. Si stava combattendo nella piana di Campaldino una battaglia decisiva fra i guelfi fiorentini – c’era anche un giovin poeta fra i feditori a cavallo, un certo Dante Alighieri di cui tutti, prima o poi avrebbero sentito parlare – e i ghibellini aretini. Vinti dalla tensione e forse dal caldo, i Priori della Signoria caddero addormentati. Ad un tratto l’uscio della camera in cui riposavano venne percosso ed una voce gridò: «Levàte suso, che gli aretini sono sconfitti». Era il miracoloso annuncio della vittoria: miracoloso non solo per l’evento in sé, ma perché nell’anticamera dei Priori non c’era nessuno. Quella voce veniva dal cielo. Si consultò il calendario: era la festa di san Barnaba. Non ci furono dubbi: era stato lui a propiziare quella straordinaria impresa e con ogni probabilità sua la voce che aveva destato i magistrati. Fu così che egli ebbe la patente di santo guelfo, che a Firenze, in via Guelfa, appunto, gli fu dedicata una splendida chiesa e che ogni anno l’11 giugno si corse un palio in suo onore. I fiorentini sono gente di raffinata crudeltà: gli affreschi del sacro edificio legato alla vittoria su Arezzo furono commissionati a Spinello Aretino. Così racconta nella sua Cronica Giovanni Villani, spiegando il motivo della devozione di Firenze per l’antico santo, una personalità di grande rilievo nel cristianesimo delle origini, la cui esistenza può essere agevolmente ricostruita attraverso gli Atti degli Apostoli e il corpus paolino.

Nato a Cipro da famiglia agiata di ordine levitico, si convertì a Gerusalemme e da Giuseppe divenne Barnaba, ossia «figlio dell’esortazione». Subito mise in vendita il suo campo per portare il ricavato alla comunità dei credenti. Quale evangelizzatore venne mandato ad Antiochia per osservare come si inserivano nella chiesa locale i «greci», ossia gli ellenisti convertiti al credo di Cristo; ebbe successo (At 11,23) e i proseliti furono ancora più numerosi. Accolse l’ex persecutore Saulo, quando quest’ultimo si recò a Gerusalemme e lo presentò agli apostoli, narrando il fatto della via di Damasco e garantendo per lui (At 9,27). Poi gli eventi precipitarono e il futuro «apostolo delle genti» dovette fuggire per il complotto dei Giudei decisi ad ucciderlo. Qualche tempo dopo Barnaba andò a cercare lo stesso Paolo nella natia Tarso in Cilicia, per portarlo ad Antiochia di Siria a svolgere attività di evangelizzazione; al momento di una grave carestia in Gerusalemme, forse nel 42, fu lui a portare soccorsi da questa città (At 11,30).

Le missioni di Paolo, Barnaba e del cugino di quest’ultimo Giovanni Marco si svilupparono da Cipro verso la Panfilia, la Cilicia, la Licaonia (At 13-14). Qualcosa non andò per il verso giusto fra i tre diversissimi personaggi e Giovanni Marco abbandonò la compagnia in Panfilia. A Listra i pagani presero i missionari per dèi: videro in Paolo Hermes (Mercurio), il più eloquente dei due, e in Barnaba Zeus, forse per l’imponenza fisica. Il sacerdote voleva offrire loro un sacrificio ed i due missionari fecero fatica a calmare il popolo (At 14).

Ben presto il discepolo Paolo superò il maestro Barnaba, che progressivamente perse importanza. Quando i due tornarono ad Antiochia Barnaba fu coinvolto nella questione spinosa dell’ammissione dei Gentili nella Chiesa. Entrambi si opponevano a che questi fossero circoncisi secondo la legge di Mosè (At 15,1). La Chiesa di Antiochia li inviò al concilio di Gerusalemme ed i due ebbero largo spazio.Di nuovo insieme, decisero di tornare a visitare le comunità fondate durante il primo cammino. Barnaba voleva portare con sé Giovanni Marco; Paolo vi si oppose (At 15, 37-38). Si separarono: Barnaba si imbarcò per Cipro, Paolo e Sila passarono attraverso Siria e Cilicia, prendendo poi altre strade. L’Apostolo delle genti tuttavia conservò sempre stima per il suo antico compagno di missione. Sui motivi della rottura egli fa udire la sua voce in Gal 2,11-13.

Poi la figura del missionario sfuma nella leggenda. Tra gli Apocrifi del Nuovo Testamento si conservano un Vangelo di Barnaba e gli Atti di Barnaba, uno scritto tardo, di sec. V, che ne narra l’apostolato a Cipro e il martirio per mano dei Giudei. Questi, invidiosi delle conversioni da lui operate, lo lapidarono ed arsero. Le spoglie sarebbero state ritrovate presso Salamina al tempo dell’imperatore Zenone, nell’anno 488 e l’apostolo avrebbe avuto sul petto una copia del Vangelo secondo Matteo copiato di sua mano.

La tradizione lo vuole autore dell’Epistola di Barnaba; a lui Tertulliano attribuisce l’Epistola agli Ebrei; c’è stato chi lo ha definito evangelizzatore di Milano, mentre le antiche memorie fiorentine gli attribuiscono lo straordinario annuncio della vittoria di Campaldino. Non c’è che dire: una bella carriera.