Cultura & Società

Dal porto di Livorno a mito della palla ovale

di Gianluca Della MaggioreOperaio al porto di Livorno. Magazziniere in una lavanderia di Pontedera. Impiegato in una ditta di plastificazione. Addetto alle consegne. Infine, capitano della nazionale di rugby che quest’anno al «Sei nazioni» (la massima competizione continentale), pur non brillando particolarmente, si è levata la soddisfazione di battere la pluridecorata Scozia. Ne ha fatta di strada, Andrea De Rossi, nato a Genova trentadue anni fa ma livornese a tutti gli effetti, rugbysta per passione e scelta di vita.De Rossi oggi gioca come flanker (terza linea) nel Ghial Calvisano, squadra del paese bresciano tra le più importanti della massima serie. Il Ghial dopo vari tentativi, è riuscito nemmeno una settimana fa a conquistarsi a Jesolo la Coppa Italia del rugby. Ma lui, De Rossi, allo Stadio di Jesolo – che ironia della sorte è intitolato alla livornesissima gloria del calcio Armando Picchi – non era con i compagni.

Già, perché il giorno prima era sceso in campo, con la maglia azzurra e i galloni di capitano, niente meno che al Millennium Stadium di Cardiff, uno dei templi del Rugby mondiale, «casa» di uno dei team più forti al mondo, il Galles di Steve Hansen.

Una storia singolare: dalle gru del porto di Livorno, allo scintillante rettangolo verde dello stadio gallese. Un bel salto: «Effettivamente prima di arrivare fin qui ho fatto un po’ di tutto – ci dice De Rossi, appena rientrato in Lombardia dalla trasferta nel Regno Unito – . Quando giocavo nella squadra di serie A2 del Rugby Livorno contemporaneamente lavoravo. Per qualche anno ho girato col furgone per le vie di Livorno facendo le consegne. Poi sono stato magazziniere in una ditta di lavanderia di Pontedera».Il faraonico mondo del calcio dista anni luce da questa realtà sportiva spesso snobbata dai circuiti mediatici. Dilettantismo fino al 2000, poi con l’entrata nel ghota del «Sei nazioni», la palla ovale nazionale passa nel mondo del semi-professionismo. Ma gli stipendi milionari dei calciatori sono lontanissimi. Il curriculum di De Rossi parla chiaro: «Dopo il lavoro a Pontedera sono entrato alla Dryplast, una ditta che si occupa di plastificazione, verniciatura e serigrafia, infine, nel ’98 sono approdato al terminal Sintermar nel porto di Livorno». Tra una gru e un container, tra una consegna e qualche scatolone da immagazzinare, Andrea trovava il tempo di allenarsi: «In quel periodo riuscivo ad allenarmi tre volte alla settimana: martedì, giovedì e venerdì, sempre dopo cena. In più riuscivo a ritagliare 45 minuti all’ora di pranzo per fare un po’ di palestra».

Un vero stakanovismo sportivo per mantenersi un fisico da mastino: 98 kg per 1,85 di altezza. Ma certe fatiche pagano: «Era da tempo che molti club della massima serie mi facevano la corte. Poi nel 1999, Mascioletti, ct della nazionale decise di convocarmi per il mondiale. Venne fuori una bella confusione – se la ride De Rossi – un giocatore di A2 convocato per un mondiale! Non era cosa da tutti i giorni. Da lì ho deciso che era giunto il momento di tentare il gran passo». Il rugbysta livornese esordisce in nazionale il 22 agosto 1999 a L’Aquila contro l’Uruguay: «Quella è stata la molla per tentare l’avventura in un club blasonato come il Calvisano. Per fortuna qui mi sono trovato benissimo».

Dopo una vita da sportivo-lavoratore, il rugby a tempo pieno. Ma la famiglia come l’ha presa? «Beh, sai – confida Andrea – quando prendi certe decisioni non sai dove ti porteranno. Mia moglie Paola ha capito che per me era l’avventura della vita e mi ha assecondato senza tentennamenti. Spesso si è anche sobbarcata settimanalmente i 300 chilometri da Livorno a Calvisano. Oppure sono io che al giovedì scendo in Toscana. Ma, credimi, ne vale la pena». De Rossi è padre di Diego da appena tre mesi, nel pieno della maturità umana e sportiva, non si è montato di certo la testa, rimane sempre il solito livornese compagnone: «È vero, è un po’ la caratteristica dei livornesi – commenta il capitano azzurro – fuori dal campo siamo uomini spogliatoio, dentro il campo mettiamo l’anima con aggressività e carisma».E il futuro cosa riserva, tornerai alle gru? «Per ora non ci penso. Penso all’oggi e mi ritengo fortunato perché sono molto contento di ciò che faccio». Da operaio a rugbysta di fama continentale, rimanendo se stessi: una bella storia di vita e di sport, lontana dai soldi e dai clamori dello sport-businness.

Il primato del portiere con la passione del mare