Cultura & Società

Firenze, torna in San Jacopo Soprarno il crocifisso «ritrovato»

La scultura, in legno di tiglio policromo di 145 cm di altezza, è databile alla seconda metà del XV secolo, e sia stilisticamente, sia per le modalità costruttive, è ascrivibile alla mano di un maestro nordeuropeo, come i Crocifissi Dolorosi presenti nella basilica di San Lorenzo e in quella di Santa Maria Novella a Firenze. 

Danneggiato seriamente durante l’alluvione, il Crocifisso fu ritirato nel 1970 per un eventuale restauro e portato ai laboratori della Fortezza da Basso. Da qui nel 1990 fu trasferito nei depositi del Rondò di Bacco a Palazzo Pitti. Durante l’inventariazione del patrimonio artistico in San Jacopo, nell’ambito della rilevazione dei beni culturali della Diocesi promossa dal card. Betori, non avendo più alcuna notizia su dove si trovasse il manufatto, se ne ricercarono tracce negli archivi della Soprintendenza per il Polo Museale e dell’Opificio delle Pietre Dure, che fornì l’indicazione della sua presenza nel deposito di Piazza San Felice. Il Crocifisso era in condizioni molto precarie, con cadute di superficie dipinta, parzialmente velinato per evitare ulteriori sollevamenti di colore, e pesantemente  offuscato nella policromia.

Il fondamentale contributo della Fondazione Florens ha permesso il restauro dell’opera che è stato eseguito nello “Studio Ardiglione” da Nicoletta Marcolongo e Angela Tascioni. L’intervento è stato diretto dal funzionario di zona della Soprintendenza speciale per il Polo museale e per il Patrimonio storico-artistico ed etnoantropologico della città di Firenze, Daniele Rapino.

La scultura era coperta da veline, al di sotto delle quali si intravvedevano ampie lacune a gesso; erano presenti diffusi sollevamenti degli strati preparatori e pittorici dovuti al ritiro del legno. Mancavano quattro dita della mano destra, le due ultime falangi di un dito della mano sinistra, ed una ciocca di capelli sulla parte destra; fenditure longitudinali erano evidenti sul costato la più importante delle quali partiva dal perizoma e saliva fino alla testa.

L’intervento, eseguito in poco più di un anno, dopo una lunga serie di indagini diagnostiche propedeutiche al restauro, ha permesso il recupero della cromia originale, risarcito le lacune di materia pittorica e alcune mancanze della materia lignea.

Risultano così ora pienamente leggibili le caratteristiche formali del Crocifisso che rivelano una mano certamente non fiorentina. L’espressione dolorosa del volto, dagli occhi socchiusi e la bocca semiaperta; le vene in rilievo; i chiodi che sollevano la carne delle mani, dei piedi e del costato sono tutti elementi che riportano alla tendenza stilistica di un autore nordico, dove la fase estrema del sacrificio del Cristo viene comunemente rappresentata nelle sue forme più dure, violente e dolorose.