Cultura & Società

Gli animali della Pasqua

Più ancora che per il periodo del Natale, le tradizioni accompagnano il mistero della Pasqua con una quantità di credenze, leggende, connessioni, scadenze, curiosità legate alla natura. Infatti l’impianto arcaico della festa si fonda sulla vegetazione, sul suo ritorno ad esplicarsi nella celebrazione della vita.

Gli animali sono presenti nella rappresentazione del Natale intorno alla grotta e addirittura nella grotta con il bue e l’asino che costituiscono una toccante nota di vicinanza del mondo animale all’evento della salvezza. Il pellegrinaggio alla grotta coinvolge poi in una miriade di leggende con ogni tipo di esseri viventi.

Il periodo pasquale, soprattutto la Passione e la Resurrezione, è ricchissimo di credenze che, a differenza del Natale, vedono la presenza più consistente delle piante che partecipano al dolore della Via Crucis e della Crocifissione e conservano in una metamorfosi il segno del contatto con il Divino. Questa preponderanza sugli animali è dovuta alle radici della festa che affondano nel tempo precedente il Cristianesimo, quando il periodo era punteggiato di riti volti a celebrare il ritorno della vegetazione. Flora e fauna sono però universi strettamente connessi e anche gli animali partecipano come metafore, simboli dell’evento pasquale, spesso ingenui come il pettirosso che toglie la spina dal capo di Cristo e conserva sul petto la macchia di sangue, o la rondine che accompagna il pianto di Maria.

Il patrimonio leggendarioCos’è questo materiale così curioso, infantile e profondo, ironico e devoto, fondato sull’osservazione delle cose e affacciato sul mistero? È un modo elaborato nei secoli dal mondo popolare per avvicinare, comprendere e vivere nell’esperienza concreta il mistero della vita avvicinandolo a quello della trascendenza religiosa. Un’elaborazione lenta, lunga, semplice alla quale molti oggi guardano con sufficienza, distacco e superiorità, senza sapere con cosa sostituire questo vuoto enorme che il mondo dell’industria e delle macchine sta creando sia nella realtà esteriore rendendoci indifferenti ed estranei alla vita naturale, sia in quella interiore dell’anima, rendendoci sconosciuti a noi stessi cancellando conoscenze, simboli e metafore.

Il fatto è che il mondo è il solo nostro specchio: la vita è un mistero che condividiamo con tutti gli altri esseri e la vediamo riflessa in loro e solo in loro nella nostra forma, mentre intorno lo spazio per ora è un deserto. Anche i fratelli nel guardarsi tra loro si comprendono e si conoscono nati da uno stesso stampo, rintracciando la stessa impronta.

Le credenze popolari hanno creato una rete di corrispondenze e di richiami tra le creature e tra queste e le cose, che dietro la celia e l’ironia, crea una familiarità tra l’uomo, il tempo e la natura: tre elementi che si vivono, ma non si capiscono. Questo a noi manca sempre di più e aumenta il senso di estraneità nei confronti del mondo e dei nostri simili, l’incomunicabilità che lamentavano gli esistenzialisti, ma che l’homo faber va costruendosi sempre più con le proprie mani.

Per mezzo di queste dicerie i bambini imparavano a conoscere le piante e gli animali, individuare la crescita dei germogli, lo sbocciare delle gemme nei loro tempi, si familiarizzavano con le mutazioni insensibili del corso del sole segnato dalle ombre, con l’apparire e lo scomparire delle costellazioni, le migrazioni degli uccelli, il letargo delle bestie, la loro apparizione e scomparsa seguendo cicli di nidificazione, di cova e di pascolo.

Si usa per questa operazione un verbo rivelatore che è familiarizzarsi, vale a dire: sentire quello che sta intorno come elemento di una famiglia, di una casa in cui tutto è conosciuto e riconoscibile.

La lucertolaLa lucertola s’affaccia al buco del muro al momento in cui sente suonare le campane della Pasqua: è un’ingenua diceria senza fondamento, certo insostenibile sul piano dell’osservazione sperimentale. Ma se da qui si passa al piano psicologico, mentale, spirituale, vale a dire a sentirsi essere vivente su questa terra d’orrori e di meraviglie, cosa che si vive come realtà inafferrabile, le cose cambiano e intervengono meccanismi analogici, simbolici, metaforici e viene in mente che lo schema con cui l’uomo vede quella lucertola, quell’essere preistorico che si ridesta alle campane della Resurrezione nel buio della terra, non è lontano da quello che spinge l’Innominato nel capitolo XXI de I promessi sposi, a uscire dal buio della sua malvagità, aprire sul mondo la finestra del suo covile, richiamato proprio dal suono delle campane: «Riconobbe uno scampanio a festa lontano. Di lì a poco sente un altro scampanio più vicino, anche quello a festa; poi un altro. – Che allegria c’è? Cos’hanno di bello tutti costoro?… Saltò fuori da quel covile di pruni; e vestitosi a mezzo, corse ad aprire una finestra e guardò… – Che c’è d’allegro in questo maledetto paese? Dove va tutta quella canaglia?».

Finisce il torpore invernale, l’inerzia e una vita nuova entra nell’anima, immagine di una rinascita, una ripresa spirituale che l’uomo sente con tutta la natura e, in Cristo che esce dalla tomba, tutti gli esseri sono pervasi da una nuova vita. Queste credenze si riferiscono a molti altri animali. Anche l’orso in montagna si dice che faccia la sua prima uscita fuori dal suo covile per la Candelora e si fa un’idea del tempo, ma la sua vera uscita è segnata dal suono delle campane pasquali, quando riprende possesso della foresta e della vita all’aperto.

Anche nella flora molte piante sono oggetto d’una simile credenza. L’Oxalis acetosella, delle Oxalidacee, si ridesta all’inizio di primavera emettendo le nuove foglie. Si vuole che appaia improvvisamente a fior di terra appena nelle chiese, secondo la liturgia pasquale, s’intona il canto dell’Alleluia, annunciante la resurrezione di Cristo, e quindi accompagna con la sua apparizione l’uscita di Gesù dal sepolcro. Ha nome Acetosella, ma viene chiamata Alleluia, Erba dell’Alleluia. Essendo perenne si ritira e sparisce col freddo. In Gran Bretagna è detta Bella addormentata, si trova nei prati sui bordi delle strade.

La rondine, la chioccia, la colombaLa rondine fa Pasqua con i suoi voli vertiginosi e i sui gridi festosi. Un tempo le cartoline d’auguri la raffiguravano sui campanili o intorno alle campane in un cielo primaverile un po’ rannuvolato, ma luminoso. Si vuole che faccia il suo ritorno e porti la bella stagione per la vecchia festa di San Benedetto, il 21 di marzo ma inizia a fare il nido sotto le grondaie (o lo ha già finito secondo la latitudine e la data della Pasqua) nella Settimana santa. Un nodo di leggende e di simboli stanno intorno a quell’uccelletto: nido-casa, ritorno-fedeltà, uovo-vita, nati-famiglia.

La simbologia abbraccia anche altri animali e soprattutto quelli da cortile nei quali si ha il rinnovamento annuale della vita. Della festa è divenuta immagine comune anche la chioccia con i pulcini: le uova le venivano poste un tempo sotto le ali in gennaio e alla fine della quaresima già si schiudevano. L’aria tiepida permette alle covate di uscire e già a Pasqua le chiocce scorrazzano per le aie circondate dai pulcini.

Anche l’uovo nel suo simbolo ripete lo schema di un mondo chiuso che si apre, di un germe che esce alla luce, di una vita segreta che matura e si manifesta, insomma di un rinnovamento materiale e spirituale. L’uovo poi, che sembra l’arcano scrigno dal quale sia destinata a uscire ogni forma di vita, assurge a simbolo universale ben più complesso e profondo, fino a rappresentare il punto di transizione dalla vita materiale a quella vegetale e animale, la fucina del mistero del perpetuarsi degli esseri.

Anche la colomba segue questo tipo di metafora ed è più adatto a rappresentazioni spirituali e raffinate per la sua grazia, la sua nobile distanza dal mondo umano e l’alta raffigurazione che trova in lei lo Spirito. Anche gli uccelli selvatici nel segreto delle nuove fronde, nei recessi dei boschi e delle selve, ripetono lo stesso rito mettendosi all’unisono con questo grande ritorno dal buio alla luce, dell’inerzia all’opera, dal silenzio al canto.

Il cuculo, vagabondo e parassita in questo coro d’attività e di opere, ha il suo da fare a deporre le uova nei nidi degli altri uccelli, cosa che non sembra tanto facile. Tuttavia, non facendo il nido, non covando, non alimentando la sua prole, deve sentirsi un po’ spaesato e, per conformarsi a quello che accade intorno, si dice che aspetti di sentire i doppi pasquali delle campane alle quali intona il suo canto e non inizia prima i suoi modesti ma inconfondibili gorgheggi.

L’agnelloGià con l’uovo e la colomba siamo nell’alta simbologia e in questa si entra ancor più con l’agnello, che ha antiche ascendenze nelle scritture sacre. Qui non è più remoto il buio, non è più lontana la tenebra e vago il terrore della morte, ma l’animale partecipa al cruento dramma della Passione, rappresentando la vittima e il Redentore.

Per molti popoli, soprattutto di pastori, l’agnello fu la vittima sacrificale che con più frequenza si offriva sugli altari. Nella Bibbia l’immagine è frequente tanto che Isaia (LIII, 7) parla di un Messia dolente, raffigurandolo nell’immagine d’un agnello condotto al sacrificio, carico dei mali e delle colpe dell’intera umanità. Più ancora la metafora è evidente nel racconto della morte dei primogeniti egizi (Esodo XII, 1-12) dove il sangue dell’agnello consumato, segnando gli stipiti delle porte, preserva gli ebrei dalla strage.

In base a questa tradizione Giovanni Battista (Giovanni I, XXIX) indica Cristo con le parole: «Ecco l’agnello di Dio che toglie i peccati del mondo». Dall’agnello mite, silenzioso, vittima della Passione, attraverso molti brani dell’Apocalisse, si passa all’agnello celeste, trionfante che rappresenta il Verbo risorto, con la croce e il vessillo della vittoria

Gli AgnusdeiL’agnello, sia come vittima sofferente che come figura trionfante di Cristo vincitore della morte, compare in moltissime leggende e raffigurazioni. Col nome Agnus Dei si indicano certe placche rotonde, o a forma di mandorla, in cera, recanti da una parte impressa l’immagine dell’Agnello, ritto oppure accosciato sopra il Libro dei Sette Sigilli dell’Apocalisse, mentre con la zampa anteriore tiene il vessillo e la Croce. Intorno sta la scritta: Ecce Agnus Dei, ecce qui tollit peccata mundi. Sull’altra faccia del medaglione sta l’immagine di uno o più santi, insieme allo stemma e il nome del pontefice regnante.

Gli Agnusdei rientrano nel numero dei sacramentali: cose, azioni, formule che, istituite dalla Chiesa, sulla traccia dei sacramenti, sono volte a produrre effetti spirituali: grazie, aiuto, protezioni. Sono, ad esempio, la preghiera (in particolare le principali), l’acqua benedetta, l’elemosina, la benedizione dei cibi e altro. Il loro uso antichissimo risale almeno al IX secolo, ma forse si usavano anche prima.

Nel VI secolo era uso consegnare frammenti del vecchio cero pasquale ai fedeli che li conservavano come protezioni dalle calamità naturali. Con quella cera, unita a cera vergine e altri ingredienti, sono preparati dai cistercensi i medaglioni benedetti alla messa del mercoledì in albis (dopo Pasqua) dal papa il primo anno del suo pontificato e ogni settimo anno successivo. Gli Agnusdei sono poi distribuiti il sabato in Albis nella Cappella Sistina. Si ritiene che derivino appunto dalla consuetudine di rompere il vecchio cero pasquale e distribuirne i frammenti ai fedeli.

A questi si aggiunsero col tempo altri simili medaglioni che a vario titolo, e con lo stesso nome, circolavano una volta un po’ dappertutto, conservati in reliquiari e luoghi del culto domestico. Nel Medio Evo si credeva che allontanassero incendi, malattie, pestilenze, pericoli del parto.

Si fa presto nel mondo popolare a scivolare dalla devozione alla superstizione e immaginette di metallo, o altro materiale, furono considerate agnusdei, usandole come veri e propri talismani per proteggere durante la gravidanza, preservare dalle infestazioni di spiriti impuri, dalla morte improvvisa, dalle epidemie, dalle insidie diaboliche, da incidenti.