Cultura & Società

Il miracolo di Gaudí

di Marco Lapi

Correva l’anno 1978. Un giovane scultore giapponese diretto a lavorare in Germania si concesse una deviazione a Barcellona. Giunto al cantiere della Sagrada Familia, il grande tempio progettato e portato avanti da Antoni Gaudí, più che dall’opera rimase affascinato dai grandi blocchi di pietra alla base del cantiere. C’era molto lavoro da fare lì e, in quel momento, solo dieci operai contro i 200 di oggi, tanto che «non si capiva se la stessero costruendo o distruggendo». Fu così che il venticinquenne Etsuro Sotoo, essendo «alla ricerca dell’anima della pietra» in quell’Europa «dove è sorta la civiltà della pietra», lasciò perdere la Germania per afferrare al volo l’occasione. Fatta domanda, venne assunto e cominciò la sua straordinaria avventura, che continua tuttora. La Sagrada Familia è l’ultima grande chiesa che viene costruita da oltre un secolo come una cattedrale medievale. Anche se non come cattedrale nasce (a Barcellona c’è già Santa Eulalia), ma come «tempio espiatorio» da innalzare nella parte nuova della città, grande esempio di moderno disegno urbanistico. Ma delle antiche cattedrali ha le caratteristiche, a cominciare dai tempi lenti di costruzione, perché secondo quanto disposto dal suo committente – il libraio nonché presidente dell’Associazione dei Devoti di San Giuseppe, José María Bocabella – i lavori avrebbero dovuto procedere solo grazie alle donazioni e offerte dei fedeli. Nessun intervento pubblico, quindi, né elargizioni di grandi mecenati bancari o industriali. Vale invece il ricavato dei biglietti venduti ai turisti, non poco se si pensa che, con due milioni e mezzo di presenze annue, è il monumento più visitato di tutta la Spagna.

Quando il 3 novembre 1883 gli fu affidato il cantiere, Antoni Gaudí – il grande architetto catalano che ha lasciato il suo caratteristico segno in molti altri edifici di Barcellona e soprattutto nel magnifico Parco Güell – aveva appena 31 anni. La posa della prima pietra ad opera del vescovo Urquinaona risaliva ad appena un anno e mezzo prima, al giorno di San Giuseppe del 1882, ma i contrasti insorti tra il primo progettista, Francesc del Villar, e l’Associazione dei Devoti fecero sì che quest’ultima optasse per affidare la direzione dell’opera al giovane genio. Che, all’epoca, non aveva certo fama di essere un bacchettone, quanto piuttosto un artista elegante e raffinato, d’idee vagamente anticlericali, in linea con le tendenze dei tempi. Ma la Sagrada Familia lo avrebbe assorbito a tal punto da cambiargli totalmente vita: vi lavorò infatti per 43 anni e per 12 di questi il cantiere divenne addirittura la sua casa. Punto di riferimento costante furono i padri di San Filippo Neri dell’oratorio situato nel cuore del Barrio Gotico, il quartiere medievale della città: e fu proprio andando come tutti i giorni verso questa chiesa che, nel giugno del 1926, fu investito da un tram. Lì per lì, vestito da povero com’era, non fu riconosciuto, e tre giorni dopo morì all’ospedale della Santa Croce, dove volle rimanere, in mezzo ai poveri, rifiutando sistemazioni e cure migliori. Il suo funerale fu seguito da un un corteo lungo un chilometro.

«L’amo d’aquesta obra no té pressa», era solito dire Gaudí nella sua lingua catalana: «Il padrone di quest’opera non ha fretta». E ancora: «Questo tempio sarà finito da San Giuseppe». Era cosciente, infatti, che non l’avrebbe terminato lui, e non solo per le difficoltà economiche che a un certo punto si evidenziarono. Non l’avrebbe proprio voluto fare, perché, diceva, non sarebbe stato «conveniente», per una chiesa dove tutto era «frutto della Provvidenza», inclusa la sua «partecipazione come architetto». «Bisogna sempre conservare lo spirito del monumento – aggiungeva – ma la sua vita deve dipendere dalle generazioni che se la tramandano e con le quali la Chiesa vive e si incarna».E così in effetti sta andando. Oggi Antoni Gaudí, di cui nel 2000 si è aperta la causa di beatificazione, continua a ispirare i lavori anche con la presenza della sua tomba nella cripta della grande chiesa che, se tutto va bene, sarà terminata tra venti o trent’anni. Non ha lasciato scritti e i suoi disegni originali sono andati perduti durante un incendio nel 1936. Ma Etsuro Sotoo, che sovrintende alle sculture della Sagrada Familia sotto la direzione generale dei lavori portata avanti fin dal 1989 da Jordi Bonet, ha carpito il segreto del grande architetto: «Quando ho voluto conoscere l’insegnamento dell’architetto catalano – ha scritto nell’ultimo numero dei Luoghi dell’Infinito – non sono riuscito ad avvicinarmi a lui. Dopo dodici anni di lavoro ho deciso di non guardare più Gaudí e guardare nella direzione in cui guardava lui. Allora ho capito che io ero dentro di lui e lui in me e ho percepito pienamente la libertà. Gaudí non mi ha dato ordini e mi ha chiesto di stargli accanto con la mia libertà. Se la direzione in cui camminiamo è la stessa del maestro siamo liberi».

Così nel 1991 Etsuro Sotoo – dopo essere passato attraverso il buddismo e lo scintoismo – ha chiesto il battesimo. Oggi anche sua moglie, la pianista Hisako Hiseki, è divenuta cristiana. Dopo due anni di catechesi a Barcellona, è stata battezzata a Roma dall’arcivescovo di Madrid, il cardinale Antonio María Rouco Varela, alla vigilia dell’udienza di Benedetto XVI al movimento di Comunione e Liberazione, cui poi ha partecipato, lo scorso 24 marzo, assieme al marito e agli amici della comunità ciellina di Barcellona. Per anni Etsuro aveva sperato che la moglie percorresse il suo stesso cammino di fede. Ma senza scordare che Gaudí gli aveva insegnato la pazienza di Dio: «L’amo d’aquesta obra no té pressa».

Due occasioni per incontrare lo scultore giapponese 

Sarà piazza Jacopo della Quercia ad accogliere a Siena, la sera di venerdì 15 giugno alle 21,30, Etsuro Sotoo per la prima delle due conferenze toscane in programma per il prossimo fine settimana. Un luogo significativo perché delimitato dal perimetro del «Duomo nuovo», l’ambizioso progetto incompiuto che avrebbe dotato la città di una delle più grandi cattedrali del mondo. Nello spazio della chiesa mai finita lo scultore giapponese parlerà quindi del «tempio espiatorio» in costruzione a Barcellona. L’incontro, promosso dalla «Compagnia di Carla» in collaborazione con Student Office Siena e con il Meeting di Rimini, è dedicato al tema «La bellezza, la città». Nella concezione e nell’esperienza artistica di Gaudí, la bellezza è «lo splendore della verità», e siccome l’arte è bellezza, «senza verità non c’è arte». E la strada per conoscere la verità è «conoscere bene gli esseri del mondo creato», guardare quindi alla natura come manifestazione di Dio, come testimoniano praticamente tutte le opere dell’architetto catalano. Durante la conferenza senese sarà presentato in anteprima «Dalla pietra al Maestro. Etsuro Sotoo lo scalpello di Dio», libro-intervista di Etsuro Sotoo e José Manuel Almuzara, a cura di Marta Graupera (Edizioni Cantagalli), in uscita per il Meeting di Rimini 2007.

La mattina successiva, sabato 16 alle ore 9,45, sarà il Salone dei Cinquecento di Palazzo Vecchio ad ospitare a Firenze Etsuro Sotoo, su iniziativa della Compagnia delle Opere toscana e il patrocinio del Comune, del Consolato onorario di Spagna e dei locali ordini professionali degli Architetti e degli Ingegneri. «Costruire una cattedrale, costruire la città» l’argomento fissato per l’incontro. La storia stessa delle nostre città toscane è la dimostrazione evidente che, come diceva Gaudí, non è l’artista a creare ma Dio attraverso di lui, così come oggi ne è simbolo universale la Sagrada Familia. E la strada per continuare a costruire, allora, non può che stare nella stessa intuizione di Etsuro Sotoo: essere capaci di guardare dove guardava chi ci ha preceduto in quest’opera.