Cultura & Società

Il ritorno degli Eroi

di Romanello CantiniL’Iliade è il poema della sfida, della vendetta, della forza. Anzi, come dice il suo primo verso, è il poema dell’«ira», cioè della violenza al suo eccesso. Il poema di Omero è la prima grande saga di guerra, ma una guerra fatta da eroi, cioè da re che, come dice Serpedonte «grosse greggi si mangiano e vino scelto» perché sono più valorosi degli altri. L’eroe insomma deve essere il primo a vivere perché può essere il primo a morire.

Così Omero mette in cima alla piramide dei valori umani l’arte di combattere e la nobiltà che ne deriva: due qualità che resteranno dominanti per secoli e che fonderanno una morale dura a morire.

Persino nel linguaggio questa epopea ci ha dato le parole del bene e del male: «agathos» in Omero significa nobile e prenderà il significato di «buono»; «aretè», che vuol dire «valore militare», vorrà dire poi genericamente «virtù».Più tardi sarà Nietzsche a dimostrare che da questo modello dell’aristocratico come archetipo ideale deriveranno gran parte dei termini positivi della nostra cultura («nobile», «gentile», «onesto», «cortese», «franco», «generoso», tutti originariamente sinonimi di aristocratico) e al contrario i termini negativi («plebeo», «volgare», «villano» ecc. come sinonimo dell’uomo comune). Se insomma l’impronta del poema omerico sulla nostra cultura è stata così forte e così lunga lo dobbiamo al fatto che l’Iliade è una delle componenti della cultura occidentale. Era il libro di testo che nelle scuole della Grecia, come il Corano nelle madrase di oggi, si imparava a memoria e con questa lezione si assimilavano non solo storie, ma anche valori e una rappresentazione del mondo come gloria del più forte e del più coraggioso. Se nel mondo antico la forza era coltivata, il suo contrario, la pietà, era punita e repressa come una variante della debolezza. Orazio uccide i tre Curiazi suoi cugini, ma anche la sorella che piange il fidanzato morto. Quinto Fabio Massimo costrinse tutte le madri dei caduti di Canne a non uscire di casa per un mese.Questo culto della battaglia e dell’eroe si perpetuò attraverso il poema cavalleresco. Per quindici secoli il poema epico sarà la interminabile telenovela con cui la classe feudale racconterà se stessa e la sua professione di guerra.

L’esaltazione dell’eroe come il nobile combattente entrerà in crisi solo con la nascita degli eserciti moderni e con gli ideali di uguaglianza del secolo XVIII. Dirà Montesquieu: «Per fare delle grandi cose non è necessario essere al di sopra degli uomini comuni, basta solo star loro accanto». E Voltaire: «Io chiamo grandi uomini tutti quelli che sono stati utili agli uomini. I saccheggiatori di province sono solo degli eroi».

Con il nazionalismo dell’Ottocento ci sarà una nuova vampata del culto eroico.

Ma l’eroe non è più lo stesso. Si è in buona parte imborghesito anche se ancora viene messo a cavallo sulle piazze e nei giardini pubblici. Gli «eroi» di Carlyle sono spesso statisti. D’Annunzio nella «Canzone degli eroi» infila Verdi accanto a Garibaldi.

Del resto è la guerra che ormai è fatta dalle masse e non dai duelli dei singoli. La battaglia di Maratona durò un’ora e costò agli Ateniesi 192 morti. La battaglia di Waterloo durò un giorno e fece 60 mila morti. La battaglia di Stalingrado durò sei mesi e fece 900 mila morti.

A partire dalla seconda metà del Novecento si tende ad emarginare sempre di più la cultura della guerra. Semmai si comincia a parlare di cultura della pace. L’Iliade viene letta quasi integralmente nella scuola media almeno fino alla riforma del 1962 («Tre anni di brutte traduzioni di poemi antichi», dirà don Lorenzo Milani). Poi entra a bocconi in una antologia epica che finirà quasi nel dimenticatoio.

Che cosa può dirci quindi oggi l’Iliade al di là del suo valore poetico e della violenza come pretesto di spettacolo?Molto poco a meno che non si legga attraverso quella straordinaria interpretazione che Simone Weil ne dette («L’Iliade poema della forza») proprio all’inizio della seconda guerra mondiale. La «forza» secondo la Weil è il dominio della materia sull’uomo prima ancora che si svegli lo spirito e il pensiero che pone limiti. Nell’Iliade ognuno vince anche quando sa che domani sarà perduto. Ognuno uccide anche se sa che domani sarà ucciso. Vincitori o vinti sono entrambi vittime di una condizione umana senza scampo.In un mondo dominato dalla violenza la vera poesia è quella delle sciagure umane che ne scaturiscono. E questa consapevolezza della condizione miserabile dell’uomo simile per la Weil a quella del libro di «Giobbe» è … «l’intuizione precristiana»… dell’Iliade perché «il sentimento della miseria umana è una condizione della giustizia e dell’amore». Per saperne di piùTallone• Nel film «Troy» non si spiega mai perché Achille fosse vulnerabile proprio nel tallone. In realtà Achille, figlio di Peleo e Teti, fu immerso da quest’ultima nel fiume Stige per renderlo immortale ma non gli bagnò il tallone. Come profetizzato, infatti, Achille morirà in guerra colpito al piede da una freccia. Omero• Tutto ciò che si sa di Omero è leggenda. Per quanto riguarda l’età in cui visse (e quindi l’epoca dell’Iliade e dell’Odissea) le date oscillano tra il XII e il VI secolo a. C., anche se le tesi più accreditate propendono per il VII o VIII secolo. Ad Omero, considerato il primo poeta epico, gli antichi attribuirono molte opere oltre all’Iliade e all’Odissea. L’Iliade, 24 libri in esametri, narra un episodio della guerra di Troia: il ritiro di Achille dal combattimento, irato contro Agamennone reo di avergli sottratto la schiava Briseide, e il suo ritorno alle armi quando il troiano Ettore gli uccide l’amico Patroclo. Achille verrà poi ucciso da Patroclo. L’Odissea, 24 libri in esametri, narra l’avventuroso ritorno in patria, dopo la caduta di Troia, di Odisseo, perseguitato da Poseidone. A Itaca l’eroe uccide i Proci, nobili ribelli pretendenti alla mano della fedele moglie Penelope. Eroe• Nella mitologia greco-romana, il termine eroe si riferisce ad un «figlio nato dall’unione di una divinità con un mortale e dotato di virtù eccezionali». Con il sostantivo eroe si intende anche «chi sa lottare con coraggio e generosità per un ideale».

La recensione del film «TROY»