Cultura & Società

Le polemiche sul Crocifisso

DI LORELLA PELLISCi sono polemiche che nascono, si sviluppano, crescono, talvolta invecchiano ma non muoiono mai. Di tanto in tanto si assopiscono, poi, a un certo punto riesplodono scuotendo l’opinione pubblica e catturando l’attenzione di giornali e tv. Ecco, la questione del Crocifisso «ingiuriato» a «Porta a Porta» dal signor Adel Smith è una di queste. Il presidente dell’Unione musulmani d’Italia (un’organizzazione estremistica e fortemente minoritaria che raccoglie circa 5 mila musulmani sui 600 mila presenti nel nostro Paese), invitato da Bruno Vespa alla sua trasmissione del 5 novembre, si è dichiarato contrario all’esposizione nelle scuole del Crocifisso definendolo «un cadavere in miniatura appeso a un pezzo di legno».

Immediatamente la querelle sulla presenza o meno del simbolo della Cristianità nei luoghi pubblici ha ripreso vigore. Le prese di posizione non sono mancate. Non solo. A combattere la presenza dei Crocifissi negli uffici pubblici ci si sono messi pure gli atei e gli agnostici con la campagna «Scrocifiggiamo l’Italia». L’iniziativa è stata illustrata, insieme ad altre, al 4° Congresso nazionale dell’Unione degli atei e degli agnostici razionalisti (Uaar) che si è svolto proprio a Firenze lo scorso fine settimana. L’obiettivo dell’Uaar è quello di rimuovere i Crocifissi dalle scuole, dalle sedi istituzionali e dai seggi elettorali.

E a proposito di scuola, nella media «Leonardo Da Vinci-Leopardi» di Avenza, in provincia di Massa Carrara, la preside ha fatto togliere da nove aule i rispettivi Crocifissi in nome della laicità della scuola e per non ledere la sensibilità delle minoranze. Pochi giorni prima una professoressa di italiano di una scuola media alla Spezia aveva fatto togliere il Crocifisso dal muro per non offendere un nuovo allievo, uno zingaro musulmano. Proteste dei genitori, imbarazzo generale, immediato giro di polemiche a mezzo stampa. E almeno il Cristo in croce della Spezia è riapparso sulla parete bianca.

«Dichiaro formalmente che chiunque sollevi o accetti una polemica del genere è un perfetto ignorante». Lo storico fiorentino Franco Cardini non ha dubbi. «Trovo che questa estensione della tolleranza fino ai limiti concettualmente possibili sia una contraddizione in termini, un paradosso che può essere divertente finché rimane a livello intellettuale ma poi diventa paralizzante e assolutamente stupido. Il Crocifisso rappresenta la nostra identità culturale profonda, non è soltanto un atto di fede. Quando io, occidentale credente, vado in una sinagoga o in una moschea, non mi sento offeso perché mi trovo in luoghi nei quali si nega la divinità di nostro Signore Gesù Cristo, ma capisco invece il lato positivo del mio porsi in rapporto con queste culture».

Ecco, per tutte queste ragioni il medievista ritiene che «certe polemiche, per chi le fa e per chi le prende sul serio, sono un’umiliazione per l’intelligenza. È bene che i Crocifissi restino dove si trovano; sono un’affermazione identitaria forte della nostra cultura che non riguarda solo i credenti».

E aggiunge: «Vogliamo veramente ridursi a un’epoca in cui, quando porteremo i bambini nei nostri musei, davanti a un’Annunciazione si debbano chiedere chi è quel giovanotto stranamente con le ali che fa una riverenza a una ragazza»? Vogliamo davvero arrivare a questi livelli? Cardini non ci sta. «Semmai bisogna che si moltiplichino i segni della diversità. Sarei contento se i nostri ragazzi imparassero, per esempio, che cos’è una Stella di Davide. Il togliere certi simboli – conclude – non è affatto un rispetto per gli altri ma un impoverimento della nostra cultura, un modo per impedire agli altri di accedere a un tassello in più di questo bellissimo infinito mosaico che la civiltà umana ha scritto nel mondo».

«Certo che è sbagliato togliere il Crocifisso perché siamo in una cultura che ha nel suo Dna una profonda radice cristiana, indipendentemente dal fatto che poi questo Cristianesimo debba essere vissuto individualmente». Ne è convinta Paola Ricci Sindoni, aretina, docente di Filosofia morale alla Facoltà di Lettere e filosofia di Messina.

«Fra le tre religioni rivelate ovvero islamismo, ebraismo e cristianesimo – spiega la filosofa – solo il cristianesimo dà un valore centrale alle immagini e questo perché la realtà viva dell’incarnazione pone Dio al centro di uno spazio e dà all’uomo la possibilità di realizzare dei simboli che possono rimandare alla stessa figura di Dio. E l’immagine che rappresenta in forma concreta una dimensione come quella del Crocifisso, mentre assume pieno valore nel Cristianesimo diventa incomprensibile per le altre religioni. E questo che vuol dire, che ci dobbiamo rinunciare?», si chiede Paola Ricci Sindoni. «No, perché è centrale per noi che la raffigurazione del Dio incarnato possa esprimersi nelle raffigurazioni anche artistiche più diverse».

Ma neppure in nome di un pluralismo religioso si può, secondo la professoressa, relegare il cristianesimo in una sfera del privato» perché la nostra cultura «è profondamente radicata nel cristianesimo e deve poter esprimere i suoi segni simbolici. Anche se li condividiamo a volte in maniera laica».

«Trovo questo tipo di polemiche su “Crocifisso sì e Crocifisso no” un po’ artificiose come pure artificiose sono le risposte che provocano». Secondo Luciano Martini, docente di Storia della Chiesa all’Università di Firenze, «bisognerebbe piuttosto cominciare a pensare cosa sono i simboli religiosi in una società secolarizzata come la nostra e al pluralismo ideologico e religioso con presenze religiose non cristiane che cominciamo ad avvertire sempre di più nelle nostre scuole».

Per il modo con cui affrontare oggi questo problema, Martini crede che «dovremmo affidarlo il meno possibile a imposizioni o di legge o di autorità superiore e sempre più all’espressione di valori condivisi e di discernimento delle singole comunità». E spiega: «Quando certi simboli sembrano offendere le minoranze occorre prima di tutto spiegare perché non offendono o in che senso pongono una differenza». D’altra parte, osserva lo storico della Chiesta, «anche quello della Croce sta diventando un simbolo piuttosto ambiguo. Mi colpisce il modo con cui si sia profondamente secolarizzato. Ci sono ostentazioni di croci nei gioielli che non credo abbiano molto a che vedere con l’espressione religiosa di chi li porta. Credo che in certe condizioni bisogna dunque essere molto flessibili nelle manifestazioni esteriori ma anche molto fermi interiormente».

Sulla presenza o meno dei Crocifissi nelle scuole o negli uffici Martini ritiene dunque che occorra «cercare di capire insieme cosa significa quel simbolo e poi decidere insieme se lasciarlo o meno. Come quando si arreda una stanza in base alle esigenze di tutti i componenti della famiglia». Ma attenzione. «Il cristiano può farsi da parte se capisce che quel simbolo non è condiviso ma a sua volta – precisa il professore – deve rendere chiaro con i modi e il discernimento opportuno che il farsi da parte del simbolo non è il farsi da parte di ciò che il simbolo significa per lui».

E il simbolo, ricordiamolo, può essere sì il Crocifisso ma anche il presepe e i canti natalizi. Tradizioni abbandonate negli ultimi anni in alcune scuole perché – si è detto – potrebbero turbare la sensibilità di chi non è cristiano. Ma come è possibile? Gli altri vogliono la loro identità e noi dobbiamo rinunciare alla nostra?

Cosa prevede la legge italianaDiversamente da quanto spesso si dice, la prescrizione che in molte sedi pubbliche e nelle aule scolastiche venga esposta l’immagine del Crocifisso o della Croce risale ad epoca precedente al Concordato del 1929 ( Regio decreto del 30 aprile 1924, n. 965 e del 26 aprile 1928, n.1297 per le scuole; ordinanza ministeriale 11 novembre 1923, n. 250 per gli uffici pubblici; circolare ministriale g. g. 29 maggio 1926, n. 2134/1867 per le aule giudiziarie): se le norme regolamentari attualmente vigenti risalgono ai primi anni del periodo fascista, alcuni precedenti in tal senso vi erano stati fino dall’inizio della nostra esperienza nazionale.

Questi antichi testi, motivati dalla volontà di mantenere una tradizione particolarmente sentita dal sentimento nazionale, sono rimasti immutati, pur nel profondo cambiamento del quadro politico e costituzionale, e varie circolari ministeriali hanno richiamato i responsabili dei vari servizi a continuare a darvi esecuzione.

Successivamente alla adozione della Costituzione e soprattutto dopo la adozione del nuovo Concordato nel 1984, da parte di alcuni si sono sollevati dubbi sulla compatibilità di queste norme con il carattere laico del nostro Stato e sulla loro stessa permanente vigenza: da ciò una serie di vivaci polemiche, che hanno anche indotto nel 1988 il ministero della Pubblica istruzione a chiedere un parere sul punto al Consiglio di Stato.

Il parere del Consiglio di Stato (numero 63 del 27 aprile 1988) è stato decisamente a favore della permanenza di queste normative, autonome rispetto al contenuto del Concordato e ritenute compatibili con le norme costituzionali. Particolarmente significativi alcuni passaggi di questo parere: anzitutto il Crocifisso «a parte il significato per i credenti, rappresenta il simbolo della civiltà e della cultura cristiana, nella sua radice storica, come valore universale, indipendente da specifica confessione religiosa».

Ma poi, occorre «anche considerare che la Costituzione repubblicana, pur assicurando pari libertà a tutte le confessioni religiose, non prescrive alcun divieto alla esposizione nei pubblici uffici di un simbolo che, come quello del Crocifisso, per i principi che evoca e dei quali si è già detto, fa parte del patrimonio storico. Né pare, d’altra parte, che la presenza dell’immagine del Crocifisso nelle aule scolastiche possa costituire motivo di costrizione della libertà individuale a manifestare le proprie convinzioni in materia religiosa».