Cultura & Società

Lucca-Sansepolcro dibattito a distanza sul «Volto Santo»

di Lorella PellisPuò un «Volto Santo» essere causa di zizzania? Sì, come del resto lo è stato all’origine quando fu conteso fra Lucca e Luni, l’antica città presso la foce del Magra. Oggi invece sono Lucca e Sansepolcro a «contendersi», in un certo senso, il vanto di possedere il crocifisso originale, il grande Cristo tunicato che, secondo la tradizione, sarebbe stato scolpito da Nicodemo con l’aiuto degli angeli.

Ma cerchiamo di andare per ordine. L’esposizione in corso ad Arezzo dedicata alla «Bellezza del Sacro» è aperta proprio dal «Volto Santo», grandioso crocifisso tunicato in legno (metri 2,71 x 2,90) conservato presso la Cattedrale di San Sepolcro. In occasione dell’inaugurazione della mostra, il 13 settembre, è stata presentata la scoperta fatta dalla Soprintendente Anna Maria Maetzke con il ritrovamento di un documento lucchese datato 1179. L’atto in questione, secondo la Maetzke «chiaro e probante», conferma la tesi che il Crocifisso di Sansepolcro sia proprio l’originale «Volto Santo» di Lucca, il prototipo ritenuto perduto e che invece fu ceduto ai frati di Sansepolcro dove, a causa probabilmente delle cattive condizioni in cui versava, fu ridipinto con la policromia oggi visibile.

«Una ipotesi del genere non è nuova – tiene a sottolineare la Soprintendente – e già emerse dai risultati del restauro al Crocifisso di Sansepolcro eseguiti dall’84 all’89. Dopo i lavori fu ribadito il fatto, allora già riconosciuto da tutti gli studiosi, che il famoso simulacro raffigurante il “Volto Santo” di Lucca, venerato almeno fino dal secolo XI in tutta Europa, e conservato in un tempietto di marmo al centro della navata della cattedrale lucchese, doveva considerarsi copia di un prototipo più antico. Gli stessi restauri attribuivano il Crocifisso di Sansepolcro all’epoca carolingia, con una oscillazione cronologica tra la fine dell’VIII e l’inizio del IX secolo, unico esempio in Europa di scultura monumentale del periodo».

Anche l’analisi dei campioni di legno al radiocarbonio fornisce un’oscillazione tra il 599 e il 765 dopo Cristo e colloca l’opera tra il 904 e il 1018. Già in passato alcuni studiosi, come Francovich e Belli Barsali, sostenevano che quella di Lucca poteva essere una copia, ma solo ora ci sarebbe la prova documentaria. «Ogni volta che troviamo elementi nuovi – precisa la Maetzke – il nostro dovere è farli conoscere per suscitare nuovi studi e approfondimenti, non per alimentare polemiche. Nel caso del “Volto Santo” di Lucca il documento ritrovato non inficia in nessun modo la devozione e il culto straordinari legati a quest’opera». Documento che è la citazione di un atto con tanto di autentica del notaio e, come dice la Soprintendente, «attesta la cessione avvenuta nel 1179 del Cristo tunicato di Lucca ai frati del Borgo di Arezzo (così si chiama anche oggi Sansepolcro) per settanta denari d’argento». E precisa che la sua esatta collocazione verrà resa nota quando usciranno gli atti del convegno su «Il Volto Santo in Europa» tenutosi ad Engelberg nel 2000 dove la stessa storica dell’arte anticipò il ritrovamento.

Ma c’è chi ha qualcosa da dire anzi da ridire. «Come storico – interviene monsignor Giuseppe Ghilarducci, direttore dell’Archivio arcivescovile e della Biblioteca capitolare di Lucca – vorrei sapere dove si trova il documento, per controllare se è veramente coevo del 1179 e che cosa esattamente dice. Perché – si chiede Ghilarducci – non è possibile saperla ora la segnatura archivistica?». E spiega: «Secondo me il Cricifisso di Sansepolcro è una delle tante copie che sono state fatte in Europa prima e dopo il Mille. È impensabile, infatti, che i lucchesi dessero via la reliquia originale e che la venerazione sia passata alla copia. Il “Volto Santo” è arrivato a Lucca nel 782, ha avuto un culto strepitoso. Qualcuno voleva una copia e nell’VIII secolo i lucchesi ne hanno fatta una e l’hanno venduta ai frati di Arezzo tenendosi l’originale». Ma allora perché l’originale non c’è più? «Ammesso che non sia quello di Lucca – conclude Ghilarducci – non c’è più perché è sopravvenuto un evento come un incendio che l’ha distrutto. Allora sono stati costretti a rifarne un altro».

Il Volto santo di Sansepolcro. Nella foto piccola quello venerato a Lucca

Immagini, quali confini per la devozione

«Per la fede nei suoi fondamenti le immagini di per sé non hanno nessuna rilevanza: anzi, il Nuovo Testamento è piuttosto radicale da questo punto di vista. Questo, però, non significa che la devozione popolare non possa lecitamente servirsi di immagini e di tradizioni che hanno arricchito fortemente la spiritualità cristiana lungo i tempi». A parlare così è don Severino Dianich, docente di Teologia alla Facoltà teologica dell’Italia centrale. E la questione non riguarda soltanto i cristiani: «A tal proposito – aggiunge infatti don Dianich – potremo ricordare che i musulmani sono contrari assolutamente ad ogni immagine, ma a Istanbul ogni martedì riempiono la chiesa di Sant’Antonio e accendono i ceri davanti alla statua del santo. Perché il bisogno di dare forma sensibile all’espressione della fede porta istintivamente a questo».«Salvo il periodo dell’iconoclastia, durato circa 100 anni in Oriente – prosegue ancora il teologo – e una tendenza iconoclasta abbastanza forte nel Protestantesimo radicale, il Cristianesimo ha coltivato moltissimo il senso dell’immagine. E non cambia assolutamente nulla se un’immagine è l’originale oppure no: ognuno è devoto dell’immagine che gli pare. Inoltre, soprattutto nella devozione popolare orientale, bisogna tener conto che l’immagine è concepita come il frutto della visione di un santo: è, cioè, la realtà celeste che in qualche maniera si è resa presente. Infatti le icone orientali sono essenzialmente ripetitive, c’è una proto-icona che è l’icona originale dipinta da un santo e poi ci sono le repliche. Dietro a questa pratica devota c’è un’idea pregnante dell’immagine che certamente i protestanti rifiuterebbero in maniera radicale e che noi cattolici accettiamo con riserva, mentre gli ortodossi vi sono molto attaccati: e cioè che l’immagine, in qualche maniera, è veramente una presenza».

Per Lucca dunque, secondo don Severino, «nulla muta e nulla muterà». «Mi pare che il punto – spiega – non sia quello del primato cronologico o dell’originalità storicamente documentabile, quanto piuttosto il primato della devozione. Se la Sindone non è originale, questo non impedisce la devozione. Credo che per Lucca la devozione segua la sua logica interiore, che non si appoggia ai dati storici scientificamente dimostrabili ma è un fatto d’anima».

Ma fino a che punto può spingersi la devozione verso un’immagine? «Bisogna essere molto cauti, e in genere la gerarchia ecclesiatica lo è – risponde don Dianich – proprio perché la retta fede non la impedisce, ma la accetta solo in quanto rimando alla realtà, e l’idea che l’immagine sia una vera presenza non può essere assolutamente mai portata allo stesso livello con cui parliamo di una vera presenza del Signore nell’Eucarestia. Credo che, da questo punto di vista, la catechesi debba essere piuttosto rigorosa e non troppo corriva a forme eccessivamente miracolistiche di considerazione dell’immagine, pur senza toglier nulla a quello che è il calore e la bellezza di una devozione popolare. In sintesi, si tratta essenzialmente di un aiuto per la preghiera, e bisogna tenere chiaro il principio che in realtà, anche se sparissero tutte le immagini, le statue e anche tutte le nostre chiese e altari, resterebbe la parola di Paolo: “Il Cristo abita per la fede nei vostri cuori”».

Volto santo, giudizio sospeso – DI FRANCO CARDINI