Cultura & Società

Lucca, nel giugno 2015 tornano i «Teatri del Sacro»

«Il teatro ci può aiutare a trovare una pedagogia della responsabilità». Questa è la prima delle «buone ragioni» per le quali la Chiesa italiana, in un momento di difficoltà dal punto di vista economico e di fronte alle tante emergenze culturali, «investe sul teatro». Parola di monsignor Domenico Pompili, sottosegretario della Cei e direttore dell’Ufficio nazionale per le comunicazioni sociali, intervenuto questa mattina a Roma, presso il teatro Argentina, alla presentazione della IV edizione de «I teatri del sacro», che si terrà a Lucca a giugno 2015 per iniziativa di Federazione gruppi attività teatrali (Federgat), Fondazione comunicazione e cultura, Ufficio nazionale per le comunicazioni sociali e Servizio nazionale per il progetto culturale della Cei, in collaborazione con Associazione cattolica esercenti cinema (Acec). Per mons. Pompili, in questo tempo di «crisi ormai cronicizzata» che «si prolunga indefinitamente», viene a «mancare lo sprone per un giudizio» e si tenta piuttosto «un adattamento». «Forse in questo tempo in cui tanto si fatica», il teatro, «mettendo in scena la crisi» e rendendo inevitabili «il giudizio e la scelta», ci «può aiutare a trovare una pedagogia della responsabilità». La seconda ragione, secondo il sottosegretario Cei, «è centrata sull’individuo in relazione».

Per mons. Pompili, «ricordarci che nessun uomo è un’isola, è un aiuto in tempi di frammentazione e di solitudine». Un «prezioso antidoto che il teatro offre alle derive disumanizzanti del nostro tempo» e un invito a «coltivare l’umanità». La terza e ultima ragione per cui la Chiesa italiana investe sul teatro, ha aggiunto, «à legata a nuova maniera di intendere la collettività». Il teatro ci aiuta a declinare in modo diverso «il noi», un noi «che si riconosce in una storia, una tradizione, una eredità ricevuta, delle pratiche condivise». Come per le tre edizioni precedenti, gli spettacoli in scena a Lucca saranno selezionati attraverso un bando di concorso (scaricabile dal sito www.federgat.it) per progetti teatrali incentrati su spiritualità, tradizione religiosa, rito, religiosità popolare, sacro nella sua accezione più ampia. A cadenza biennale, il Festival è aperto a tutti i linguaggi della scena: prosa, danza, teatro di figura e musicale, rivisitazioni di testi classici e nuove drammaturgie.

«All’interno della comunità ecclesiale il teatro è da sempre un grande strumento educativo» e non «è per pochi. Dobbiamo farlo tornare ad essere un significativo strumento di cultura e comunicazione popolare». Ne è convinto Vittorio Sozzi, responsabile del Servizio nazionale per il progetto culturale della Cei, intervenuto questa mattina a Roma alla presentazione della rassegna. «Non basta andare a teatro, il teatro bisogna anche farlo», l’esortazione di Sozzi, secondo il quale il teatro «è uno strumento educativo che va sempre più diffuso anche nella vita delle nostre comunità cristiane», e l’iniziativa «I teatri del sacro» va «proprio in questa direzione», collocando l’esperienza teatrale «nella prospettiva del cammino che la Chiesa sta compiendo nell’ambito dell’educazione». Nel sottolineare lo stretto rapporto fra teatro e cultura, Sozzi ha rilevato che «anche all’esterno dei circuiti cattolici, grazie all’Acec, ci si sta accorgendo del valore di questa esperienza. Su questo bisogna ulteriormente crescere». Con lo sguardo ai «piccoli teatri» disseminati sul territorio nazionale, Sozzi ha concluso: «Sarebbe interessante creare collaborazione con gli enti che li gestiscono per valorizzare ancor più il ‘fare teatro’ nel nostro Paese».

Le sale delle comunità, oggi circa un migliaio in tutta Italia, devono tornare ad essere «un presidio culturale e sociale fondamentale sul territorio», ha affermato Francesco Giraldo, segretario generale Associazione cattolica esercenti cinema (Acec), alla conferenza stampa di presentazione della quarta edizione de «I teatri del sacro». «Quello che viviamo a Lucca – il suo auspicio – vorremmo vivesse non solo nelle sale delle comunità ma anche al di fuori». Nel «tessuto ramificato delle parrocchie», queste sale stanno oggi transitando verso la tecnologia digitale, «non sempre senza qualche difficoltà»; un «cambiamento non solo tecnologico ma anche culturale» perché «unire il nuovo all’antico e muoversi sul versante dell’innovazione» è essenziale perché le sale della comunità tornino ad «essere presidi culturali e sociali fondamentali». Giorgio Testa, de «La Casa dello Spettatore», nata per formare il pubblico tramite l’educazione alla visione e una costante attenzione alla consapevolezza dei processi – artistici e non solo – che danno vita al teatro, ha parlato dei progetti in corso, sottolineando che «ogni spettatore, quando vede uno spettacolo, lo ‘traduce’ nel proprio linguaggio.