Cultura & Società

Monaci a tavola. Il ricettario segreto dei certosini

di Andrea BernardiniIl segreto della longevità dei frati certosini? Sta nella dieta, povera di grassi e di proteine animali. Chi ha la fortuna di visitare la Certosa di Calci (Pisa), fino al 1969 abitata dai frati certosini ed ora Museo nazionale, può rendersene conto osservando con attenzione gli affreschi che vi si trovano. Un lavoro, questo, fatto con particolare cura da Claudio Casini, docente di storia dell’arte ed appassionato di cucina, autore del libro Cucina di magro e di festa – ricettario da documenti settecenteschi della Certosa di Calci (edito da Ets).

Casini, osservando gli affreschi, spulciando i registri settecenteschi del priore Giuseppe Alfonso Maggi e altri documenti trovati in Certosa, ricava uno spaccato sulle abitudini alimentari dei monaci. Non senza qualche curiosità. Contrariamente a quanto si pensa, ad esempio, l’ordine certosino proibisce l’astinenza dal cibo: l’alimento, infatti, dà sollievo al corpo nel silenzio imposto nel refettorio.

Cibo grasso e cibo magroDal IV secolo dopo Cristo – rileva l’autore – la Chiesa ha condizionato le scelte degli alimenti e le pratiche di cucina. Il calendario liturgico ha distinto il cibo grasso da quello magro nei periodi di Quaresima, di vigilia delle festività, nei tre giorni infrasettimanali di lunedì, mercoledì e venerdì, con l’astinenza dalla carne e, in un secondo tempo, anche dei latticini e delle uova. Il pranzo nelle celle e nel refettorio La vita cenobitica dei certosini impone il silenzio e la solitudine nelle celle: qui vengono consumati nei giorni feriali pasti frugali ottenuti con i prodotti dell’orto annesso alla cella e dalle munizioni fornite dalla cucina centrale. I pasti vengono distribuiti ai monaci attraverso lo sportello a lato della porta di ingresso della cella.La domenica, i giorni festivi e i momenti di ricreazione il refettorio accoglie tutta la comunità. Il pasto è consumato nel silenzio, interrotto solo dalla lettura delle Sacre Scritture. Mangiate e bevete senza parlare, in silenzio: così recita uno dei motti che accompagnano gli affreschi sei- settecenteschi del refettorio della Certosa. La mensaClaudio Casini ricostruisce con dovizia di particolari la mensa del refettorio: tovaglie bianche, stoviglie di coccio acquistate a Pisa da Coccapani e alla fiera di San Casciano di Cascina e bicchieri di legno. Nei registri della Certosa – scrive l’autore – sono annotate anche le spese per l’acquisto di forchette d’osso e di ferro a Lucca, di piattini di Genova, di bicchieri di cristallo di Boemia – da vino e da liquore – di saliere d’argento e del servito da pranzo composto da 395 pezzi di maiolica bianca con il monogramma azzurro Car (abbreviazione di Cartusia) commissionati, nel 1765, dal priore Maggi alla Manifattura Ginori e di cui oggi si conservano solo pochi esemplari. Pesce, simbolo di purezzaIl bianco, simbolo di purezza, domina la mensa certosina. L’alimento bianco e quindi puro per eccellenza è il pesce. Meglio quello di acqua dolce dei fiumi che il pesce di mare. Dai documenti si apprende che i monaci erano particolarmente esperti nel marinare tonno e acciughe per la conservazione. La carne è ammessa, invece, solo per i laici.Altro alimento, il latte, di capra, di pecora o di mucca. I formaggi più diffusi: il marzolino, il piacentino o parmigiano di latte di vacca. Frequente l’uso delle uova – anche per l’allusione alla purezza spirituale offerta dal bianco dell’albume – : ancora oggi gli abitanti di Calci ricordano le famose frittate di cento uova che i certosini realizzavano in apposite padelle. Legumi, ortaggi e frutta, risorse interne della Certosa. E poi olio, vino, paste e pane. Negli orti interni della Certosa ci sono aree destinate alla coltivazione di piante officinali.

Quanto ai dolci, dai documenti emergono i nomi del buccellato, la schiacciata di Pasqua, la Bocca di dama, le paste di mandorle.

I pranzi ufficialiLa Certosa di Calci – ricorda Claudio Casini in Cucina di magro e di festa nella Certosa di Calci – ha ospitato nel tempo personalità illustri e anche la famiglia granducale a cui era riservata la Foresteria nobile. Ebbene, in occasione delle visite ufficiali, si allestivano banchetti e rinfreschi a base di pesce, con ostriche e aliguste di Gorgona, verdure, frutta, dessert, sorbetti e una scelta di vini, non solo locali ma anche di altre zone d’Italia e stranieri.

Dal brodo di tartaruga alla minestra… dell’astinenza

La tartaruga, sia terrestre che marina, è dal 1980 una specie protetta perché in via di estinzione. Ma il brodo di tartaruga di terra era uno dei piatti utilizzati dai frati certosini, indicata, in particolare, per gli infermi. Questa e mille altre curiosità si trovano nel ricettario dei monaci della Certosa di Calci. Un primo tipico è il brodo di fragaglia o di piccola mescolanza, detto anche Zuppa alla certosina. Ingredienti necessari per sei persone: 1 kg di pesce misto (triglie, pesce spada, coda di rospo, merluzzetti, cozze), una cipolla, un gambo di sedano, un mazzetto di prezzemolo, una carota, due spicchi di aglio, una foglia d’alloro, duecento grammi di pomodori maturi, quattro cucchiai d’olio, un litro e mezzo d’acqua e sale quanto basta. Modo di cucinare: mettete al fuoco una pentola d’acqua con gli odori, i pomodori spellati e il pesce sviscerato e pulito; lasciate bollire a fuoco vivo per mezz’ora e infine passate il tutto al setaccio, tenendo da parte qualche pezzetto di pesce intero per il piatto di portata. A piacere si possono servire crostini di pane. Ma si possono consumare anche il brodo di boldrò o pescatrice, il brodo di arselle, di gamberi, di granchi, di ranocchie, di anguille e la minestra… dell’astinenza.

Ampia la gamma delle fritture: dalle acciughine fritte alle rane fritte. Ecco una ricetta per le polpette fritte di pesce. Ingredienti per sei persone: 300 grammi di polpa di pesce, due acciughe salate, 50 grammi di pinoli, un mazzetto di prezzemolo, 50 grammi di mollica di pane, alcuni chiodi di garofano, 5 cucchiai di olio, sale e pepe quanto basta. Ed ecco come si cucina: far rosolare per due minuti una parte dei pinoli con il prezzemolo e le acciughe salate; pestare il trito di un mortaio con l’altra parte dei pinoli e unire il pesce, la mollica bagnata, il sale e il pepe e amalgamare bene tutti gli ingredienti. Creare delle polpettine che verranno cotte in un tegame con brodo ristretto di pesce speziato con chiodi di garofano.

Quanto ai lessi si può scegliere tra le cieche lesse e il lesso di ombrina. Gli arrosti venivano fatti con le anguille, il tonno e le cieche. Gli abbrustolati: anguille allo spiedo, baccalà alla graticola. Per gli umidi: luccio e trote. Per piatti piccanti: tonno fresco in carpione o un baccalà in carpione.

Tre i salati: salsiccia di pesce, lontra e pasticcio di folaghe.

Cinque i dolci: il buccellato, la schiacciata di Pasqua a forma di cupola prodotto ancor oggi a Livorno e Pisa, la bocca di Dama, le offelle di Carnevale e il Certosino, prodotto ancor oggi nelle pasticcerie dell’Italia settentrionale.

I liquori utilizzati: il Charteuse e l’Alkermes. Per il primo occorrono 4 decigrammi di essenza di melissa citrica, 4 decigrammi di essenza d’issopo, due grammi di essenza di angelica, 4 di essenza di menta inglese, 4 di essenza di cannella di Cylon, 4 di noce moscata, 4 di garofano, 7 litri di alcool, 11 kg di zucchero, 5 litri di acqua. Occorre far macerare nell’alcool per quindici giorni le essenze, quindi fare uno sciroppo con lo zucchero e l’acqua e unirlo all’alcool aromatizzato.

La dieta dei frati? Intelligente ed equilibrata In tempi in cui ancora non esistevano alimentaristi e dietologi, i frati seguivano una dieta intelligente ed equilibrata. La professoressa Angela Zinnai, docente alla facoltà di Agraria dell’Università degli studi di Pisa, non ha dubbi: il menù consumato dai religiosi dava garanzie di longevità.

Commenta la professoressa: «Il consumo di ortaggi e frutta fresca, un limitato utilizzo dei grassi – specie quelli animali – e l’assunzione di una modica quantità di vino rosso, rappresenta la via efficace, oltre che più piacevole, per alimentarsi correttamente assicurando la necessaria presenza di antiossidanti nella nostra dieta».

Angela Zinnai pensa soprattutto al pesce: «I pesci, in genere, oltre ad apportare proteine ad alto valore biologico, contengono buone quantità di acidi grassi polisaturi, importanti nella formazione di tutte le membrane cellulari (in particolare di quelle proprie delle cellule nervose) ma capaci anche di evitare o rallentare il processo di accumulo di grassi all’interno dei vasi sanguigni. Evitando o diminuendo l’incidenza dell’insorgenza delle malattie cardiovascolari».

Fondamentale anche il consumo di frutta e verdura. «Questi alimenti – spiega ancora la professoressa – contengono adeguate concentrazioni di composti protettivi, ad azione antiossidante: le vitamine E, C e P. Gli antiossidanti tendono a reagire con i radicali liberi che si formano all’interno delle cellule animali e delle piante e possono risultare estremamente dannosi per gli organismi viventi. A differenza dei vegetali, che hanno sviluppato la sintesi di composti in grado di terminare i radicali liberi, gli animali e l’uomo li devono assimilare con l’alimentazione poiché non sono in grado di promuoverne la sintesi. Di qui l’importanza della presenza nella razione alimentare degli antiossidanti naturali».

Precursori dell’agricoltura biologica «Non ho studiato a fondo le tecniche di lavorazione della terra utilizzate dai frati certosini tre secoli fa, ma immagino che non fossero diverse da quelle seguite dai laici del loro tempo. Significativa la filosofia che ispirava il lavoro della terra: il terreno è un dono di Dio, dato in prestito dai predecessori e che dovrà essere affidato a chi verrà dopo di noi. Per questo si seguiva il principio della fertilità del terreno e il suo utilizzo a rotazione: un principio utilizzato ormai da secoli, come ci testimonia lo stesso Virgilio».

Alessandro Bonamici, agricoltore pisano, uno dei più affermati produttori biologici della Toscana, ci tiene a sottolineare che quella dei certosini «è la stessa filosofia che ispira il lavoro della terra dei produttori biologici. Una filosofia corretta: se l’uomo sfruttasse la terra fino a farle perdere le caratteristiche di fertilità, le generazioni future non avrebbero più di che nutrirsi».

Bonamici, ma come si lavorava il terreno?

«Si lavorava a mano, gli attrezzi agricoli erano piuttosto rudimentali, la tecnica si è evoluta solo negli ultimi decenni. I trattori non appartenevano nemmeno ai loro sogni. Il terreno era zappato, per concimarlo si usavano escrementi animali ed umani. Il compost non c’era ancora, anche se non escludo si conoscesse, già a quei tempi, una forma simile di riciclaggio di scarti».

E per proteggere le piante da funghi?

«I certosini avevano studiato erbe per curare le malattie dell’uomo. Soluzioni saranno state trovate anche per proteggere le piante: infusi di ortica, ad esempio. Oggi i produttori biologici non si discostano molto da quelle soluzioni: i prodotti per proteggere le piante ci sono offerti dalle industrie, ma si tratta pur sempre di prodotti naturali».