Cultura & Società

«Nel campo dei fiori recisi» di Francesco Belluomini giovedì 27 aprile a Palazzo Medici Riccardi a Firenze

Una testimonianza inedita, forte, che apre uno squarcio sui massacri operati sui bambini internati nel Kinderblock di Birkenau dove Sonia tredicenne si trovava insieme alla sorella Daniela, uniche superstiti  della sua famiglia deportata nella primavera del 1944 e appartenente alla comunità ebraica di Livorno.

Dopo il saluto di Emiliano Fossi, consigliere delegato della Città Metropolitana di Firenze gli interventi di Michele Brancale, Daniela Cecchini e Paola Lucarini Poggi, Letture a cura di Betty Piancastelli e a seguire il dibattito con il pubblico sulla tragedia dell’Olocausto. L’evento organizzato dall’Associazione Sguardo e Sogno in collaborazione con I Libristi e La Città Metropolitana di Firenze è a ingresso libero. 

Un episodio, quello di Sonia Contini, rimasto ai margini della storia della deportazione ebraica per pudico risentimento verso l’inumanità della vita e raccontato oggi per mano di chi non vuole dimenticare. È il ripercorrere gli eventi di quel marzo 1944 in cui la famiglia Contini, al pari di molte altre, fu strappata dalla propria casa livornese per intraprendere il lungo viaggio verso i campi di sterminio, ultima meta per gran parte del nucleo familiare.

A salvarsi da quella follia collettiva furono solo le due sorelle che, nonostante la giovane età, sopravvissero con matura tenacia al genocidio dell’Olocausto. Sonia, a distanza di anni, racconta d’un fiato il lungo percorso che l’ha portata dal campo di concentramento fino ai lontani paesi polacchi, rievocando ricordi abbandonati e facendo rivivere persone lontane attraverso la storia della sua adolescenza, spesa dietro il filo spinato del lager di Birkenau.

Per tanti anni non ho inteso parlare di quanto era accaduto dopo la deportazione della nostra famiglia – scrive  Sonia Contini Saracco all’inizio della sua narrazione avvenuta sessanta anni dopo la deportazione -, tanto che nemmeno i miei due figli ne sono mai stati al corrente pienamente. Ci sono stati aspetti che non ho rivelato a nessuno.Posso parlare solo delle mie paure e delle personali sensazioni, in quanto mia sorella Daniela vive da moltissimi anni negli Stati Uniti d’America e non posso sapere come si sia regolata con suo marito e  con i suoi tre figli. Il mio riserbo con l’avanzamento dell’età e lo stato vedovile deve venire meno, perché devo qualcosa a tutti quei bambini internati nel Kinderblock di Birkenau, a centinaia, sotto i miei stessi occhi, sacrificati facendo scempio  dei loro piccoli corpi per permettere ai medici tedeschi di studiare le evoluzioni genetiche dei parti gemellari e altri progressivi fenomeni sugli organi che compongono il corpo umano..Ma non rechi meraviglia il mio comportamento guardingo e insicuro: posso garantire che nessun sopravvissuto a quei campi di sterminio nazisti potrà mai aprirsi del tutto sulle vicende vissute in quei luoghi di morte e di terrore allo stato puro, come quello che si prova nell’essere sospinti sul sentiero che conduceva agli edifici delle esalazioni venefiche e dei fumanti forni crematori, marciando con la consapevolezza inevitabile di dovere affrontare quei riti di annientamento totale”.