Cultura & Società

Progetti spaziali, il volto moderno delle città

DI LORELLA PELLISToccare Firenze? Se per tanti è un’eresia, altri da sempre lamentano l’immobilismo cui sembra essere condannata dal suo eccezionale ma «ingombrante» patrimonio del passato. Antonio Paolucci, soprintendente ai musei del capoluogo toscano, parla senza mezzi termini di «rapporto quasi schizoide, di odio e amore nei confronti del nuovo, di curiosità e conservazione». E non è solo questione di oggi: «Ho sempre pensato – spiega – che se si fosse sottoposto il progetto della stazione di Michelucci a un referendum cittadino noi oggi avremmo una stazione in stile assiro-babilonese. Per fortuna delle arti c’era a quel tempo un governo dittatoriale: il fascio di Firenze era in mano al colto e intelligente Alessandro Pavolini, che impose d’autorità il razionalismo e quindi la stazione di Michelucci, uno degli esempi più belli di architettura del ‘900 nel mondo. Questa è Firenze. Ci sono ogni tanto dei Pavolini, gente che vuole rompere l’assedio del Rinascimento e poi ci sono per contraccolpo delle reazioni. Lo vediamo bene con la pensilina di Isozaki».

Eppure proprio il Rinascimento segnò per Firenze l’accettazione di un’architettura allora oltremodo avveniristica, nonché costosissima: «La cupola di Santa Maria del Fiore dello “studio Filippo Brunelleschi” – sottolinea Paolucci – fu una vera e propria ingegneria di frontiera sperimentale, altro che Isozaki e Foster». Allora però, obiettiamo, si trattava di costruire «ex novo» la parte absidale della cattedrale. Non è del tutto illogico, invece, che la pensilina di Isozaki possa apparire come un «insulto» all’architettura degli Uffizi. «Certo – replica Paolucci – può lasciare sconcertati. Ma riconosco che è un segno di straordinaria modernità, come pure il progetto di Calatrava per il nuovo Museo dell’Opera di Santa Maria del Fiore». E precisa: «Non è tanto la mescolanza di civiltà che m’interessa. Le culture devono restare l’una rispetto all’altra autonoma, ma proprio questo è importante. Isozaki si è accostato a Firenze, che conosceva superficialmente, in modo molto rispettoso e con una intuizione giusta e poetica ha riconosciuto il marchio di Firenze nella loggia medievale e rinascimentale, uno spazio chiuso e aperto al tempo stesso, basato sul rapporto delle proporzioni, sulla misura. Quindi, con strumenti e cultura moderna, ha cercato di riprodurla come segmento di speculazione neorinascimentale ma non attraverso un neorinascimento imitativo, bensì entrando nello spirito del rinascimento fiorentino con la sua cultura giapponese e creando qualcosa che può piacere o meno ma che rimane un grande segno di cultura architettonica contemporanea».

Non la pensa allo stesso modo il medievista Franco Cardini, secondo cui oggi «al centro di tutto c’è l’idea del marketing urbano, ossia la traduzione contemporanea dei metodi e forme estetiche attraverso i quali le città “si sanno vendere”, dato che siamo appiattiti sull’idea dell’avere e del produrre». Per Cardini, «la ricerca della novità che si autoreferenzia come innovatrice è un fatto molto pericoloso quando si tratta di incidere su un tessuto di una città che ha un suo linguaggio». Da qui i dubbi sul progetto di ristrutturazione degli Uffizi, e non solo. «Dal punto di vista culturale – aggiunge – a me è perfettamente incomprensibile capire cosa i fiorentini vogliano per la loro città. Credo comunque che tutte queste opere saranno recepite positivamente indipendentemente dal risultato della qualità dell’impatto rispetto alla città, questione di cui pochi ormai si occupano. Si pensa che fare cultura significhi innovare, andare dietro alla moda, ma non si tiene minimamente conto del mantenimento di un equilibrio urbano fiorentino. Si pensa alle grandi firme e si crede che questo sia un progresso culturale, ma per fare progresso culturale ci vuole un linguaggio e questo non l’abbiamo trovato».

Dalla «tesi» di Paolucci e dall’«antitesi» di Cardini può ben discendere, quasi come «sintesi» hegeliana, il parere di Francesco Gurrieri, docente presso l’Ateneo fiorentino di Architettura. «Stiamo attenti – afferma infatti – a non minimizzare l’apertura internazionale che Firenze ha sempre avuto. Siamo imprigionati in un cliché secondo me discutibile, e cioè che Firenze abbia rifiutato e continui a rifiutare innesti di cultura contemporanea: ma innestare qui la contemporaneità è oggettivamente più difficile perché c’è da misurarsi con una sedimentazione storico-artistica-architettonica di grande peso. Sarebbe un errore rimproverare alla città di non essersi aperta continuamente alla contemporaneità e nuove opere. C’è differenza fra aprirsi e “sbracarsi”. Aprirsi significa essere selettivi, accettare e realizzare opere magari dopo dibattiti faticosi: questo significa non solo litigiosità, ma anche vivacità. Gli innesti che stanno sopraggiungendo qui sono cose che poche altre città in Europa hanno in questo momento. La sottolineatura che vorrei fare è proprio questa: non ci si deve scandalizzare, perché la responsabilità e il concentramento di opere e di delicate sedimentazioni che abbiamo a Firenze poche altre città le hanno». E sui risultati degli «innesti», Gurrieri è comunque incline a un motivato ottimismo. «Credo – afferma – che nell’arco del prossimo decennio con queste realizzazioni la città avrà testimonianze di altissimo valore culturale e architettonico. Paradossalmente, Firenze ha maggiori capacità di apertura rispetto ad altre città perché ha alle spalle il grande, irripetibile momento dell’umanesimo, un fenomeno complesso che in qualche modo seppe dialogare con il cristianesimo. Per tutto il ‘400, Firenze fu un coagulo dove cristianesimo e umanesimo marciarono insieme. E l’apertura della città e la sua cultura, così come storicamente dimostrato, sono tali da garantire la capacità critica di assorbire contributi che possono pure venire da lontano». Innesti, appunto, anche dall’Estremo Oriente, purché la città del giglio continui a fiorire.

Come cambia il volto di FirenzeUn manufatto in vetro e acciaio che rievoca le imponenti «gallerie dei treni» ereditate dall’Ottocento. Uno spazio luminoso e poetico che ricrea la suggestione delle linee architettoniche di una cattedrale. Un muro vegetale alto 18 metri. Un ex carcere trasformato in alloggi, attività commerciali e sociali. Una metafisica loggia in acciaio e un altrettanto metafisica pensilina in acciaio e vetro proprio nel cuore cittadino. Sono solo alcune caratteristiche della futura fisionomia di Firenze che avveniristici progetti di noti architetti internazionali si apprestano a rivoluzionare. Ma andiamo per ordine.

L’architetto inglese Lord Norman Foster ha vinto il concorso internazionale bandito dalla Tav per la progettazione della nuova stazione fiorentina dell’Alta velocità. I lavori, che partiranno nel 2005, si svilupperanno nell’area Belfiore/Macelli su oltre 45 mila metri quadrati. È previsto un investimento di circa 240 milioni di euro. L’opera ideata da Foster si presenta come una grande copertura vetrata sostenuta da una struttura in acciaio che darà accesso ai 7 chilometri di linea sotterranea ad alta velocità che attraverserà Firenze. Il complesso dovrebbe diventare il principale nodo di interscambio cittadino e regionale. Sarà collegato alla stazione di Santa Maria Novella e al centro storico di Firenze da una nuova linea tranviaria e dai treni metropolitani di superficie.

Quella progettata da Foster per Firenze è una tipologia nuova per l’Italia. La stazione avrà una «distribuzione verticale»: lo spazio interno aperto a tutta altezza renderà visibili i treni fin dalla superficie. Scale mobili e tapis roulants inclinati collegheranno il piano interrato a 25 metri sotto il livello stradale con il piano terra, dove saranno concentrati tutti i servizi di stazione (biglietterie, agenzie di viaggio, informazioni, ristoranti, negozi), i terminal degli autobus, la fermata del tram, i taxi, i parcheggi e le banchine dei treni regionali. Il tutto dovrebbe essere ultimato entro il 2009. Non meno avveniristico è il progetto di un altro grande architetto, il francese Jean Nouvel, che ha vinto il concorso per il recupero dell’ex-area Fiat di Viale Belfiore (31 mila metri quadrati di superficie), a pochi metri dalla nuova stazione. L’elemento caratteristico del progetto è la superficie esterna che sarà costituita da un muro verde alto 18 metri: dietro gli alberi e le piante sorgeranno gli edifici ovvero un albergo da 260 camere, un centro congressi con un auditorium da 700 posti quasi nascosto nel giardino interno su cui si affacceranno le finestre dell’albergo. Il progetto prevede anche uffici, negozi, servizi di ristorazione, un parcheggio interrato da 1500 posti. Il costo dell’intervento dovrebbe aggirarsi sugli oltre 65 milioni di euro.

Anche nell’area ex-Fiat di Novoli – del recupero di questa zona si parla ormai dagli anni ’80 – sta sorgendo una nuova e riqualificata parte di città. Qui stanno nascendo il nuovo Palazzo di giustizia progettato da Leonardo Ricci. Si estenderà su 30 mila metri quadrati. Il resto dell’area (circa 290 mila metri quadrati) comprende il Polo universitario (progettato da Adolfo Natalini) delle facoltà di Economia, Giurisprudenza e Scienze politiche, un grande parco urbano, sedi direzionali, un albergo, insediamenti residenziali e commerciali, strade, parcheggi di cui uno interrato da 1600 posti. Entro il 2006 i lavori dovrebbero essere conclusi.

Anche l’architetto anglofiorentino Richard Rogers ha già presentato i primi disegni del nuovo centro cittadino di Scandicci. Nel progetto domina la stazione per la tranvia – un tuffo nella contemporaneità – attorno alla quale nascerà anche una nuova piazza civica.

Ma forse il progettista di cui in questi ultimi anni si è parlato di più fra gli addetti ai lavori ma non solo è il giapponese Arata Isozaki. È stato lui il vincitore del concorso internazionale indetto dagli Uffizi per la sistemazione dell’uscita posteriore del museo su piazza Castellani. Per la nuova uscita della Galleria, Isozaki ha progettato una grande loggia in acciaio rivestito di pietra serena, con una copertura di travi longitudinali e lucernari trasparenti. Una loggia che si è trasformata presto in oggetto di polemica. Nonostante l’inaugurazione dell’uscita fosse prevista nel settembre di quest’anno, dalla scorsa estate i lavori sono bloccati a causa di reperti archeologici rinvenuti nella zona interessata al loggiato.

E intanto, nonostante sia stato raggiunto l’accordo con l’artista per arretrare il fronte della pensilina, il progetto Isozaki sta vivendo in una situazione di stallo. «Finiremo per andare in tribunale se il Governo non ci darà risposte precise», ha detto il sindaco di Firenze Leonardo Domenici. «Gli Uffizi sono una questione da risolvere e il Governo deve dirci che cosa succede». Ma c’è anche la Firenze più propriamente religiosa che si prepara a grandi trasformazioni. L’ampliamento del Museo dell’Opera del Duomo, uno dei più importanti al mondo per la scultura medievale e rinascimentale, coinvolgerà l’ex teatro degli Intrepidi – acquistato dall’Opera nel ’98 – portando l’attuale area del museo da 2300 a 4300 metri quadrati ed il volume da 12 mila a 21 mila metri cubi. Il concorso di idee per l’ampliamento del Museo dell’Opera – presieduto da Anna Mitrano – è stato vinto da Santiago Calatrava. L’architetto spagnolo trasformerà gli spazi dell’ex teatro in una vera e propria Cattedrale luminosa (grazie ad una copertura a lucernario sorretta da arcate riecheggianti le volte delle navate del Duomo le opere esposte godranno anche di luce naturale), in cui andranno la «Pietà» di Michelangelo, la «Maddalena» di Donatello e, una volta ultimato il restauro, la «Porta del Paradiso del Battistero» del Ghiberti. L’intervento di ampliamento dovrebbe iniziare entro la fine dell’anno.

In mezzo a tanti stranieri l’unico nome italiano è quello dell’architetto Renzo Piano, «padre» del progetto di recupero dell’ex carcere delle Murate. Al momento sono stati consegnati lavori per 33 alloggi comunali. Successivamente dovrebbe essere recuperata la caratteristica struttura carceraria a cattedrale percorsa da ballatoi con in basso negozi e in alto abitazioni.