Cultura & Società

Sangue, sesso e soldi: Google conferma la regola delle tre «s»

di Adriano Fabris

Le nuove tecnologie, certo, hanno cambiato la nostra vita. Ce ne possiamo accorgere anche solo facendo attenzione ad alcune espressioni che comunemente usiamo. «Stare in rete», «essere connessi», vivere certe emozioni «in tempo reale»: tutto ciò è il segno di come, grazie per esempio a internet, le nostre possibilità di collegamento sono fortemente potenziate. Di più: attraverso il web possono svilupparsi nuove forme di esistenza e può imporsi una realtà «virtuale» che, in alcuni casi, non solo si affianca a quella quotidiana, ma addirittura tende a sostituirla.

Tutto ciò è cosa nota, che i sostenitori della rete enfatizzano in vari modi. C’è tuttavia un altro aspetto, solitamente trascurato: le nuove tecnologie non solo modificano la nostra mentalità e la nostra capacità di far esperienza, ma nel contempo si presentano come lo specchio di quello che siamo. Attraverso il loro uso, cioè, si riflettono in generale i nostri gusti, le nostre preferenze, il nostro «profilo» (così, appunto, vengono chiamate le tracce che lasciamo nella rete). In una parola, se vogliamo sempre privilegiare il riferimento a internet: esso certamente ci plasma, ma insieme ci offre un’immagine di quello che siamo.

Ne è una conferma l’elenco delle parole maggiormente in voga nel principale motore di ricerca, quello di Google. Ma, prima di tutto, che cos’è un motore di ricerca? Se s’immagina internet come un grosso serbatoio d’informazioni, come un contenitore in crescente espansione e aggiornamento, diventa necessario per chi lo utilizza avere la possibilità di orientarsi nella massa di notizie disponibili e saper trovare ciò di cui ha bisogno. Nel 1996 Larry Page e Sergey Brin, due studenti dell’università di Stanford, elaborarono una teoria per cui le pagine sul web citate con un maggior numero di link sono le più importanti, e a essa dettero subito applicazione pratica creando un motore di ricerca con l’ambizione di organizzare tutte le informazioni presenti online.

A questa forma di organizzazione ormai ci siamo adattati, senza farci troppe domande. Accogliamo dunque il criterio di selezione proposto (un criterio puramente quantitativo, visto che sono ritenute migliori le notizie più ricercate) e tentiamo di far sì che il nostro sito risulti fra i primi della lista. Insieme, però, con le nostre ricerche manifestiamo curiosità ed esprimiamo interessi. In una parola: diciamo chi siamo. Ciò non solo consente di comprenderci meglio, ma può anche essere usato per promuovere e orientare i nostri consumi. Ecco perché, sebbene il servizio offerto da Google sia gratuito, in realtà si tratta di un’impresa molto redditizia.

Qual è, dunque, l’immagine che riproducono le nostre ricerche nel web? La risposta non è molto confortante (clicca qui). Le news più gettonate in Italia sono quelle che riguardano soprattutto fatti di sangue. La vittima attira l’attenzione e diventa il personaggio centrale di una storia su cui si chiedono costanti aggiornamenti. E lo stesso accade nel caso di altri protagonisti della cronaca oppure dei giocatori della nostra squadra di calcio. L’unica eccezione sembra riguardare l’interesse per ciò che avviene nella casa del Grande Fratello.

Si tratta di un uso ben circoscritto di internet. Il web è inteso, qui, come strumento al servizio della società dello spettacolo. E così non dobbiamo stupirci se la motivazione che fa andare avanti la ricerca è, anche in questo caso, la curiosità. Infatti lo spettacolo proposto attraverso i tradizionali mezzi di comunicazione – soprattutto la tv – è calibrato in modo da sollecitare proprio questa curiosità e da tenerla desta. Internet risulta appunto funzionale allo scopo.

Le cose non cambiano se oltrepassiamo i confini della lingua italiana e analizziamo i più recenti risultati dell’uso del motore di ricerca google.com. Anche qui troviamo, fra i top ten, protagonisti tragici della cronaca più recente, come Amy Winehouse e Steve Jobs. Ma al primo posto – e ciò risulta abbastanza grottesco – incontriamo Rebecca Black: una cantante nota per un brano, Friday, così brutto da diventare un tormentone globale. Di nuovo, comunque, il web serve a entrare meglio nella notizia e ad amplificarne la portata.

In questa situazione due cose soprattutto colpiscono. Ed entrambe riguardano internet come specchio di ciò che siamo. La prima è che si tratta di uno specchio che ritrae tutti noi, certamente, ma soprattutto le generazioni più giovani. Sono i nostri ragazzi, infatti, quelli che più usano le nuove tecnologie – nella misura in cui vi sono nati a stretto contatto – e che più hanno il tempo per dedicarsi alle ricerche online. E se il loro profilo è quello che emerge da tali ricerche, allora risulta che da un punto di vista educativo c’è ancora molto, molto da fare.

La seconda cosa che colpisce, poi, è l’uso limitato che viene fatto delle potenzialità della rete. Nei vari casi esaminati, come abbiamo visto, essa è al servizio della società dello spettacolo, ne rappresenta una specie di amplificatore, piuttosto che dar vita a forme alternative di comunicazione. È vero: fra le parole più cercate – oltre al tiramisù alla fragola – ci sono anche molti termini appartenenti al gergo di internet. Ma le cose in sostanza non cambiano: l’uso della rete che emerge dalle ricerche online sembra in buona parte sinergico a ciò che soprattutto viene veicolato ed espresso dal mezzo televisivo.

Il web però è soprattutto altro. Ben lo sanno i nostri ragazzi: che passano buona parte del loro tempo sì davanti alla tv, ma con il cellulare a fianco e in collegamento con i loro amici su facebook. E forse è su queste altre possibilità d’interazione che è opportuno insistere, nella misura in cui esse sembrano farci sperimentare nuovi tipi di socialità. Ciò che il web 2.0 ci offre – vale a dire, non solo una serie d’informazioni pronta cassa, ma la capacità di trovarsi insieme in rete e di costruire contenuti comuni – indica proprio in questa direzione. Ecco perché è opportuno continuare ad aver fiducia nelle potenzialità della rete. Almeno fino ai prossimi dati di Google.