Cultura & Società

Tolkien, quando la fantasia non dimentica il Vangelo

di Alessandro AndreiniSe può accadere che la cultura cristiana sia accusata di fregiarsi di figure che non le apparterebbero, quasi battezzandole in modo indebito, quello del romanziere inglese J.R.R. Tolkien (1892-1973), tornato, per così dire, alla ribalta attraverso il film in tre parti tratto dal suo capolavoro Il Signore degli Anelli, è un caso di segno del tutto opposto. Sono pochi, infatti, a conoscere le profonde radici cristiane che caratterizzano la sua opera e molto più la sua biografia: radici senza le quali, in realtà, i contenuti stessi della sua straordinaria saga resterebbero privi di una corretta chiave interpretativa.

Educata in una famiglia di tradizioni protestanti, la madre di Tolkien aderì al cattolicesimo quando il figlio John aveva appena 8 anni, subendo, per questo, anche l’isolamento da parte dei suoi familiari: una ritorsione che, indirettamente, le sarebbe costata la vita dal momento che, rimasta vedova, si sacrificò per allevare ed educare i figli. Alla vigilia della morte, per scongiurare il loro ritorno all’anglicanesimo, scelse come tutore dei figli un padre dell’Oratorio filippino di Birmingham, città dove si era stabilita e che era, in quegli anni, il cuore della rinascita cattolica inglese. Proprio a Birmingham, infatti, alcuni decenni prima, si era stabilito il futuro cardinale J.H. Newman, sacerdote anglicano convertitosi al cattolicesimo intorno al quale si sarebbe sviluppata una singolare esperienza di fede e di conversione che coinvolse figure eminenti del suo tempo, tra le quali il poeta e futuro gesuita G.M. Hopkins: una pagina della storia della Chiesa forse poco nota, senza la quale anche l’esperienza di Tolkien probabilmente non avrebbe potuto maturare così come la conosciamo.

E tocchiamo qui il punto decisivo di questa breve riflessione sulle radici cristiane – ma occorrerebbe dire «cattoliche» – di Tolkien: ed è quel singolarissimo rapporto tra creatività e Vangelo cui ha fatto riferimento anche il papa nella sua recente Lettera agli Artisti (1999). Il fantasioso mondo della Terra di Mezzo – in cui il bene e il male combattono tra loro dentro il cuore degli hobbit, degli uomini, degli elfi e degli altri personaggi che la popolano, in cui è ancora possibile apprendere la bellezza del sacrificio, il valore della fedeltà, dell’amicizia, dell’eroismo – non è un luogo in cui evadere dalle sfide della condizione umana: al contrario, esso è un atto di fede – come afferma uno dei personaggi del romanzo e del film – in quello che di buono esiste nel mondo e ancora merita d’essere difeso e promosso. L’atto più nobile, vorremmo dire, che un’opera letteraria potrebbe mai compiere: insegnare che la vita merita ancora d’essere vissuta, difesa, donata, perché essa è amata e voluta da Dio.

«Il Signore degli Anelli – scriveva Tolkien nel 1953 – è fondamentalmente un’opera religiosa e cristiana; all’inizio non ne ero consapevole, lo sono diventato durante la correzione». Crediamo davvero, allora, che, al di là delle strade autonome sulle quali il mondo immaginario di Tolkien è stato spesso condotto e ampliato, i più di 160 milioni di suoi libri venduti nel mondo abbiano contribuito soprattutto a risvegliare in tanti cuori quei valori e quello sfondo simbolico propri del Vangelo, secondo i quali la generosità prevale sulla grettezza, il dono di sé sull’egoismo, la verità sull’errore, la vita sulla morte.

Cenni bibliografici per saperne di più:P. Gulisano, Tolkien, il mito e la grazia (Ed. Ancora 2001)M. White, La vita di J.R.R. Tolkien (Bompiani 2002)A. Monda-S. Simonelli, Tolkien. Il signore della fantasia (Frassinelli 2002)Tolkien. Una creatività per il Vangelo (Ed. Feeria 2003).

La recensione del film «IL SIGNORE DEGLI ANELLI: LE DUE TORRI»