Cultura & Società

Una nuova «questione» della lingua italiana

di Nicoletta Maraschiovicepresidente Accademia della CruscaNegli anni Sessanta del secolo scorso il quadro linguistico italiano si presentava agli occhi di un osservatore attento e sensibile come Pier Paolo Pasolini radicalmente mutato rispetto al passato, ed egli poteva annunciare, «con qualche titubanza e non senza emozione» la nascita dell’italiano lingua nazionale. Si trattava, a suo parere, di un italiano nuovo in quanto «tecnologico», lingua tipicamente «comunicativa» e non «espressiva», intrisa di parole della scienza e della tecnica e semplificata nelle sue strutture morfologiche e sintattiche. Questo significava per lui non solo un «impoverimento» dell’italiano letterario della tradizione, ma qualche cosa di più: in primo luogo uno spostamento dell’asse «normativo» da Firenze e Roma alle città del Nord (Milano e Torino) e con ciò stesso dalla letteratura alle fabbriche, inoltre la fine della coesistenza nell’italiano di diverse varietà linguistiche.Sono passati quarant’anni dal provocatorio intervento pasoliniano (apparso su «Rinascita» nel dicembre 1964) che suscitò molte polemiche, pur partendo da intuizioni largamente condivisibili.

Da allora il movimento dell’italiano è stato, si può dire, ancora più rapido e complesso. Il processo di diffusione della lingua nazionale, scritta e parlata, presso parlanti e ceti in precedenza dialettofoni è andato talmente avanti che possiamo dire, statistiche alla mano, che solo da poco si è completato, seppur con grave ritardo rispetto agli altri paesi europei, quel cammino di unificazione linguistica, iniziato, almeno per quanto riguarda il parlato, in gran parte solo con l’Unità politica. Oggi l’italiano è la lingua di tutti gli italiani, anche di quelli che continuano ad usare ancora normalmente il dialetto in famiglia, con gli amici e sul luogo di lavoro. Si tratta, contrariamente alle previsioni pasoliniane, di una lingua molto eterogenea, una lingua nella quale la componente tecnico scientifica è importante, ma non è certo la sola: l’italiano dei giovani è diverso da quello dei vecchi, l’italiano di un lombardo è diverso da quello di un fiorentino, l’italiano di uno scienziato è diverso da quello di un romanziere. E la capacità di scrivere e parlare la lingua nazionale varia molto, come è ovvio, a seconda del livello culturale delle persone.

L’italiano si presenta oggi in Europa in duplice veste: come lingua di un’illustre tradizione letteraria e culturale, molto richiesta nelle scuole, nelle università, negli istituti di cultura di tutto il mondo (anche per la fortuna del «made in Italy», della cucina e del turismo italiano), ma anche come lingua «giovane», nella quale gli stessi italiani non credono a sufficienza. Ecco che allora la questione della lingua, che oggi si ripropone con grande forza, non è più questione solo nazionale, ma questione tipicamente internazionale e in particolare europea. Occorre infatti che la nostra lingua sappia svolgere, in un’Europa istituzionalmente plurilingue, il ruolo che le compete, occorre che sappia intrecciare strettamente la sua storia e il suo futuro a quelli delle altre lingue ufficiali europee che tutte insieme richiedono di essere tutelate e valorizzate.

Ci si è chiesti, in occasione dell’importante convegno su Firenze e la lingua italiana fra Nazione e Europa (organizzato a Firenze dall’Ateneo insieme all’Accademia della Crusca il 27 e 28 maggio), quale ruolo possa avere, in questo quadro, una città come Firenze che è stata per secoli capitale linguistica ideale di un’Italia politicamente, culturalmente e anche linguisticamente divisa.

I molti illustri studiosi presenti, insieme al rettore Marinelli, all’assessore alla cultura del comune di Firenze Siliani e al preside della facoltà di Lettere e filosofia Marrassini, si sono chiesti se Firenze, usando attivamente la sua storia e la presenza di un numero davvero elevato di enti «linguistici» (ora istituzionalmente uniti in un Centro di eccellenza dell’Ateneo, il Clieo, Centro di Linguistica storica e teorica: italiano, lingue europee, lingue orientali) possa offrire un contributo significativo al futuro linguistico dell’Italia e dell’Europa.

Nel Novecento l’unificazione linguistica è avvenuta, come è noto, in modo per lo più spontaneo, sotto l’urgenza di fattori extralinguistici straordinari, come l’industrializzazione, le grandi migrazioni, i grandi mezzi di comunicazione di massa, gli apparati di uno stato politico unitario. L’italiano di base fiorentina, pur mantenendosi saldamente ancorato a un lessico fondamentale e a strutture sintattiche tradizionali, è venuto modificandosi. Se nessuna città in Italia ha potuto guidare questi cambiamenti, ponendosi come unico punto di riferimento normativo, ed è presumibile che nessuna potrà farlo in futuro, Firenze, grazie alla concentrazione di risorse e competenze «linguistiche» che le è propria, potrà fare molto, promuovendo una migliore conoscenza della lingua nazionale e la consapevolezza della sua importanza. Potrà farlo attraverso lo studio della lingua del passato, e il monitoraggio di quella contemporanea, l’organizzazione di incontri e convegni, l’alta formazione di specialisti e un adeguata formazione linguistica degli insegnanti. Potrà farlo attraverso il proseguimento di iniziative già avviate dall’Accademia della Crusca, come la Federazione delle accademie linguistiche d’Europa, la Settimana della lingua italiana nel mondo, la pubblicazione di grammatiche plurilingui che favoriscano l’intercomprensione fra tutti i parlanti europei, lo sviluppo dell’applicazione informatica alla linguistica che è oggi la nuova frontiera della ricerca.Il sito dell’Accademia della Crusca