Vita Chiesa

Giovanni Paolo II, 24 anni sul soglio di Pietro

DI CARLO CAVIGLIONE Era il 16 ottobre 1978. Il suo nome risuonò in Piazza San Pietro facendo immediatamente pensare ad un Papa straniero. Egli stesso disse di “venire da lontano” e le prime parole, pronunciate in un italiano un po’ incerto, lo resero subito simpatico. Chi non ricorda ancora oggi, dopo 24 anni, la sua frase “se sbaglio, mi corriggerete”? Si seppe poi che veniva dalla Polonia, precisamente dalla diocesi di Cracovia. Il suo nome, pronunciato ormai e conosciuto dall’umanità intera, Karol Wojtyla. Il Papa è entrato nel venticinquesimo anno del suo pontificato. Chi volesse anche solo tentarne una sintesi, sarebbe impossibile. Sono stati anni di un’attività frenetica, di viaggi apostolici contati a decine in ogni parte del mondo. E’ stato e sarà ancora il pontificato del dialogo con il mondo, con le altre confessioni cristiane, con i popoli e le religioni di tutta la terra. Giovanni Paolo II non è soltanto considerato, oggi, il pastore della Chiesa cattolica, ma un’autorità morale per tutti gli uomini credenti e non credenti, un punto di riferimento universale. La Chiesa del dopo Concilio ha avuto in questo Papa, nel suo esempio e nel suo ministero, una guida impareggiabile. Basterebbe percorrere i testi delle sue encicliche o aver seguito i passi di quest’instancabile pellegrino nei Paesi più lontani, aggrediti dai problemi più gravi: dalla miseria, dalla fame, dall’ingiustizia e dalla mancanza di pace. “Due parole, pronunciate all’inizio del Pontificato – scrive il cardinale Camillo Ruini – ci offrono la chiave per comprendere il senso e l’unità profonda del messaggio universale di Giovanni Paolo II: la prima è il forte invito del 22 ottobre 1978: Non abbiate paura! Aprite, anzi spalancate, le porte a Cristo. La seconda è l’intrepida affermazione dell’Enciclica Redemptor hominis, sulla via che conduce da Cristo all’uomo, la Chiesa non può essere fermata da nessuno”. “A queste due parole, che indica no nell’evangelizzazione – cioè in Gesù Cristo da credere, da testimoniare, da accogliere nella propria vita – e nella difesa dell’umanità ovunque e comunque minacciata, i due riferimenti essenziali e inseparabili della missione della Chiesa – commenta lo stesso card. Ruini – Giovanni Paolo II è rimasto sempre fedele e noi, a nostra volta, dobbiamo essere quotidianamente fedeli”. La storia dirà meglio di noi la grandezza di questo Papa, che ha concepito e continua a vivere la sua missione “radicata nella parola di Dio e nella grande tradizione della Chiesa” e quindi “capace di interpretare, anzi spesso di anticipare, le istanze e le sfide della cultura e della società e di essere luce e coscienza dell’umanità contemporanea”. Attraverso il suo Magistero – annota il card. Ruini – “Giovanni Paolo II ci conduce per mano a vivere in profondità e ad attuare, con integrale fedeltà e con slancio creativo, gli insegnamenti del Concilio Vaticano II che, a giudizio del papa, è l’evento chiave della nostra epoca e parimenti del suo Pontificato”. E’ già possibile affermare oggi, in prospettiva storica, che in tutti questi anni l’azione apostolica di Giovanni Paolo II ha determinato un nuovo assetto dell’Europa, un cambiamento che, sino a non molti anni fa, nessuno avrebbe osato sperare. La sua incrollabile fede nella Provvidenza, ha dato speranza e fiducia a popoli interi, che hanno conosciuto, in gran parte per suo merito, il giorno atteso della liberazione. Egli continua ad essere la voce più autorevole per la difesa della dignità dell’uomo, dei suoi diritti inalienabili, che fa discendere direttamente dal Vangelo. Allo stesso modo si è già compiuto un buon cammino verso l’incontro di tutti i cristiani, a cominciare dal dialogo e dalla fattiva collaborazione in ordine alla giustizia e alla carità. I “perfidi ebrei” d’un tempo sono diventati “i nostri fratelli maggiori”, mentre gli eretici e gli scismatici di una volta ora sono i “membri delle Chiese sorelle”. Dopo lo straordinario tempo di grazia che è stato il Grande Giubileo, Giovanni Paolo II continua a chiedere a tutti i credenti “di proseguire e di rendere permanente il proprio impegno missionario, in forme adatte a durare nel tempo”. Con la sua lettera Novo millennio adveniente, ci richiama a quei fondamentali atteggiamenti evangelici che soli possono oggi rendere credibile la fede cristiana in una società secolarizzata. Non pochi si chiedono quale sia la radice, scrive il card. Ruini, “di questa continua donazione personale e della sua straordinaria capacità di comunicare che tutti gli riconoscono”. Lo stesso cardinale risponde: “La radice è la preghiera e l’intima dedizione a Dio, in Gesù Cristo e nello Spirito Santo, mediante la totale appartenenza a Maria”. Il papa stesso l’ha confermato dicendo: “La preghiera è il primo compito e quasi il primo annuncio del Papa, così come è la prima condivisione del suo servizio nella Chiesa e nel mondo”. “Abbiamo tutti un debito di gratitudine verso il Santo Padre – riflette il card. Ruini. “E’ il debito contratto il 13 maggio 1981, quando il sangue di Giovanni Paolo II fu sparso in Piazza San Pietro. Quel debito sempre si rinnova, perché il Papa spende per noi, ogni giorno, tutta la sua vita. Da quando la sofferenza fisica ha cominciato a gravare su di lui in maniera intensa e visibile, senza però arrestare in alcun modo la sua dedizione, ma anzi rendendo ancora più penetrante e persuasiva la sua testimonianza di fede e di amore, il nostro debito è aumentato ancora”.