Dossier

Liturgia, il ritorno della Messa tridentina

È stato pubblicato il 7 luglio il Motu proprio di Benedetto XVI sull’uso della liturgia romana anteriore alla riforma del 1970. Il documento, che prende il nome dalle prime parole “Summorum Pontificum”, si compone di 12 articoli normativi che regolano le modalità di uso del Messale promulgato da Giovanni XXIII nel 1962. Le norme entreranno in vigore il 14 settembre, festa dell’Esaltazione della Santa Croce. Il documento, preceduto da un breve excursus storico in cui si ricordano gli interventi di alcuni Pontefici circa la cura, la promozione e il rinnovamento della Liturgia romana, stabilisce che “è lecito celebrare il Sacrificio della Messa secondo l’edizione tipica del Messale Romano promulgato dal B. Giovanni XXIII nel 1962 e mai abrogato, come forma straordinaria della Liturgia della Chiesa” (cfr art.1). Il Papa ha anche inviato una Lettera ai vescovi di tutto il mondo per presentare il Motu proprio. Del documento e della Lettera ne parliamo con mons. MARCELLO SEMERARO , vescovo di Albano, già titolare della cattedra di ecclesiologia alla Pontificia Università Lateranense.

Quale il senso e il significato del Motu Proprio?

“Si tratta di un aggiornamento del Motu Proprio emanato nel 1988 da Giovanni Paolo II e di un allargamento circa la sua applicazione. È possibile cogliere il significato di questo nuovo documento da quanto lo stesso Benedetto XVI scrive nella Lettera inviata a tutti i vescovi, in cui indica la ragione positiva che fa da sfondo al testo: giungere ad una riconciliazione interna nel seno della Chiesa. Il Papa cita esplicitamente il movimento guidato dall’arcivescovo Marcel Lefebvre, riconosce che la fedeltà al Messale antico divenne un contrassegno esterno di una separazione le cui ragioni sono ben più profonde e sa pure molto bene che i tentativi di riconciliazione fatti sino ad oggi non sono riusciti. Benedetto XVI guarda pure a quanti, pur non aderendo – o non aderendo più – al movimento di Lefebvre, per diverse ragioni desiderano tuttavia ritrovare la forma, a loro cara, della sacra Liturgia. Sono questi i fatti che, nella Lettera ai vescovi, il Papa indica all’origine della sua iniziativa”.

Quali le indicazioni contenute nel Motu proprio?

“In base alle disposizioni contenute nel Motu Proprio, il Messale Romano già promulgato da Paolo VI e poi riedito in due ulteriori edizioni da Giovanni Paolo II è e rimane la forma normale e ordinaria della Liturgia Eucaristica della Chiesa cattolica di rito latino; al contempo, il Messale Romano nella sua ultima stesura pubblicata con l’autorità di Giovanni XXIII nel 1962 potrà essere utilizzato come forma straordinaria per la celebrazione liturgica. Benedetto XVI spiega, nella Lettera ai vescovi, che non si tratta di due riti, ma di un uso duplice dell’unico e medesimo rito. Tra quanto indicato nel Motu Proprio, c’è la possibilità che nelle parrocchie dove esiste stabilmente un gruppo di fedeli aderenti alla precedente tradizione liturgica , il parroco accolga le loro richieste per la celebrazione della Santa Messa secondo il Messale Romano edito nel 1962, provvedendo a che il bene di questi fedeli si armonizzi con la cura pastorale ordinaria della parrocchia, sotto la guida del vescovo“.

Quali le sottolineature della Lettera ai vescovi?

“Credo che a questa Lettera si debba dare grande importanza per più ragioni. Anzitutto, per il suo carattere che chiamerei previo allo stesso Motu Proprio. Non si tratta, infatti, di un’interpretazione data a un documento che giunge per così dire dall’esterno, ossia da un commentatore, da un liturgista o da un canonista. È, invece, la chiave di lettura, offertaci dalla medesima Autorità da cui promana il Motu Proprio, ossia dal Papa. Egli ci comunica la sua intenzione, sicché non è possibile applicare fedelmente le disposizioni del Motu Proprio senza operare secondo le linee contenute nella Lettera. Personalmente, raggrupperei su due punti il contenuto di questa Lettera del Papa. Anzitutto, c’è un carattere negativo nel senso che Benedetto XVI esclude perentoriamente e subito che si intacchi l’autorità del Concilio Vaticano II. Il Papa ricorre, piuttosto, a un principio ermeneutico che gli è caro e che ha già espresso in altre occasioni. Penso, in particolar modo, a quanto disse alla Curia Romana il 22 dicembre 2005 riguardo alla ermeneutica della continuità. Anche in questa circostanza Benedetto XVI scrive: Nella storia della liturgia c’è crescita e progresso, ma nessuna rottura… Ci fa bene a tutti conservare le ricchezze che sono cresciute nella fede e nella preghiera della Chiesa e dar loro il giusto posto. Siamo, con queste ultime parole, al secondo punto che indicherei come rilevante. Emerge, infatti, una comunione che si sviluppa sia diacronicamente (ossia nel decorso del tempo e della storia), sia simultaneamente. Perciò il Papa precisa: Ovviamente per vivere la piena comunione anche i sacerdoti delle Comunità aderenti all’uso antico non possono, in linea di principio, escludere la celebrazione secondo i libri nuovi. Non sarebbe infatti coerente con il riconoscimento del valore e della santità del nuovo rito l’esclusione totale di esso“.

Nei giorni che hanno preceduto la pubblicazione del Motu Proprio si è parlato di attacco al cammino intrapreso con il Concilio Vaticano II…

“Se questo attacco lo si attribuisce alla persona del Papa, l’idea mi parrebbe ridicola al punto da non poterla neppure prendere in considerazione. Facendo ricorso a un detto latino, direi: de minimis non curat praetor. Al Papa, piuttosto, sta davvero a cuore la fedeltà al Concilio e questo pure ricordando con franchezza quanto dopo il Concilio – ma non a motivo del Concilio, aggiungerei – ne è venuto in deformazioni della Liturgia al limite del sopportabile. Benedetto XVI scrive senza mezzi termini che il timore che ne risulti intaccata l’autorità del Concilio è infondato. Diverso è, invece, se si considera il rischio che il Motu Proprio sia letto e applicato proprio in direzione anticonciliare. Da questa possibilità mette in guardia lo stesso Benedetto XVI quando scrive: È vero che non mancano esagerazioni e qualche volta aspetti sociali indebitamente vincolati all’attitudine di fedeli legati all’antica tradizione liturgica latinaLa vostra carità e prudenza pastorale sarà stimolo e guida per un perfezionamento“.

Tra le critiche mosse, si è anche parlato di una messa in discussione dell’autorità del vescovo…“Su questo è ancora il Papa a intervenire a conclusione della Lettera: Nulla si toglie all’autorità del vescovo né sulla liturgia né sulla pastorale dei fedeli. A ciò Benedetto XVI aggiunge la citazione del Concilio (cfr Sacrosanctum Concilium 22) che indica nel vescovo il moderatore della Liturgia nella propria diocesi”.

Obiettivo del Motu proprio è quindi offrire, accanto al Messale di Paolo VI che continua a rappresentare la “forma ordinaria” della celebrazione eucaristica, il Messale del 1962 come opportunità in più, come forma “straodinaria”…

“Vorrei richiamare al riguardo quanto il Papa scrive circa un reciproco arricchimento derivante dall’uso dei due Messali, secondo quelle possibilità e anche i limiti che sono indicati nel Motu Proprio. Nella Lettera ai vescovi Benedetto XVI spiega: Nella celebrazione della Messa secondo il Messale di Paolo VI potrà manifestarsi, in maniera più forte di quanto non lo è spesso finora, quella sacralità che attrae molti all’antico usovisibile ricchezza spirituale e di profondità teologica) potranno e dovranno essere inseriti nuovi santi e alcuni dei nuovi Prefazi . Personalmente aggiungerei almeno una non secondaria, anzi principale, considerazione che riguarda il Lezionario. Non v’è dubbio, infatti, che l’accesso alla proclamazione liturgica della Parola di Dio è di gran lunga più abbondante nell’attuale Lezionario rispetto al Messale del 1962. Trascurare questo sarebbe una gravissima perdita”.

Liturgia ed ecclesiologia: quale il valore di questo documento?

“Mi limiterei a riprendere quanto ho già accennato: la Chiesa non è prima di tutto un’organizzazione e un’istituzione; essa è prima di ogni cosa una vita . È la ricchezza che ci giunge dalla nota immagine paolina del corpo : la Chiesa è – non somiglia – il Corpo di Cristo. Corpo vuol dire vitamistico corpo di Cristo , spieghiamo che all’origine del suo movimento e della sua crescita c’è lo Spirito. Come in ogni autentica vita il passato cresce e si sviluppa nel nuovo e questo, a sua volta, lo conserva e lo sviluppa. Ciò richiede, secondo i casi e in modi diversi, sia la conservazione sia il cambiamento. Penso che il Motu Proprio e la Lettera del Papa ai vescovi intendano richiamare anche questo”.

Come accostarsi a questo documento?

“La modalità dell’accostamento e dell’attuazione è quella che, già in termini generali, è data dalla tradizione, anche giuridica, della Chiesa; in forma, invece, più ravvicinata ci è offerta dalla Lettera del Papa, che l’ha scritta proprio per questo motivo”.

a cura di Vincenzo Corrado

Le parrocchie personaliTra le norme del Motu proprio l’art. 10 prevede la possibilità di “erigere una parrocchia personale” a norma del canone 518 del Codice di diritto canonico. “L’Ordinario del luogo – questo l’art.10 – se lo riterrà opportuno, potrà erigere una parrocchia personale a norma del can. 518 per le celebrazioni secondo la forma più antica del rito romano, o nominare un cappellano, osservate le norme del diritto”. Il canone 518 recita: “Come regola generale, la parrocchia sia territoriale, tale cioè che comprenda tutti i fedeli di un determinato territorio; dove però risulti opportuno, vengano costituite parrocchie personali, sulla base del rito, della lingua, della nazionalità dei fedeli appartenenti ad un territorio, oppure anche sulla base di altre precise motivazioni”.

COSA PREVEDE IL MOTU PROPRIO

“Non c’è nessuna contraddizione tra l’una e l’altra edizione del Missale Romanum (quella anteriore alla riforma del 1970 e quella del 1970, ndr). Nella storia della Liturgia c’è crescita e progresso, ma nessuna rottura. Ciò che per le generazioni anteriori era sacro, anche per noi resta sacro e grande, e non può essere improvvisamente del tutto proibito o, addirittura, giudicato dannoso”. È un passaggio della Lettera di Benedetto XVI ai vescovi di tutto il mondo per presentare il “Motu proprio” sull’uso della liturgia romana anteriore alla riforma del 1970. “Ci fa bene a tutti – scrive il Papa – conservare le ricchezze che sono cresciute nella fede e nella preghiera della Chiesa, e di dar loro il giusto posto. Ovviamente per vivere la piena comunione anche i sacerdoti delle Comunità aderenti all’uso antico non possono, in linea di principio, escludere la celebrazione secondo i libri nuovi. Non sarebbe infatti coerente con il riconoscimento del valore e della santità del nuovo rito l’esclusione totale dello stesso”.

USO DUPLICE DELL’UNICO RITO. “Il Messale, pubblicato da Paolo VI e poi riedito in due ulteriori edizioni da Giovanni Paolo II – spiega ancora Benedetto XVI nella Lettera ai vescovi – ovviamente è e rimane la forma normale – la forma ordinaria – della Liturgia Eucaristica. L’ultima stesura del Missale Romanum , anteriore al Concilio, che è stata pubblicata con l’autorità di Papa Giovanni XXIII nel 1962 e utilizzata durante il Concilio, potrà, invece, essere usata come forma extraordinaria della Celebrazione liturgica. Non è appropriato parlare di queste due stesure del Messale Romano come se fossero due Riti. Si tratta, piuttosto, di un uso duplice dell’unico e medesimo Rito”. UNA PREMESSA. Tenendo presente che non si tratta di due Riti, ma di “un uso duplice dell’unico Rito”, poniamo a confronto le due stesure del Messale Romano, considerando la celebrazione eucaristica domenicale ed esemplificando i punti principali della “struttura liturgica”. Una premessa di fondo di cui occorre tener conto è che il Missale Romanum , anteriore al Concilio, presenta delle caratteristiche – come d’altronde anche quello del 1970 – che strutturano tutto lo svolgimento della celebrazione. Alcune note caratterizzanti: la messa privata è la forma tipica; l’assemblea è in ombra e assiste devotamente, ma non partecipa; prevale il cerimoniale sul funzionale (moltiplicazione di croci, inchini, genuflessioni, evoluzioni di braccia e occhi, spostamenti del messale, forma complicata dell’incensazione, etc…); molto vincolante risulta essere il “rubricismo” che regola la celebrazione e che ne sancisce la validità (si indicano posizione degli occhi, delle braccia, delle mani…); c’è una rigida preclusione degli adattamenti.MESSALE DEL 1962. La celebrazione eucaristica domenicale, secondo il Messale del 1962, presenta una struttura alquanto articolata. La Liturgia inizia con l’accesso e le preghiere ai piedi dell’altare (segno di croce; recita dell’antifona “Salirò all’altare del Signore”; recita del Salmo 42; “Confesso a Dio onnipotente…”, recitato prima dal sacerdote e poi dai ministri; recita dei versetti: “O Dio, volgiti verso di noi…”; recita della preghiera, salendo all’altare: “Togli da noi…”). Seguono i riti iniziali all’altare (preghiera: “Noi ti preghiamo…”; segno di croce; antifona di introito; “Signore, pietà”; Gloria; saluto liturgico; orazioni). A questi riti fa seguito la Liturgia della Parola (epistola; Salmo graduale; Alleluia con versetto; Vangelo; l’omelia non è sempre prevista; Credo). La celebrazione prosegue con l’offertorio (saluto liturgico; antifona all’offertorio; offerta del pane e del vino; lavabo con versetti del Salmo 25: “Laverò le mie mani…”; preghiera: “Accetta, santa Trinità…”; orazione sulle offerte). All’offertorio seguono la preghiera eucaristica (prefazio, Santo, canone romano), la recita del Padre nostro, la “frazione del pane” e l'”immistione” (l’atto con cui il celebrante immerge un frammento dell’ostia nel calice), il rito della pace, la comunione del sacerdote e, successivamente (a parte) il rito per la comunione dei fedeli. La celebrazione termina con i riti conclusivi (saluto liturgico; orazione dopo la comunione; saluto liturgico; congedo; preghiera “Ti sia gradito, santa Trinità…”; benedizione finale; saluto liturgico; lettura del Prologo di Giovanni; infine, tornando in sacrestia, recita dell’antifona cosiddetta “Dei tre fanciulli”).MESSALE ATTUALE (DEL 1970). La celebrazione eucaristica domenicale, secondo il Messale del 1970, consta di 4 parti. Anzitutto i riti di introduzione (ingresso del sacerdote e dei ministri; segno di croce; saluto liturgico; atto penitenziale; Gloria; orazione). Seguono la Liturgia della Parola (prima lettura; Salmo responsoriale; seconda lettura; canto al Vangelo; Vangelo; omelia; professione di fede; preghiera universale o “dei fedeli”) e la Liturgia Eucaristica (preparazione dei doni con canto all’offertorio; orazione sulle offerte; preghiera eucaristica; riti di comunione: Padre Nostro, rito della pace, frazione del pane e “immistione”, comunione; orazione dopo la comunione). Infine, i riti di conclusione (saluto liturgico; benedizione finale; congedo).Liturgia, torna il «Messale del 1962» come opportunità in più

La comunità partecipa e non assiste. Così il Concilio cambiò la Messa

La Costituzione Missale romanum di Paolo VI con la uqale si riformava il Messale (3 aprile 1969)