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Aids, una giornata per vivere

di Daniele RocchiÈ stato presentato nei giorni scorsi dall’Organizzazione mondiale della Sanità (Oms) il rapporto annuale dell’Unaids, il programma congiunto delle Nazioni unite per la lotta all’Aids. Dal rapporto emerge che le persone sieropositive e malate di Aids nel mondo sono 42 milioni, di cui 5 milioni hanno contratto l’infezione nel 2002, mentre altri 3,1 milioni sono morte sempre quest’anno. La diffusione dell’infezione è in crescita in Asia anche se l’Africa sub-sahariana resta la regione più coinvolta con quasi 30 milioni di sieropositivi. L’epidemia è in crescita anche tra i giovani. Si stima che siano 3,2 milioni nel mondo i bambini sotto i 15 anni che hanno contratto il virus. Le donne infette rappresentano il 50% del totale dei colpiti dalla malattia. Solo il 4% dei pazienti, infine, ha accesso alle cure. Il 1 dicembre è la Giornata mondiale per la lotta contro l’Aids. Tema scelto “Live and let live” (Vivi e permetti di vivere). A questo riguardo abbiamo rivolto alcune domande a Roberto Cauda, professore straordinario di malattie infettive all’Università Cattolica.

Il tema della giornata richiama anche il capitolo legato alle cure attuali di questa malattia. A che punto siamo?

“Dal 1996 nei Pesi industrializzati, tra cui l’Italia, si è potuto finalmente affrontare il virus con farmaci efficaci. Fino a quel momento le strategie terapeutiche erano rivolte solo al controllo delle infezioni associate all’Hiv. Dopo questa data sono state introdotte nuove terapie antiretrovirali, ‘cocktail di farmaci’ più potenti, facendo compiere un deciso passo avanti nella cura del virus”.

In cosa consistono queste terapie?

“Nella possibilità di colpire il virus in diversi punti e diverse fasi del suo ciclo ‘replicativo’ attivando un controllo dell’infezione virale. Tuttavia queste nuove terapie a lungo andare possono indurre ‘resistenze’. Inoltre per la loro complessità e lunghezza di assunzione vi deve essere l’accettazione dei soggetti in cura. Questo fatto implica l”aderenza’ alle terapie per verificarne anche l’eventuale inefficacia”.

Si tratta di cure disponibili in tutti i Paesi?

“Lo scenario appena descritto riguarda i Paesi più industrializzati dove comunque la diminuzione dei casi e di mortalità non significa necessariamente diminuzione delle infezioni. E’ noto anche, come rilevato anche dal rapporto Unaids, che in zone del pianeta, Africa, Sud Est asiatico dove c’è carenza di queste terapie l’infezione sta crescendo. In queste aree determinate cure non sono ad appannaggio di tutti i pazienti, specialmente donne e bambini”.

Quali ragioni ne impediscono l’accesso?

“Certamente anche ragioni economiche. Sono terapie che hanno costi elevati specie in presenza di nazioni a basso reddito e alle prese con problemi politici e di guerre. Senza dimenticare spezzo l’assenza di strutture sanitarie adeguate”.

Cosa si può fare per risolvere il problema?

“Mi rifaccio al tema della giornata, ‘vivi e permetti di vivere’. Questo è possibile solo attraverso la solidarietà delle nazioni più ricche. In tempo di globalizzazione non dobbiamo dimenticarci che quello dell’Aids è un problema comune. Vanno previsti investimenti, risorse e strutture da fornire ai Paesi che per oggettive difficoltà economiche non possono far fronte a questo flagello che ha proporzioni ineludibili”.

A quando un vaccino contro l’Aids?

“Se ne discute molto sul piano scientifico. La strada è ancora lunga ma resta una prospettiva importante. Per il momento è necessario sperare in medicinali che inducono meno resistenze e semplici nella somministrazione. Non dimentichiamo la possibilità di nuovi farmaci, altri si prevede possano essere disponibili”.

Prima che curare è possibile prevenire l’Aids?

“A riguardo vorrei dire che l’informazione e la ricerca scientifica restano le strade migliori. E’ auspicabile investire sempre più risorse nella ricerca scientifica e medica”.

Il sito dell’Assa di Firenze