Italia

Arrestato militante Isis. Naso «Cultura del sospetto non ferma radicalizzazione»

Indagini a tappeto su una rete di indottrinamento fondamentalista presente e attiva nel nostro Paese e perquisizioni in corso da parte della polizia nei confronti di soggetti legati ad ambienti dell’estremismo islamico. 13 i decreti di perquisizione scattati a Milano, Napoli, Modena, Bergamo e Reggio Emilia. In manette, fino ad oggi, sono finiti a Torino un 23enne considerato autore del primo testo di propaganda Isis in italiano e a Foggia un maestro egiziano di un centro culturale. Il ministro dell’Interno Marco Minniti avverte: «La minaccia della jihad non è mai stata così forte in Italia». Paolo Naso, coordinatore per il ministero dell’Interno del Consiglio per i rapporti con l’islam, è da sempre convinto che il contrasto al terrorismo passa anche dalla possibilità di avere dei sensori diffusi capillarmente sul territorio: scuole, centri islamici, associazione culturali. Antenne capaci di intercettare e reagire appena si colga «un elemento di sgrammaticatura» rispetto all’idea di un islam moderato e in grado di far scattare l’allerta – «senza fare caccia alle streghe» – di fronte a qualsiasi processo di involuzione.

Contrastare il radicalismo islamico e favorire l’integrazione sociale. Nasceva con queste finalità il «Patto nazionale per un islam italiano» firmato al Viminale il 1° febbraio scorso. A sottoscrivere l’accordo, da una parte il ministro dell’Interno Minniti, dall’altra le più importanti associazioni e comunità musulmane (Ucoii, Coreis, Centro islamico culturale d’Italia-Grande Moschea di Roma, Confederazione islamica italiana), in rappresentanza di oltre il 70% dei musulmani che vivono in Italia. L’accordo è articolato: prevede che vengano resi pubblici nomi e recapiti degli imam, che i predicatori vengano debitamente formati, che i sermoni del venerdì nelle moschee siano svolti in italiano. «Tutti impegni – spiega Naso – volti a fare delle moschee delle case di vetro».

Il problema è che la radicalizzazione è 2.0, viaggia veloce e viaggia sul web. «Analizzando le biografie dei radicalizzati, quello che stiamo notando – sottolinea Naso – è che sempre di meno sono persone che vengono da percorsi di moschea e sempre di più sono i fai-da-te di internet. Individui che in due mesi arrivano a conclusioni radicali perché, come dice molto bene Olivier Roy, il fenomeno della radicalizzazione non è la conseguenza dell’islam ma è una islamizzazione del disagio. L’islam diventa la bandiera attraverso il quale il ragazzo denuncia la sua avversione al mondo».

La fortuna di non avere le «banlieue». Se fino ad oggi in Italia non si sono ancora registrati i clamorosi attentati che si sono verificati in altri Paesi europei, è dovuto sia all’operato di polizia e intelligence sia al lavoro di «bonifica» dei terreni di cultura dove purtroppo fioriscono disagio e criminalità. «La mancanza in Italia di queste grandi concentrazioni di popolazione immigrata in veri e propri ghetti – osserva Naso – ha fatto sì che ci fossero processi di integrazione più capillari e virtuosi». Il «Patto per un Islam italiano» rappresenta in questo senso «una pietra miliare» avviando un rapporto organico tra lo Stato e le associazioni islamiche che a loro volta si sono impegnate formalmente ad essere parte pro-attiva nel contrasto alla radicalizzazione. Nella consapevolezza che le comunità religiose «hanno antenne molto sensibili e possono intervenire, anzi sono intervenute, fornendo alle forze di polizia elementi utili a prevenire degli attentati o a bloccare processi di radicalizzazione».

Ma anche il controllo più serrato non è sicuro. Il contrasto alla radicalizzazione passa anche attraverso la prevenzione e la promozione di «luoghi di socialità forte nei territori». «Il modello italiano in questo senso mi sembra una premessa importante», afferma Naso e aggiunge: «Quello che serve è una cultura. Una cultura che non deve essere la cultura del sospetto come spesso cavalcano alcune forze politiche che pensano di risolvere il problema della radicalizzazione allarmando l’opinione pubblica, e facendo di ogni musulmano un possibile terrorista. Al contrario, noi abbiamo bisogno di conoscere il musulmano e fare di tutto perché quel musulmano sia un agente portatore di pace, di fraternità e di dialogo».