Italia

Bcc, una «mission» mutualistica di sostegno ai territori. Le ragioni di una riforma di sistema

I numeri. Un milione e duecentomila soci, 364 piccoli e medi istituti di credito riuniti in una struttura federale di rappresentanza (Federcasse) oltre a una decina rimasti autonomi, 4.450 sportelli in 2.697 comuni italiani, per un totale di 37mila dipendenti: questa è la fotografia odierna del «sistema Bcc», quelle banche di credito cooperativo che vantano una storia lunga oltre 130 anni e che – come si suol dire – «affonda le sue radici» nel cattolicesimo popolare e nel fiorire delle «opere sociali» del secondo Ottocento. Ebbene, in un mondo sempre più globalizzato e dove sembra in atto un processo di concentrazione industriale e finanziario senza pari, anche il sistema delle Bcc sta avvertendo da alcuni anni gli effetti della crisi partita da New York nel 2008 con il fallimento della banca Lehman Brothers. Queste piccole «banche del territorio», nate spesso su ispirazione di preti illuminati, di artigiani, commercianti e agricoltori desiderosi di avere un proprio istituto che li sostenesse con piccoli prestiti, necessari per poter sviluppare il proprio «business»; sostenute da figure di avvocati, professionisti e politici consapevoli dell’importanza di un credito che fosse vicino alle vere esigenze del primitivo ceto medio produttivo, sono oggi risucchiate nel ciclone finanziario e normativo che sta investendo le economie industriali avanzate di mezzo mondo. Prova ne sono i veri e propri tracolli di borsa delle ultime settimane, che hanno visto arretrare i listini pesantemente, azzerando i guadagni di un anno e colpendo soprattutto le banche.

Azionariato diffuso. Le Bcc non sono quotate, perché come società cooperative mantengono un azionariato diffuso e basato sul principio «una testa un voto», indipendentemente dal numero di azioni possedute. Ma proprio per questo, alla luce dei tracolli bancari avvenuti in Italia in questi ultimi tempi (Monte Paschi Siena praticamente ridotto a brandelli, Popolare dell’Etruria, Casse di Risparmio delle Marche, di Ferrara e di Chieti dissestate e fatte risorgere dopo perdite colossali subite dai rispettivi azionisti e obbligazionisti per via del «bail in» europeo) anche le banche di credito cooperative sono state coinvolte e «costrette», dalle norme comunitarie e dalla volontà dell’esecutivo italiano, a rivedere completamente il proprio assetto sistemico.

Un sistema solido con qualche «crepa». In termini finanziari, il sistema Bcc è piuttosto robusto: la raccolta complessiva ammonta a oltre 160 miliardi e gli impieghi toccano i 150 miliardi. Gli utili non sono molto elevati, anche perché per statuto le Bcc devono accantonare a riserva almeno il 70% dei proventi finali. Anche per questo motivo il patrimonio di sistema è quanto mai elevato, pensando che deriva da banche molto piccole, alcune piccolissime: si tratta di 20,5 miliardi di euro, una dotazione che finora ha consentito che nessuna Bcc fallisse.

Tre fondi di garanzia. Le attuali capogruppo territoriali o di servizio che fanno parte del credito cooperativo (banche Raiffeisen in Alto Adige, Cassa Centrale Banca, Casse Rurali Trentine, Iccrea) possono contare su ben tre fondi di garanzia interni, che al caso intervengono con decisione. Stiamo parlando del Fondo di Garanzia Istituzionale, del Fondo di Garanzia dei Depositanti e del Fondo di Garanzia Obbligazionisti. Con una simile dotazione, quando è stato necessario, qualche Bcc che aveva messo a rischio la propria tenuta o sopravvivenza, è stata subito «salvata», aggregata a un’altra vicina territorialmente e nessun cliente o obbligazionista ha perso qualcosa. Altro che «bail in», dicono a Federcasse: da noi non si scarica sui clienti l’eventuale malaffare degli amministratori, ma interveniamo prontamente, salviamo la banca salvo poi punire i colpevoli agendo per vie legali.

Autoriforma per mantenere la «reputazione». Però, all’interno della crisi di questi ultimi anni che in Italia si è fatta particolarmente sentire, anche le Bcc hanno visto aumentare le sofferenze, passate dal 2011 ad oggi dal 4 al 9% dei crediti erogati. I crediti deteriorati sono schizzati dal 10,4 al 18% e la reputazione delle Bcc, finora mantenuta al «top», rischiava di franare sotto i colpi delle chiusure di artigiani, commercianti e piccolo professionisti messi al tappeto dalla recessione. Così è accaduto che da un lato il sistema Bcc ha avvertito l’esigenza di «autoriformarsi» per non rimanere schiacciato sotto la cattiva reputazione che stava investendo il mondo bancario in genere. E dall’altro che il governo Renzi, nella sua fretta di riformare il riformabile, abbia premuto fortemente per modificare anche questa realtà, ritenuta troppo piccola e frammentata: sembra che il premier puntasse a una riforma in stile francese, dove il Credit Agricole ha raggruppato la miriade di banche locali.

Il progetto di autoriforma. Le Bcc italiane però non concordavano su questa linea e hanno proposto, già nell’estate scorsa, un proprio progetto di auto-riforma che dovrebbe a grandi linee essere accolto e varato entro la prima decade di febbraio. Verrebbe istituita una capogruppo (holding) dotata di un proprio patrimonio di partenza che potrebbe oscillare tra 800 milioni e un miliardo, il tutto con la firma di un «patto di coesione» da parte delle Bcc aderenti che a quel punto farebbero davvero sistema anche a livello finanziario, superando l’unicità dei singoli istituti. Per chi non aderisse si aprirebbero le porte per la trasformazione in banche popolari spa, con la quotazione in borsa, cosa che non fa gola a nessuna Bcc. La nuova holding avrebbe potere di veto sulle nomine degli amministratori delle singole Bcc, che però manterrebbero un elevato grado di autonomia gestionale, a condizione di gestire bene e con profitto. Sempre la nuova holding sarà controllata al 100% dalle Bcc al momento del varo, ma potrà raccogliere capitali da terzi, non facendo mai scendere le Bcc stesse sotto il 51% del capitale. Così facendo il mondo del credito cooperativo rimarrebbe fuori dal sistema europeo del «bail in» e dovrebbe provvedere, come già fa, a «salvarsi da solo» se qualcosa andasse storto.