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«Biotestamento, testo ambiguo sono necessari aggiustamenti»

Con 326 voti favorevoli, 37 contrari e 4 astenuti, il 20 aprile la Camera dei deputati ha approvato il ddl 1142 sulle Disposizioni anticipate di trattamento (Dat) che ora dovrà passare in seconda lettura al Senato. Un testo, ha puntualizzato il cardinale presidente della Cei Angelo Bagnasco in un’intervista al quotidiano «la Repubblica», «nel quale non possiamo riconoscerci», che «rischia di aprire derive pericolose» e rimane lontano da «quell’impostazione personalistica che trova riflesso anche nella Costituzione della nostra Repubblica, che tutela la salute come diritto dell’individuo e interesse della collettività». Con Alberto Gambino, presidente di Scienza & Vita, abbiamo parlato delle ambiguità e delle criticità presenti nel disposto legislativo. Almeno tre, secondo il giurista, gli aspetti problematici. Ma c’è anche un elemento positivo.

Le Dat stabiliscono il divieto di accanimento terapeutico… Ma il divieto di interventi sproporzionati, futili, inappropriati, che sta alla base di ogni buona pratica clinica è già contenuto nel Codice di deontologia medica. Dov’è allora la novità?

«Nel fatto che il testo introduce il dovere del medico di “astenersi da ogni ostinazione irragionevole nella somministrazione delle cure” in caso di paziente con “prognosi infausta a breve termine” o di “imminenza di morte”. Il concetto di “ostinazione irragionevole” non possiede però l’oggettività necessaria ad un testo di legge e potrà essere suscettibile di una molteplicità di interpretazioni soggettive, sia da parte del medico sia da parte della giurisprudenza. Un’ampia discrezionalità interpretativa che di fronte al dubbio potrebbe spingere il medico a “fermarsi” in nome di un principio di precauzione da applicare in questa circostanza non al paziente ma a se stesso, per tutelarsi di fronte ad un eventuale contenzioso futuro, aprendo così all’abbandono terapeutico. La stessa formulazione di “prognosi infausta a breve termine” non ha impedito in alcuni casi ad un paziente di continuare a vivere mesi se non anni».

Qual è il secondo elemento di criticità?

«Il voler considerare, a tutti i costi, la fattispecie dell’alimentazione e idratazione artificiale non come sostegno vitale ma come terapia. Un sostegno vitale che, effettivamente, richiede un presidio per far fluire il nutrimento all’interno dell’organismo del paziente, ma si tratta di alimentazione, non di farmaci. È ammissibile negare il sostegno vitale ad un paziente che presenta difficoltà ad alimentarsi autonomamente ma non è in punto di morte? Questo il nodo problematico, al quale se ne aggiunge un altro».

Ossia?

«La sedazione profonda, attualmente ammissibile solo in caso di malati terminali. Di per sé non provoca la morte; tuttavia, combinata con la possibilità di sospensione di alimentazione e idratazione artificiale consentita dal testo approvato alla Camera a prescindere dalla condizione di terminalità, conduce inesorabilmente al decesso del paziente configurando a tutti gli effetti una sorta di eutanasia passiva. Di qui il passo verso l’eutanasia attiva potrebbe essere breve».

Un punto controverso è il diritto all’obiezione di coscienza del medico, secondo alcuni non contemplato dal testo, secondo altri riconosciuto ancorché in maniera indiretta, non esplicita. Che ne pensa?

«Non mi sembra che l’assenza di “obbligo professionale” possa considerarsi sinonimo di “obiezione di coscienza”. Il testo afferma che il medico “non ha obblighi professionali” solo di fronte a richieste del paziente di trattamenti sanitari inappropriati, contrari alla normativa vigente, alla deontologia professionale o alle buone pratiche clinico-assistenziali. Nella legge manca il riconoscimento del diritto di obiezione di coscienza: se il paziente chiede il distacco di un presidio mi pare difficile che il medico possa rifiutarsi di farlo; significa semplicemente che la prestazione sanitaria deve essere sempre in linea con la legge. Anche questo è tuttavia un punto destinato a dare adito a interpretazioni divergenti».

Alla vigilia del voto in Aula, le strutture sanitarie cattoliche avevano rivolto un appello al Parlamento chiedendo il rispetto della propria libertà di coscienza…

«Il fatto che gli ospedali cattolici accreditati presso il Ssn non potranno essere esonerati dall’obbligo di applicare norme non conformi con i principi ispiratori sui quali fondano la propria attività, solleva un grave problema di conformità al Concordato che garantisce alle strutture d’ispirazione religiosa uno spazio di libertà di coscienza e l’esercizio legittimo di prerogative legate al proprio credo. Questo non riconoscimento porterà a contenziosi che finiranno certamente davanti alla Corte Costituzionale e molto probabilmente anche davanti alla Corte europea dei diritti dell’uomo».

Lei ha rilevato un emendamento positivo nel ddl approvato…

«Sì: l’abbandono del meccanismo rigido delle Dat che ora non sono più totalmente vincolanti. Se il medico, al momento di applicarle, ritenesse che queste disposizioni contengano volontà “manifestamente inappropriate” o “non corrispondenti alla condizione clinica attuale del paziente”, avrebbe la facoltà di disattenderle recuperando in parte la propria autonomia di giudizio. Questo aspetto noi lo sottolineavamo da un paio di mesi. Almeno su questo il Parlamento ha tenuto in considerazione i nostri rilievi».

La partita rimane tuttavia aperta. Il secondo round si giocherà al Senato…

«Al Senato le maggioranze sono diverse. Spero che parlamentari più vicini al tipo di sensibilità sopra delineata siano in grado di far passare qualche emendamento migliorativo».