Italia

Carcere, il muro della paura

«Il muro di cinta del carcere sta diventando l’ansiolitico che abbassa il senso d’insicurezza del cittadino impaurito. I problemi delle persone più ai margini della società, anziché con azioni di welfare, vengono affrontati in termini penali. Noi rifiutiamo decisamente questo modello perché ci accorgiamo che è fuorviante e privo di razionalità». Lo ha affermato Luisa Prodi, presidente del Seac, il Coordinamento enti e associazioni di volontariato penitenziario, aprendo il 45° convegno nazionale su «Carcere e sicurezza: le pratiche e le proposte», in corso fino a domani a Roma. Proprio ieri a Piacenza c’è stata l’ennesima tragedia nelle sovraffollate carceri italiane: un altro detenuto, un giovane italiano di 22 anni, si è tolto la vita. Secondo i dati recenti del rapporto Antigone, l’Italia è il Paese con le carceri più sovraffollate nell’Unione europea: il tasso di affollamento è oggi del 142,5% (oltre 140 detenuti ogni 100 posti: la media europea è del 99,6%). Al 31 ottobre la capienza regolamentare complessiva dei 206 istituti penitenziari è di 46.795 posti, a fronte di una presenza di 66.685 detenuti. Tra costoro il 33,2% avrebbe posto in essere atti autolesivi e addirittura il 12,3% avrebbe tentato il suicidio. Secondo il dossier «Morire di carcere» del Centro studi di «Ristretti orizzonti» nel 2012 sono morte in carcere 145 persone, tra cui 54 suicidi. Dal 2000 al 2012 sono stati 745 i suicidi.

Una situazione «deleteria e insopportabile». «Se costruire sicurezza equivale a costruire muri – ha precisato Prodi – presto o tardi ci si troverà cittadini di una città assediata da quegli stessi muri in cui volevamo confinare le persone ‘diverse’». Secondo l’esperienza quotidiana dei volontari a fianco dei detenuti italiani, «la situazione in cui versano le carceri oggi è deleteria e insopportabile, non solo per l’illegalità e l’inumanità che si produce, ma anche per la drammatica diminuzione delle opportunità trattamentali, determinanti ai fini del reinserimento sociale». Il modello del carcere con funzione punitiva, ha ribadito, «serve a perpetuare un’appartenenza al mondo del crimine mentre il carcere che rieduca ha una funzione preventiva dei reati, ne consegue un incremento della sicurezza di tutta la collettività».

«Una giustizia diversa». «Il volontariato può incidere da un punto di vista culturale sul modo di fare giustizia. Vogliamo una giustizia diversa che non sia solo il carcere e stia al tempo stesso dalla parte delle vittime, introducendo percorsi di riconciliazione sociale». Lo ha precisato a Patrizia Caiffa, del Sir, don Virgilio Balducchi, ispettore capo dei cappellani penitenziari, tra i relatori al convegno del Seac. «È necessario promuovere un’azione culturale per cambiare il Codice penale e considerare il carcere come ‘estrema ratio’ – ha affermato don Balducchi -. Con percorsi di riparazione sociale e di mediazione penale anche per gli adulti». Don Balducchi, che ha lavorato per 20 anni nelle carceri di Bergamo, è tra i promotori di un centro della Caritas di Bergamo che sperimenta proprio percorsi di riconciliazione sociale. «È vero – ammette – è una battaglia impopolare da un punto di vista giuridico e politico, ma non lo è per le vittime. Le esperienze dimostrano il successo dei percorsi di riconciliazione, perché partono dall’idea che alle vittime va resa giustizia. Sono temi che la politica comprende a fatica, ma la società civile in questo senso è più avanti».

Più misure alternative. Secondo don Balducchi, il «pacchetto giustizia» proposto dal ministro Paola Severino «è buono, ma temo che le forze politiche ne restringano l’applicazione limitando il numero dei reati che possono usufruire delle misure alternative». Giovanni Tamburino, capo dipartimento dell’amministrazione penitenziaria, è fiducioso: «Ci sono molte condizioni perché il nostro sistema penitenziario cambi. Ne va della dignità del nostro Paese». Per Maria Claudia Di Paolo, provveditore regionale amministrazione penitenziaria del Lazio (14 istituti con 7.170 detenuti), le misure previste dal «pacchetto giustizia» sono «l’ipotesi più innovativa per liberarsi dal carcere e, al tempo stesso, confrontarsi con le richieste di più sicurezza da parte della cittadinanza. Tutte le ricerche dimostrano che la recidiva è più bassa in chi ha usufruito dell’affidamento al servizio sociale e delle misure alternative».