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Come cambia il processo penale dopo la riforma

Alla legge che contiene «modifiche al codice penale, al codice di procedura penale e all’ordinamento penitenziario», approvata in via definitiva dalla Camera il 14 giugno, si è arrivati dopo tre anni di lavori. Nel campo del processo penale, in particolare, c’è chi fa risalire addirittura al 1999 il precedente intervento normativo non settoriale. Questo per dare la misura della portata della legge, che come tutti i provvedimenti complessi e con uno spettro così ampio è stata oggetto di valutazioni differenziate, anche radicalmente, non solo a livello politico ma anche da parte dei commentatori. La materia oltre che vasta è anche estremamente specialistica, ma poiché tocca ambiti decisivi per misurare il grado di civiltà giuridica di un Paese vale il tentativo di presentarne alcuni aspetti salienti, tenendo conto che in molti ambiti la legge fissa i criteri generali e delega il governo a emanare le norme di dettaglio.

La riforma introduce una nuova causa di estinzione per alcuni reati, come la diffamazione e la truffa, che viene attivata se si paga un risarcimento o vengono comunque eliminate le conseguenze dannose dei reati stessi. Sanzioni più pesanti, invece, per furti in abitazione, scippi, rapine, estorsioni e scambio elettorale politico-mafioso.

Un punto cruciale e particolarmente controverso è quello della prescrizione. I tempi vengono aumentati per gravi reati di corruzione e truffe aggravate per ottenere finanziamenti pubblici. Il calcolo dei tempi viene inoltre sospeso per 18 mesi in seguito a una condanna in primo grado e per altrettanti dopo una condanna in secondo grado. La norma mira evidentemente a evitare che la lentezza dei processi provochi l’estinzione dei reati, eventualità che suscita spesso una comprensibile riprovazione sociale, ma secondo alcuni commentatori potrebbe comportare per gli imputati una durata dei processi irragionevolmente lunga. Nel caso di gravi reati contro i minori, la prescrizione decorre a partire dal compimento del diciottesimo anno.

Un altro aspetto controverso è l’estensione sistematica della partecipazione a distanza al dibattimento (per esempio attraverso il video) che diviene la regola per chi si trova già in carcere, per i testimoni di giustizia e gli agenti infiltrati.

Per quanto riguarda le intercettazioni, la legge delega il governo a predisporre norme che evitino la pubblicazione di conversazioni irrilevanti ai fini dell’indagine o che riguardino comunque persone completamente estranee. Ciò attraverso una selezione del materiale raccolto, con la precisazione che gli atti non allegati ai provvedimenti dei magistrati dovranno essere conservati in un archivio riservato e che potranno essere esaminati o ascoltati dai difensori e dal giudice, ma senza facoltà di copia. Viene anche semplificato il ricorso alle intercettazioni per i reati contro la pubblica amministrazione. La disciplina delle «captazioni» attraverso i virus informatici, sempre ammesse in qualsiasi luogo per reati di mafia e terrorismo, dovrà prevedere che l’attivazione del microfono non avvenga in automatico, ma solo su comando da «remoto». La delega comprende anche una sanzione fino a 4 anni per la diffusione di riprese e registrazioni fraudolente con lo scopo di danneggiare la reputazione o l’immagine, mentre la punibilità è esclusa se tali materiali costituiscono prova di un processo o sono utilizzate nell’ambito del diritto di difesa o del diritto di cronaca.

La legge fissa anche i criteri per una riforma dell’ordinamento penitenziario, potenziando il ricorso alle misure alternative, eliminando preclusioni all’accesso ai benefici per i detenuti (con l’eccezione dei condannati all’ergastolo per delitti di mafia, terrorismo e comunque di eccezionale gravità), prevedendo il ricorso a pratiche di giustizia riparativa e introducendo misure specifiche per la tutela delle detenute madri e dei minori, per l’integrazione dei detenuti stranieri, per il diritto all’affettività, per la libertà di culto.

Forti perplessità ha suscitato una norma relativa alle Residenze per l’esecuzione delle misure di sicurezza (Rems), che prevede il ricovero in queste strutture di soggetti la cui infermità mentale sia intervenuta durante l’esecuzione della pena e di tutti coloro per i quali sia necessario accertare le condizioni psichiche. Il rischio intravisto è che le Rems possano ridiventare degli ospedali psichiatrici giudiziari. Preoccupazione non campata in aria se la norma, introdotta nel passaggio al Senato, aveva suscitato le riserve della commissione affari sociali della Camera e se i deputati, nell’approvare in via definitiva la legge, hanno nel contempo varato un ordine del giorno di indirizzo al governo perché nell’emanazione dei decreti previsti dalla delega eviti una deriva inaccettabile.