Italia

Commercio: Oxfam, «povertà e disuguaglianza sugli scaffali dei supermercati»

Lo studio analizza le politiche di alcune tra le maggiori catene di supermercati in Europa e negli Stati Uniti, che stentano ad adottare pratiche commerciali più eque nei confronti di piccoli produttori e lavoratori agricoli lungo le loro filiere di approvvigionamento. Dallo studio emerge che i supermercati trattengono una quota crescente del prezzo pagato dai consumatori (in alcuni casi fino al 50%), mentre quella destinata a lavoratori e produttori è spesso pari a meno del 5%. I piccoli coltivatori e i lavoratori, inoltre, nella stragrande maggioranza dei casi vivono in povertà: è quanto emerge dall’analisi della filiera di 12 prodotti comunemente presenti nei supermercati di tutto il pianeta. Per alcuni, come i produttori su piccola scala di tè indiano o di fagiolini verdi del Kenya, ad esempio, il guadagno medio è pari a meno della metà di quanto sarebbe loro necessario per condurre una vita dignitosa. Per le donne produttrici questo divario risulta maggiore. A fronte di tutto ciò, nel 2016 le prime otto catene di supermercati Usa, quotati in borsa, hanno incassato quasi 1.000 miliardi di dollari, generando 22 miliardi di profitti e restituendo 15 miliardi agli azionisti. «Solo il 10% dei dividendi distribuiti dalle tre maggiori catene di supermercati negli Stati Uniti nel 2016 – afferma Oxfam -, basterebbe a garantire un salario minimo a 600 mila lavoratori tailandesi nel settore della trasformazione dei gamberetti».

Nel 2015 erano circa 430mila i lavoratori irregolari in agricoltura e potenziali vittime di caporalato in Italia, «impiegati» in quasi tutte le principali filiere stagionali di frutta e verdura in vendita nella grande distribuzione. Tra questi 100mila lavoratori vittime di sfruttamento, con l’80% di lavoratori stranieri e il 42% di donne, che a parità di tipologia di lavoro venivano sottopagate rispetto agli uomini. È quanto emerge dal nuovo rapporto Oxfam. Un’indagine tra i lavoratori e i piccoli agricoltori in 5 Paesi con livelli di reddito molto diversi come Italia, Sud Africa, Filippine, Tailandia e Pakistan, ha rivelato un minimo comun denominatore: condizioni di povertà tali da compromettere la possibilità di sfamare adeguatamente sé e la propria famiglia. Basti pensare che in Italia il 75% delle lavoratrici nei campi intervistate da Oxfam, afferma di essere sottopagata, dovendo rinunciare a pasti regolari. «Le testimonianze raccolte ci dicono di piccoli agricoltori nella filiera della frutta esposti a pesticidi tossici, donne che lavorano nell’industria della trasformazione del pescato costrette a sottoporsi a test di gravidanza per poter lavorare – dichiara Winnie Byanyima, direttrice di Oxfam International -. Queste ingiustizie non dovrebbero stare sugli scaffali dei nostri supermercati, che generano miliardi di dollari di profitti e ricompensano generosamente i propri azionisti. In molti casi sarebbe sufficiente restituire l’1 o il 2% del prezzo al dettaglio – pochi centesimi – per cambiare la vita di donne e uomini che producono il cibo che finisce nelle nostre tavole».