Italia

Divorzio breve. La parola ai parlamentari «cattolici»

Quali sono le motivazioni sulle cui basi un parlamentare che si dichiari «cattolico», in qualunque partito egli militi, ha votato a favore del «divorzio breve», piuttosto che contro? Alla Camera, dove il disegno di legge è stato approvato giovedì 29 maggio, su 411 votanti, ben 381 hanno detto «sì» ad accorciare i tempi tra separazione e divorzio (a 6 mesi o 1 anno al massimo), 30 sono stati i contrari, 14 gli astenuti. A favore della nuova legge il M5S (col 100% dei consensi), Pd (99,1%), Forza Italia-Pdl (77,1%), Nuovo Centro Destra (72,2%). Contrari invece 10 deputati su 11 dei Popolari per l’Italia, il 62,5% dei deputati della Lega Nord, il 27,8% del Ncd e il 14,3% di Fi. Tenendo presenti queste percentuali a favore del «divorzio breve», il Sir ha interpellato 5 deputati «cattolici», di cui due contrari, due a favore e uno uscito dall’aula. Ecco le loro dichiarazioni.

A favore: Flavia Piccoli Nardelli (Pd). «Di fronte alla responsabilità di questo voto dovevamo rispondere al quesito di una scelta da fare che bilanciasse problemi e anche vantaggi alla famiglia. Ci siamo molto interrogati sull’impatto di questa scelta sui giovani, chiedendoci perché i ragazzi oggi non si sposano. Tutti sappiamo che la famiglia è uno dei punti di forza della società. Da parte mia ho votato per disciplina di partito e per correttezza. Inoltre sono convinta che c’è un discorso di libertà personale, e che il contenzioso non fa bene mai. Ritengo comunque che questo provvedimento vada inserito in discorso più ampio di riflessione e proposta positiva».

A favore: Edoardo Patriarca (Pd). «Ho votato a favore del ‘divorzio breve’. Ho preso atto di una storia quarantennale da quando la legge fu introdotta e considerato il lungo tempo previsto dalla richiesta di separazione al divorzio. Nelle evidenze delle famiglie per la gran parte questo tempo non ha mai aiutato percorsi di riconciliazione e così è diventato tempo di sofferenza, talvolta pagata più caramente dai bambini. La sfida antropologica è ridire che il matrimonio è un istituto fondamentale, ma che va difeso forse con altri strumenti che non siano soltanto la difesa della norma. Più che la battaglia sul tempo, mi pare occorra lavorare sul ‘pre’ separazione, perché si aiutino le coppie nella loro fragilità».

Uscito dall’aula: Ernesto Preziosi (Pd). «Ho partecipato alla discussione in aula, con altri parlamentari del Pd ho presentato e votato un ordine del giorno che il governo ha accolto e che chiede una serie di tutele. Ma al momento della votazione finale sulla legge ho preferito uscire dall’aula. Con questa accelerazione si è giunti a un testo che non tutela adeguatamente i soggetti più deboli del matrimonio, in particolare i figli. Si poteva ridurre il tempo che intercorre, ma la materia andava affrontata con maggiore approfondimento. Non intervenendo adeguatamente, quasi si banalizza ogni rapporto. Il limite è che il testo è passato in Commissione giustizia e avrebbe dovuto passare anche in Commissione affari sociali».

Contraria: Paola Binetti (Udc). «Ho votato contro il ‘divorzio breve’ perché questa legge servirà solo a far aumentare il numero delle famiglie sfasciate. Le leggi che davvero potrebbero aiutare le famiglie giacciono dimenticate, ma ci si è affannati per questa che aggraverà la sua fragilità. È stata coinvolta solo la Commissione giustizia puntando ad abbassare i tempi processuali. Invece andava coinvolta anche la Commissione affari sociali per gli aspetti legati al benessere e alla coesione familiare. È un errore consentire di chiudere un matrimonio in un lampo, sei mesi, bruciando tutti i tempi di riflessione e rielaborazione. E non è vero che la legge semplifica la vita: la parte debole della famiglia, coniuge e figli, sono penalizzati ed esclusi. Occorreva prevedere la mediazione familiare e tentare davvero la riconciliazione senza precipitazioni».

Contrario: Gian Luigi Gigli (Popolari per l’Italia). «Insieme al mio gruppo ho votato contro una visione che riduce la famiglia a fatto esclusivamente privato e non la considera più un bene comunitario, alla cui unità è riconosciuto valore dalla Costituzione. Il divorzio breve è passato con un iter ultra-breve, mentre giacciono insabbiate tutte le iniziative per aiutare le famiglie su altri fronti. Nessuno voleva rimettere in discussione la legge introdotta nel 1970, ma l’arroganza del radicalismo individualista ci ha impedito di riempire di contenuti e di aiuti lo spazio che proprio quella legge prevedeva per superare i conflitti familiari e tutelare i figli minori. Spiace che come sempre molti politici cattolici abbiano anteposto la disciplina di partito al sostegno alla dottrina sociale della Chiesa».