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EUTANASIA: MORTE DI CHANTAL SEBIRE, IL DOLORE DEI VESCOVI FRANCESI

Il “dolore” dei vescovi francesi per la morte di Chantal Sebire, la donna francese trovata morta ieri nella sua casa a Dijon dopo una lunga ed estenuante. “Di fronte a casi simili – dice il vescovo di Dijon, mons. Roland Minnerath – non vorremmo passare per coloro che danno lezioni, ma presentarci come fratelli in umanità che aiutano a discernere il cammino verso la luce”. “Chiedere ad una persona il gesto che ci priva della vita, è un grido di disperazione. Ma anche una richiesta di aiuto”. Il vescovo precisa che “sopprimere la sofferenza è una cosa, sopprimere la vita è un’altra” e che nel caso di Chantal “il nostro giudizio non può essere condizionato unicamente dalla emozione e sua amplificazione mediatica perché è in gioco il valore che diamo alla nostra stessa umanità”. Il vescovo elenca a questo punto gli “elementi di discernimento” che la Chiesa consiglio in caso di una malattia incurabile: terapia del dolore; interruzione dei trattamenti che non danno speranza di guarigione; evitare ogni accanimento terapeutico. “Questo atteggiamento – osserva il vescovo – è ben differente da quella che consiste nel decidere il momento della morte e di darla”. “Parlare di ‘una eccezione di eutanasia’ significa aprire una breccia” nella “nozione stessa di inviolabilità della vita umana”. La morte di Chantal – ha detto il vescovo di Fréjus Toulon, mons. Dominique Rey – è la fine di un dramma umano atroce che è stato fortemente seguito dai media”. Il vescovo mette in guardia dal tentativo di “strumentalizzare la tragedia di una persona che lotta con la morte”. “L’accettazione legale di un omicidio volontario di un malato da parte di medici e della società – aggiunge il vescovo – farebbe vacillare i principali fondamenti sui quali sono fondati il vivere insieme e il rispetto per ciascuno”. Sulla questione è intervenuto anche il card. Philippe Barbarin, arcivescovo di Lione, che in un’intervista a “Aujourd’hui en France” dice: “bisogna rendere omaggio alla medicina e al personale medico che si prendono cura e fanno del loro meglio per diminuire la sofferenza dei malati” i quali – aggiunge l’arcivescovo – “hanno bisogno della nostra compassione, della nostra presenza ed infinita delicatezza, piena di silenzio e di rispetto. Ma non dobbiamo mai legiferare sull’onda della emozione”. “Invece di riconoscere il diritto a dare la morte come succede in Belgio o in Olanda – propone l’arcivescovo – accompagniamo i malati fino al termine del loro percorso, lottando con loro contro la sofferenza. Nessuno ha il diritto di dare la morte”.Sir