Italia

Ex deportati e studenti, incontro tra generazioni

di Filippo Ciardi

Un vero viaggio iniziatico per gli studenti. Il Treno della Memoria per Auschwitz è stato guidato soprattutto dai ricordi delle 4 persone sopravvissute ai campi di sterminio che hanno accompagnato i ragazzi e parlato loro non solo nell’affollatissimo incontro del 27 gennaio in un cinema di Cracovia, ma durante tutto il percorso. Le sorelle Andra e Tatiana Bucci furono deportate all’età di 4 e 6 anni da Fiume, perchè ebree. La loro storia è ricordata nel libro «Meglio non sapere» di Titti Marrone. «Insieme ad altri familiari – hanno ricordato – siamo state portate via nel sonno il 28 marzo 1944 grazie ad un delatore, che pochi giorni prima ci disse che non ci sarebbe successo niente. La prima notte l’abbiamo passata in una prigione, poi ci hanno portato alla Risiera di San Sabba, dove siamo rimaste per alcuni giorni. Da lì, in un vagone bestiame, abbiamo affrontato il tremendo viaggio di 2 giorni verso Auschwitz. In un angolo un secchio per i nostri bisogni, pensate come poteva essere per tutta quella gente, specialemente le donne, trovarsi in quelle condizioni!». Ma l’inferno era appena iniziato. Le due bambine insieme al cugino Sergio, sono subito state divise dal resto della famiglia e dalla mamma, che, pensata morta quando non veniva più a trovarle, hanno ritrovato anni dopo, ritornate in Italia dall’Inghilterra, dove erano state accudite dal momento della liberazione del campo da parte dei Russi. Il cuginetto purtroppo non ce l’ha fatta, perché «fu tra i 20 bambini – hanno ricordato – chiamati per andare a trovare la mamma, perché con l’inganno i tedeschi vollero che si presentassero spontaneamente per quelli che erano invece esperimenti, alla fine dei quali furono uccisi in un modo barbaro. Viviamo con dei grandi sensi di colpa nei loro confronti, e soprattutto verso Sergio, per esserci salvate». «Opporsi ad ogni forma di propaganda e di educazione inculcata, come fu quella del fascismo» è stato il messaggio rivolto agli studenti da Marcello Martini, giovane staffetta partigiana, quando a 14 anni fu deportato verso il campo di Mauthausen. La sua storia è raccontata nel libro autobiografico “Un adolescente in lager”. «Io mi sono ribellato – ha raccontato Martini – entrando nella Resistenza con mio padre e collaborando con Radio Cora, un’emittente clandestina che forniva notizie agli Alleati. Funzionava talmente bene che 5 radiotelegrafisti vennero paracadutati per aiutarci a coordinare i movimenti dei partigiani toscani, ma fummo scoperti e il 9 giugno 1944 fui arrestato, per finire il 21 giugno sul treno per Mauthausen, senza che sapessi cosa mi aspettava. Tanti non hanno idea della capillarità dell’universo concentrazionario tedesco, c’erano centinaia di campi, e il nostro fu liberato solo il 5 maggio 1945, 3 mesi e mezzo dopo Auschwitz, continuando a funzionare e producendo altri morti fino alla vigilia dell’arrivo degli Americani. Alla fine, tra gli 8300 italiani entrati a Mauthausen, Gusen ed Ebensee, siamo sopravvissuti in meno di 1000». Maria Rudolf, che per i partigiani di Gorizia portava lettere e messaggi, ha raccontato la sua incredibile storia fatta di vari spostamenti, dopo essere stata assolta nel processo dopo l’arresto, a 17 anni, ma non risparmiata dalla deportazione, per “sottrarla al pericolo dei partigiani” della zona di confine con la ex Jugoslavia. È Appena uscito il libro “Tutto questo va detto”, di Gabriella Nocentini, insegnante presente al viaggio, che ha raccolto la sua testimonianza. «Dopo l’armistizio italiano dell’8 settembre 1943 – ricorda Maria Rudolf – la Venezia Giulia fu annessa al Terzo Reich. Credevamo che la guerra fosse finita, ma il peggio doveva arrivare. In casa eravamo rimaste solo donne, e i tedeschi ci terrorizzavano, perciò io decisi di collaborare con la Resistenza. Dopo pochi mesi mi hanno arrestata, il 9 aprile 1944, a causa di una spiata. Dopo le prigioni di Gorizia e Trieste il 2 settembre partii per una destinazione ignota, che si rivelò Auschwitz. Fui molto spaventata all’arrivo, vedendo donne senza capelli, vestite di stracci e ridotte a pelle e ossa. Ricordo con grande umiliazione rimanere nuda di fronte ai nazisti durante gli appelli». Maria Rudolf mostra senza vergogna invece il tatuaggio sul braccio, 88492 «numero che ho dovuto subito imparare a pronunciare in tedesco, per rispondere all’appello senza essere picchiata. Non me lo tolgo, perché fa parte della mia storia aver sofferto per aver fatto qualcosa contro il nazismo». Fortunatamente, dopo 40 giorni ad Auschwitz, Maria fu scelta per andare a lavorare a Flossenburg e alla fine a Plauen nella fabbrica di lampadine Osram «fino all’aprile 1945 – ricorda – quando scappai dopo il lancio di una bomba incendiaria».

Il messaggio unanime di tutti i testimoni alle nuove generazioni è stato unanime: «imparate a distinguere il bene dal male». Durante il viaggio di ritorno in treno, gli studenti hanno iniziato le prime riflessioni. Andrea Callari, dell’Itcs Fucini di Grosseto, è stato colpito «dal modo disumano in cui le persone vennero deportate e trattate nei campi di concentramento,  ridotte ad un numero». Michele Paris, dell’istituto magistrale Rosmini di Grosseto, ha ricordato come «quando mi hanno offerto la possibilità di partecipare al viaggio ho reagito con grande emozione e ne è valsa veramente la pena. Sentire le parole dei sopravvissuti mi ha fatto pensare a quei valori che allora si persero e che spesso anche tra noi giovani mancano oggi. Bisogna che noi ragazzi ci diamo una mossa perché la società che ci aspetta dopo la scuola ci trovi cittadini preparati ad affrontarla in modo degno». Antonella Soave, studentessa di Giurisprudenza a Siena, ha pensato che avrebbe rifatto subito questo viaggio perché «solo visitando un campo ci si rende conto della vastità dei crimini commessi dai nazisti». Silvia Sassano, studentessa di Scienze Politiche a Siena ha dichiarato che «un viaggio del genere serve di più a persone già sensibili a questi temi. Purtroppo le discriminazioni oggi non sono finite, diverse persone anche giovani, senza conoscere certi fatti storici, praticano fanatismi e dietro una logica di appartenenza si schierano contro altri gruppi, che siano gli zingari o gli immigrati, mentre ci sono formazioni neofasciste che si riorganizzano e che inneggiano a Hitler e a Mussolini».Ma mentre si fanno queste considerazioni il treno sta per arrivare a Padova, dove stanno per scendere le sorelle Bucci, che al microfono lanciano il loro saluto: «speriamo che ricordiate qualcosa di quello che vi abbiamo raccontato e che ne parliate anche con i vostri amici che non hanno partecipato a questo viaggio». A Padova, come prima ad Udine, dove era scesa Maria Rudolf, e a Cracovia, durante i saluti a Marcello Martini, tornato in aereo, applausi, strette di mano, abbracci, lacrime, senza nessuna retorica. Segno che questo viaggio ha veramente contribuito a passare il pesante testimone della Memoria tra generazioni e a gettare un seme di speranza nel futuro. Uno sguardo verso il futuro «Abbiamo portato nei campi di concentramento oltre 4500 ragazzi e più di 500 insegnanti». Ugo Caffaz, responsabile del settore cultura della Regione Toscana, nel fare un bilancio del Treno della Memoria torna indietro al 2002, data del primo viaggio «anche se l’idea è rimasta sostanzialmente la stessa: far far capire ai giovani i meccanismi per i quali si può arrivare fino ai campi di sterminio. Da allora ci sono stati altri conflitti, ma siccome Auschwitz è un simbolo del male assoluto, dovrebbe far intendere che non vale la pena fare la guerra». Il Treno della Memoria ha ovviamente anche dei costi, circa 580 euro a persona, «coperti – spiega Caffaz – grazie ad un grande contributo della Fondazione Monte dei Paschi di Siena, e poi della Regione Toscana, delle sue banche tesoriere e delle Province». Caffaz si sbilancia anche sul futuro: «Il viaggio del treno nel 2011 potrebbe non essere di nuovo ad Auschwitz, ma ad esempio a Majdanek». Camilla Brunelli, direttrice del Museo della Deportazione e della Resistenza di Prato, è soddisfatta dopo il primo anno in cui il Centro collabora ufficialmente con la Regione Toscana per l’organizzazione del viaggio. «Per noi – ha affermato – la Memoria è tutti i giorni, perché continuamente promuoviamo un lavoro didattico con le scuole e organizzamo incontri culturali. Siamo convinti che sia necessario venire ad Auschwitz almeno una volta della vita, nella ferma convinzione che memoria sia soprattutto conoscenza». Giovanni Gozzini, storico dell’Università di Siena, ha sottolineato come «negli anni sono migliorate molto la preparazione a cui abbiamo sottoposto gli insegnanti e i resoconti filmati e fotografici degli studenti». La motivazione di fondo che guida gli studenti che partecipano «è sempre la stessa – sostiene Gozzini – cioè domande ultime sulla natura dell’uomo. Fa molta impressione parlare con dei sopravvissuti che per loro sono assoluti alieni, perché parlano di un universo di sofferenza che per loro fortuna non hanno mai incontrato». C’è un doppio livello di trasposizione verso l’oggi della memoria di questi fatti, secondo lo storico. «Far riflettere i ragazzi sull’identità di appartenenza – spiega – e il conformismo delle mode giovanili, e far loro affrontare la questione della frammentazione delle mansioni che portò allo sterminio senza che i singoli esecutori della catena di morte si sentissero personalmente responsabili».