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Greenaccord, card. Sepe: «Niente comunione a chi butta il cibo»

«Ogni forma di egoismo è contro la visione non solo dell’uomo in quanto tale, ma è una forma di negazione di quello spirito cristiano che è basato sull’apertura all’altro e sul rispetto dell’altro – ha aggiunto -. Buttare il cibo sapendo che ci sono milioni di persone che muoiono è un disprezzare l’altro, l’umanità, è uno sconfessare se stesso, come membro della famiglia degli uomini». Di qui la conseguenza: «Il fatto che io, in dispregio all’altro, butti un cibo che all’altro potrebbe essere di sopravvivenza è chiaro che significa che io offendo, oltre all’uomo, anche quel Dio che è il datore della vita. E questa gente non può fare la comunione». Il porporato ha ricordato le sue parole su mafiosi e camorristi che «non possono ricevere i sacramenti, perché se io ammazzo l’altro e edifico la mia vita sulla morte degli altri come quelli che fanno i rifiuti tossici, come posso avere il coraggio di entrare in chiesa e partecipare alle celebrazioni liturgica? È una negazione. Così anche chi spreca. È un disprezzo».

A questo proposito, il cardinale Sepe ha ricordato la parabola del ricco epulone e di Lazzaro: «Non è una mia interpretazione. Alla fine, il ricco epulone è andato nel profondo degli inferi e Lazzaro è stato esaltato. Questo è un insegnamento evangelico che deve farci riflettere nel valutare le azioni di queste persone che disprezzano l’uomo». Il porporato ha, quindi, ribadito: «Come fai a dare la comunione a chi distrugge? Se io offendo una creatura di Dio è chiaro che io offendo anche Dio. Quando io commetto questi delitti, che facilitano o creano processi che possono riguardare anche la vita: Il mafioso che attenta alla vita è come il piromane o l’affossatore di veleni nelle terre che inquinano l’aria e le falde acquifere. Questi sono attentati alla vita e chi attenta alla vita è contro Dio». Dunque, «se non c’è nessun segno di pentimento, niente sacramenti in chiesa per queste persone». Rispondendo a una domanda sui 50 anni dell’enciclica di Paolo VI, «Ecclesiam suam», il porporato ha evidenziato: «È stata un’enciclica che ha creato una svolta all’interno non solo della pastorale della Chiesa, il dialogo a fondamento di tutte le attività che la Chiesa può svolgere, ma anche per esempio un influsso enorme sulle relazioni ecumeniche e sul piano sociale. È un merito di Paolo VI e sono contento che tra qualche settimana sarà dichiarato beato da Papa Francesco».