Italia

IMMIGRAZIONE: CNEL-CARITAS/MIGRANTES, AL NORD MIGLIORI CONDIZIONI DI INTEGRAZIONE, SOPRATTUTTO NELLE PICCOLE PROVINCE

Dagli anni Duemila ad oggi le regioni del Nord offrono le migliori condizioni di integrazione per gli immigrati mentre raddoppiano, in Italia, le province capaci di garantire livelli alti. I “delicati processi di integrazione sociale” si giocano soprattutto “nel piccolo”, in “contesti raccolti anche dal punto di vista amministrativo”. E’ quanto emerge dal V rapporto del Cnel sugli indici di integrazione degli immigrati in Italia, realizzato dall’équipe del Dossier statistico immigrazione Caritas/Migrantes, presentato oggi a Roma. La conferma delle regioni settentrionali vede però, nell’ultima rilevazione, il Trentino Alto Adige scavalcare il Veneto, con Trento ora prima in classifica tra le province a più alto indice d’integrazione. Raddoppiano invece le province a massimo potenziale d’integrazione: da 11 a 25, comprese 7 lombarde (Brescia, Lecco, Mantova, Bergamo, Cremona, Milano e Lodi), 2 (Vicenza, Treviso), 5 emiliano-romagnole (Reggio Emilia, Parma, Modena, Forlì-Cesena e Piacenza), 3 del Friuli Venezia Giulia (Trieste, Pordenone e Gorizia) e 3 piemontesi (Biella, Vercelli e Cuneo). Questo è, per i curatori della ricerca, “motivo di soddisfazione” perché quasi la metà delle province italiane (48 su 103) “mostra di possedere le condizioni potenziali per un’integrazione degli immigrati massimamente o altamente soddisfacente”.

In generale, osserva il rapporto, è nel “piccolo” che “si giocano in gran parte i delicati processi di integrazione sociale”, quelli che portano “ad essere e a sentirsi parte integrante del tessuto in cui si vive e che implicano possibilità di accesso reale e paritario ai servizi, partecipazione attiva alla vita del luogo e allacciamento di relazioni umane nel territorio, basate sull’accettazione e il riconoscimento reciproco”. Rispetto al potere d’attrazione delle regioni centrali, il rapporto evidenzia l’anomalia dell’area romano-laziale, area ad alta concentrazione di immigrati, dove molta manodopera straniera viene impiegata nel terziario ma con “stagionalità e precarietà”: “è facile presumere – si constata – che una quota di immigrati venga impiegata in nero, alimentando così un’economia parallela che sfugge alle rilevazioni ufficiali”. Una riflessione a parte viene condotta per il Mezzogiorno: secondo il rapporto non è vero che “in quest’area non vengano messe in atto azioni e politiche per l’integrazione degli immigrati” ma le difficoltà sono dovute “alle problematiche condizioni strutturali di partenza”. Occorre quindi che “la politica nazionale metta in atto interventi adeguati” per agire “sulle criticità strutturali del territorio” nella consapevolezza “che in questo modo si determineranno benefici per l’integrazione degli immigrati”.

Sir