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INTEGRAZIONE IMMIGRATI, RAPPORTO CNEL: NON SONO PIÙ PERICOLOSI DEGLI ITALIANI

È l’Emilia Romagna la regione con il più alto potenziale di integrazione degli immigrati. Tra le province, il primato spetta a Parma. È invece la Sicilia ad offrire pari condizioni di inserimento socio-occupazionale tra immigrati ed italiani. E, a sorpresa, al primo posto tra le collettività con il migliore inserimento lavorativo vi è l’India, seguita da Romania, Moldavia, Albania. È quanto emerge dal VII Rapporto Cnel sugli indici di integrazione degli immigrati in Italia, presentato oggi a Roma. Il Rapporto misura la qualità delle condizioni locali che favoriscono, o meno, l’integrazione degli immigrati, valutando alcuni indicatori di inserimento sociale (dispersione scolastica, accesso al mercato immobiliare, alla cittadinanza, criminalità) e di inserimento occupazionale (capacità di assorbimento di lavoratori stranieri da parte del mercato, reddito da lavoro, ecc.). L’Emilia Romagna, con un valore di 60,82 su 100 (che indica un “ampio margine di possibile miglioramento) si colloca dunque, nella graduatoria “assoluta”, al primo posto per livello generale di inserimento sociale, seguita da Friuli Venezia Giulia (59,29 punti), Lombardia e Lazio (entrambe con 57 punti). Nelle ultime posizioni si trovano, invece, l’Abruzzo (38,24 punti), la Puglia (37,36) e la Sardegna (32,65). La provincia con il potenziale più alto di integrazione è Parma, poi Reggio Emilia e Modena.Nella graduatoria “differenziale” sulle zone che, pur non avendo potenziali elevati, riescono a realizzare una maggiore equiparazione tra immigrati e italiani spicca la Sicilia, con appena 0,06 punti a svantaggio degli immigrati, seguita dal Piemonte e dal Molise. Enna, invece, risulta l’unica provincia italiana in cui il livello di inserimento socio-lavorativo degli stranieri è migliore (più 0,20%) rispetto agli italiani. In fondo alla classifica, Oristano e Nuoro. Tra le città metropolitane Napoli, Venezia, Torino e Bari sono agli ultimi posti. “Ciò conferma che in Italia i processi di integrazione degli immigrati – si legge nel Rapporto – hanno migliori chance di riuscita ‘nel piccolo’”. Nella graduatoria di buon inserimento lavorativo, in termini assoluti la Romania ha il più alto numero di occupati (insieme a Albania e Ucraina), ma è l’India ad avere la migliore posizione come “buona occupazione” (con 171 punti). Gli ultimi posti sono occupati da Pakistan (71) e Nigeria (61). “Dalla qualità dell’integrazione – commenta Giorgio Alessandrini, del Cnel – dipende un bene prezioso come la coesione sociale del Paese”. A suo avviso il “Piano per l’integrazione nella sicurezza” approvato dal governo, presenta “forti motivi di apprezzamento” ma anche “gravi criticità” nelle politiche: “dalla casa, alla scuola, alle seconde generazioni”.Non è vero che con l’aumento degli immigrati aumenti anche la criminalità e che gli stranieri siano più pericolosi degli italiani. Non è vero che i romeni delinquono più degli altri. A sfatare tanti pregiudizi su immigrazione e criminalità ci pensa il VII Rapporto Cnel sugli indici di integrazione degli immigrati in Italia, presentato oggi a Roma. In generale, il Cnel dimostra che “l’aumento degli immigrati non si traduce in un automatico aumento proporzionale delle denunce penali nei loro confronti”. In valori assoluti, infatti, il numero di denunce complessivo (riguardanti italiani e stranieri insieme) è stato nel 2005 di 2.579.124, nel 2006 di 2.771.440, nel 2007 di 2.993.146 e nel 2008 di 2.694.811. Di queste, il numero di quante hanno riguardato cittadini stranieri è di 248.291 nel 2005, 275.482 nel 2006, 299.874 nel 2007 e 297.708 nel 2008. Nel periodo 2005-2008, dunque, mentre i residenti stranieri sono incrementati del 45,7%, le denunce contro stranieri sono aumentate solo del 19,0%. Il Cnel mette in evidenza che “queste denunce non riguardano solo gli stranieri iscritti in anagrafe, ma anche quelli in attesa di registrazione, gli irregolari e quanti sono temporaneamente presenti in Italia per turismo, affari o altro”.A carico dei nuovi venuti vi è quindi un denunciato ogni 25 individui (senza includere irregolari e turisti), mentre a carico di tutte le persone residenti in Italia (italiani e stranieri) vi è un denunciato ogni 22 individui. “Viene così a cadere – sottolinea il Rapporto – il pregiudizio di una maggiore pericolosità degli stranieri”. A carico dei nuovi venuti vi è quindi un denunciato ogni 25 individui (senza includere irregolari e turisti), mentre a carico di tutte le persone residenti in Italia (italiani e stranieri) vi è un denunciato ogni 22 individui. “Viene così a cadere – sottolinea il Rapporto – il pregiudizio di una maggiore pericolosità degli stranieri”. A livello di singole collettività, rileva il Cnel, si possono considerare più virtuose quelle che hanno una quota di denunce penali inferiore alla loro quota sui residenti stranieri. E’ il caso della Moldavia: la differenza tra la percentuale delle denunce e quella dei residenti è di 9,6 punti a favore di quest’ultima. Le denunce sono percentualmente inferiori alla quota dei soggiornanti anche per la Romania (-6,5 punti), l’Albania (-4,8 punti) e la Cina Popolare (-1,8 punti). “Cadono così anche i pregiudizi su diverse collettività in precedenza considerate ‘canaglie’ – osserva il Rapporto -, tra le quali fino a pochi anni fa gli albanesi, e ora i romeni”. Nei confronti dei romeni le denunce presentate in Italia nel periodo 2005-2008 sono aumentate del 32,5% (da 31.405 a 47.234), mentre nello stesso arco di tempo la popolazione romena è quasi triplicata (da 297.570 a 796.477), per cui le presenze sono aumentate otto volte più degli addebiti penali. Il Rapporto Cnel non tace però sulle criticità: Marocco, Senegal, Tunisia, Nigeria ed Egitto totalizzano il 29,6% delle denunce presentate contro stranieri, contro una quota del 18,7% sui soggiornanti. In particolare, le denunce contro i marocchini sono aumentate del 34,3% (da 29.548 a 41.454), contro una media straniera generale del 19,9%, e incidono per il 13,5% sul totale delle denunce, una percentuale che nel tempo si incrementata. Il Cnel chiede di interrogarsi sulle “strategie più adeguate di contrasto”, ricordando che “un’opera di prevenzione e recupero non è possibile senza un maggiore coinvolgimento delle forze associative e anche religiose”.Sir