Italia
Il dolore e le sue cure: i sì e i no della Chiesa
Oggi si parla molto di terapie lenitive del dolore: le cosiddette «cure palliative», che non guariscono la malattia ma diminuiscono la sofferenza. La Chiesa cosa ne pensa?
«La Chiesa è assolutamente d’accordo con tutto ciò che può alleviare il dolore. L’uomo non potrà mai eliminare dal mondo la sofferenza: e come cristiani, dobbiamo ricordare che anche la sofferenza ha un significato. Questo però non toglie che siamo chiamati anche a offrire sollievo e solidarietà a chi soffre. Gesù ci ha lasciato un esempio chiaro: lui stesso non ha rinunciato a guarire quanti si trovava davanti. La vera compassione, che Gesù ci ha insegnato, deve spingere a favorire la guarigione del paziente, o almeno ad alleviare la sua sofferenza».
Ed è qui che intervengono le «cure palliative».
«Quando la malattia non è più curabile, è doveroso evitare ogni forma di ostinazione o accanimento terapeutico, ma diventano anche necessarie quelle cure palliative che, come afferma l’enciclica Evangelium vitae, sono destinate a rendere più sopportabile la sofferenza nella fase finale della malattia e ad assicurare al tempo stesso al paziente un adeguato accompagnamento».
C’è chi propone l’eutanasia proprio come forma estrema di carità, al fine di evitare inutili sofferenze. Cosa risponde?
«Eutanasia è ogni azione o omissione che provoca la morte di una persona disabile o gravemente ammalata: è moralmente inaccettabile. Anche se viene fatta allo scopo di porre fine al dolore, costituisce un atto gravemente contrario alla dignità della persona umana e a Dio Creatore».
A volte però ci sono delle situazioni in cui tenere artificialmente in vita una persona, attraverso la tecnologia medica, appare eccessivo.
«È qui che si deve distinguere bene. La compassione, dicevamo, ci spinge a favorire la guarigione: al tempo stesso però essa aiuta a fermarsi quando nessuna azione risulta ormai utile a tale fine. Il termine accanimento terapeutico definisce ogni trattamento inefficace o chiaramente sproporzionato che si dà a un paziente terminale. Il rifiuto dell’accanimento terapeutico, pertanto, non è un rifiuto del paziente e della sua vita: è piuttosto espressione del rispetto che si deve al paziente. È proprio per questo senso di amorevole rispetto che dobbiamo usare tutte le attenzioni possibili per diminuire le sofferenze e favorire, nell’ultima parte dell’esistenza terrena, un vissuto per quanto possibile sereno».
Oggi si parla molto anche del «testamento biologico», attraverso cui le persone potrebbero dichiarare anticipatamente la propria volontà in materia di trattamento medico nel caso di malattie gravi. Cosa ne pensa?
«Il testamento biologico va bene se serve ad evitare l’accanimento terapeutico, ma non è più accettabile se conduce all’eutanasia».
Al di là di tutto questo, resta il grande mistero del dolore, al quale la scienza e la tecnica non potranno mai dare risposta.
«L’unico modo per decifrare l’enigma del dolore e della sofferenza è la via dell’amore. Un amore capace di trasformare la morte in affermazione gioiosa, in vita. Il mistero non è oscurità, ma chiarezza abbagliante: la luce che abbaglia ci costringe a chiudere gli occhi, come quando si guarda il sole. Solo in questo eccesso di luminosità possiamo intravedere ciò che è la sofferenza. Inoltre, il mistero cristiano non è solo qualcosa che si contempla, bensì che si sperimenta. Solo sperimentando il mistero, ci si può addentrare nella sua comprensione. Solo vivendo il mistero della sofferenza cristiana si può comprendere un po’ il significato della sofferenza e, come dice Giovanni Paolo II nella Salvifici doloris, trascenderla e superarla».
Monsignor Gianni Colzani, docente della Pontificia Università Urbaniana di Roma, ha infine esplorato la dimensione teologica della sofferenza: «Nel mondo di oggi la sofferenza è considerata una realtà marginale, da nascondere, a causa dell’incapacità della società di integrare e riconoscere il dolore: sappiamo rimuoverlo, isolarlo, ma non viverlo. Serve una cultura della vita diversa, capace di rendere ragione a chi gioisce, ma anche a chi soffre. Questo è certamente un problema esistenziale e sociale, spesso dai risvolti drammatici come nel caso del dolore innocente, ma è anche una questione ecclesiale e teologica. Giobbe ci ricorda che chi soffre non può fare a meno di alzare il suo lamento fino a Dio. Il Vangelo della Croce presenta un Gesù Cristo sofferente che fa del suo dolore e soffrire un atto di libertà, di solidarietà e di fede. Ci mette di fronte a una sofferenza non più frutto del male e del peccato, ma rivivificata dall’amore per tutti gli uomini».
2278. L’interruzione di procedure mediche onerose, pericolose, straordinarie o sproporzionate rispetto ai risultati attesi può essere legittima. In tal caso si ha la rinuncia all’«accanimento terapeutico». Non si vuole così procurare la morte: si accetta di non poterla impedire. Le decisioni devono essere prese dal paziente, se ne ha la competenza e la capacità, o, altrimenti, da coloro che ne hanno legalmente il diritto, rispettando sempre la ragionevole volontà e gli interessi legittimi del paziente.