Italia

Immigrazione: Caritas-Migrantes, 5 milioni di stranieri in Italia

Oltre 5 milioni di stranieri residenti in Italia (l’8,2% della popolazione), di cui il 52,7% donne. Sono soprattutto romeni, albanesi e marocchini (le tre nazionalità rappresentano il 41,3% del totale) anche se in Italia sono presenti ben 198 nazionalità. Quasi il 60% vive nelle regioni del Nord. Le regioni con il più alto numero di presenze sono Lombardia (23%), Lazio (12,7%), Emilia Romagna (10,7%) e Veneto (10,2).  Sono i dati riferiti al 2015 che fanno da sfondo al XXV Rapporto immigrazione di Caritas italiana e Fondazione Migrantes presentato oggi a Roma, 500 pagine che raccontano la presenza della popolazione straniera in Italia come fenomeno oramai strutturale in tutti gli ambiti sociali.

Tema dell’edizione di quest’anno è «La cultura dell’incontro», per raccontare l’integrazione nei territori e sottolineare come l’Italia sia «molto di più di questa recente storia di migranti forzati». In termini numerici assoluti, nell’area Ue-28 gli stranieri residenti sono 35,2 milioni, con un aumento del 3,6% rispetto al 2014. Di questi, il 21,5% vive in Germania, il 15,4% nel Regno Unito, il 14,3% in Italia, il 12,4% in Francia. Caso singolare è il calo dei residenti stranieri in Spagna, diminuiti del 4,8%. Nel 2014 in Italia sono state registrate 129.887 acquisizioni di cittadinanza italiana, con una crescita del 29%. Prevalgono le acquisizioni da parte dei marocchini e degli albanesi, presenti da più tempo in Italia.

Mentre la retribuzione media mensile degli occupati italiani è di 1.356 euro, quella degli stranieri è di 965 euro, pari al 30% in meno. Il 41,7% dei lavoratori stranieri rientra dunque nella categoria dei «working poor» (gli italiani sono il 14,9%), e le donne sono le più penalizzate (59,3%) perché lavorano in settori con livelli retributivi più bassi della media. Secondo quanto emerge dal Rapporto, che analizza la presenza dei residenti stranieri nel vari settori, sono 2.360.307 i lavoratori stranieri in Italia (il 10,5% del totale), di cui l’88,5% è dipendente. Svolgono in maggioranza lavori meno qualificati (36,5% rispetto al 7,9% degli italiani) nei settori dei servizi collettivi e personali (29,8%), nell’industria (18,4%), nel settore alberghiero e della ristorazione (10,9%), nelle costruzioni (9,6%) e nel commercio (8,3%).  Nei servizi operano soprattutto le donne, nei cosiddetti settori delle «tre C»: caring, cleaning e catering (cura, pulizia e ristorazione). Anche se la maggioranza è impiegata come dipendente, nel 2014 sono aumentati del 6,2% i titolari di imprese nati in un Paese extra-Ue: 335.452. Spiccano ancora le situazioni di sfruttamento e le disuguaglianze retributive, con molti part-time involontari che nascondono «lavoro grigio».

Nell’anno scolastico 2014/2015 erano 814.187 gli alunni stranieri nelle scuole italiane, di cui 445.534 nati in Italia, questi ultimi aumentati del 7,3% rispetto all’anno precedente. Rappresentavano il 9,2% della popolazione scolastica italiana, con una crescita annuale dell’1,4%, segno di un insediamento stabile con la propria famiglia. Il XXV Rapporto immigrazione di Caritas italiana e Fondazione Migrantes descrive una scuola sempre più multietnica, soprattutto nelle regioni del Nord: il valore più alto di alunni stranieri nelle classi è in Emilia Romagna (15,5%), seguita da Lombardia (14,3%) e Umbria (14,2%). Nel Centro-Sud solo il Lazio arriva al 9,3%, mentre l’incidenza più bassa è in Sardegna (2,3%) e Puglia (2,6%). Caritas e Migrantes rilanciano, in questa occasione, l’appello ad una rapida approvazione della legge sulla cittadinanza (licenziato dalla Camera e ora al vaglio del Senato) che prevede l’introduzione dello «ius soli» in forma temperata (uno dei genitori deve avere il permesso di soggiorno da almeno un anno) e un iter particolare per i minori stranieri arrivati da piccoli in Italia. «Nonostante le carenze per favorire l’acquisizione della cittadinanza per naturalizzazione – ha affermato don Francesco Soddu, direttore di Caritas italiana -, riteniamo sia comunque importante che i nostri politici diano un segnale chiaro di risposta alla volontà di integrazione delle nuove generazioni».

Gli stranieri in carcere? Sono molto meno di quanto si pensi. Su un totale di 52.164 detenuti gli stranieri sono il 33,24% del totale (17.340), una cifra in diminuzione rispetto al 2009 quando erano il 37,1%. C’è però un fatto nuovo: anche se è un dato residuale (95 detenuti) nel Paese sono entrate le mafie straniere, che agiscono affiliandosi alle mafie italiane. E’ quanto emerge nella sezione dedicata ai reati e al carcere del XXV Rapporto immigrazione di Caritas italiana e Fondazione Migrantes. Anche se le nazionalità più rappresentate sono il Marocco (2.840 detenuti) , la Romania (2.821), l’Albania (2.423) e la Tunisia (1.893), i curatori del rapporto invitano a non fare «frettolose analisi che facciano concludere per l’attribuzione a determinati gruppi etnici di una maggiore propensione al crimine». Le cifre vanno lette, infatti, considerando che queste comunità sono le più numerose e di più antico insediamento in Italia. Tra i reati commessi: 8.192 contro il patrimonio, 6.599 contro la persona, 6.266 in violazione della legge sulla droga, 2.499 contro la pubblica amministrazione e 1.372 in violazione della normativa sull’immigrazione. Reati «di grande impatto sociale – si legge nel volume – che influiscono sulla percezione della diffusione criminale».

Mons. Perego: «Una presenza stabile». I numeri e le analisi del XXV Rapporto immigrazione dimostrano che la presenza di immigrati in Italia è stabile «con una crescita annuale di soli 11mila immigrati nel 2015 e i primi cali di numeri di immigrati nel Nord Est, nelle Marche e in Umbria». Nonostante ciò «si continua a parlare di ‘invasione inarrestabile’ in riferimento a 130mila richiedenti asilo e rifugiati accolti nelle diverse città e regioni del nostro Paese: falsificazioni che impediscono ancora una adeguata politica dell’immigrazione», ha affermato monsignor Giancarlo Perego, direttore della Fondazione Migrantes, durante la presentazione del volume.  «Sono 25 anni che Caritas e Migrantes, organismi pastorali della Cei, hanno sentito il dovere di leggere e raccontare, anche con i numeri, un fenomeno importante, quale è l’immigrazione, che sta rinnovando i luoghi fondamentali della vita sociale del nostro Paese: il lavoro, la scuola, la famiglia, la città, la Chiesa – ha ricordato -. L’esigenza di una lettura attenta e puntuale, statistica e sociologica, ripetuta ogni anno, è nata dal rischio – mai cessato in questi 25 anni – di raccontare l’immigrazione più affidandosi alla ‘percezione’ del fenomeno migratorio che alla sua realtà. Un rischio di ieri – quando 25 anni fa si iniziava a parlare sulla stampa di ‘invasione inarrestabile’, smentita dai dati del primo Rapporto immigrazione del 1991, che fece la fotografia di un popolo di 356mila persone – e un rischio di oggi».  Al contrario questo «popolo di 5 milioni di persone arrivate o nate in Italia» sta «diventando sempre più una componente strutturale per la crescita del nostro Paese». «Ogni chiusura, ogni discriminazione, ogni ritardo nel riconoscimento della cittadinanza, ogni esclusione impoverisce, indebolisce la vita delle nostre città e, in esse, della Chiesa», ha concluso.

Mons. Soddu: «Abbassare tasse per rinnovo e cittadinanza». Misure di sostegno economico per tutti, «per riequilibrare un’eccessiva disparità economica fra i cittadini che vivono e lavorano nel nostro Paese, italiani o stranieri che siano»: lo ha chiesto don Francesco Soddu, direttore di Caritas italiana, durante la presentazione a Roma del XXV Rapporto immigrazione di Caritas italiana e Fondazione Migrantes. Ricordando le gravi disparità salariali e le situazioni di sfruttamento degli immigrati – come illustrato nel rapporto – don Soddu ha fatto presente, ancora una volta, la richiesta dell’Alleanza contro la povertà di introdurre in Italia il Reis (Reddito di inclusione sociale), una misura universalistica di lotta all’esclusione sociale. La Caritas chiede anche, a favore degli immigrati e per allinearsi agli standard europei, «un abbassamento delle tasse per i rinnovi dei permessi di soggiorno e per l’inoltro della domanda di cittadinanza, attualmente troppo elevati rispetto alla media europea e anche ingiustificati in confronto ad altre istanze di tipo amministrativo». Oltre a sollecitare l’approvazione della legge sulla cittadinanza, don Soddu ha richiamato anche l’iniziativa di legge popolare per riconoscere il diritto di voto alle amministrative per i cittadini stranieri residenti: «Non si può pensare di costruire un dialogo costruttivo con nessun interlocutore se non gli si dà voce, se non lo si coinvolge nei processi che lo riguardano». Il direttore di Caritas italiana ha poi sottolineato l’importanza dei processi formativi di insegnanti e alunni per «favorire una esatta conoscenza del fenomeno», approfondire le «connessioni tra i fattori di spinta e quelli di attrazione» e contro «un’immagine falsata e stereotipata dei movimenti migratori».

Mons. Di Tora: «Cittadinanza per i minori stranieri». «Una cittadinanza per i minori stranieri (oltre 1 milione in Italia), ma anche un esercizio della cittadinanza per gli adulti sono due binari su cui corre una cultura dell’incontro che si traduca nella capacità anche di riconoscere peso alla rappresentanza del popolo dei migranti, superando anche le paure di chi vede nell’allargamento dell’esercizio del voto una debolezza e non una forza nel rinnovamento del nostro Paese»: sono alcune delle richieste avanzate oggi a Roma da monsignor Guerino Di Tora, vescovo ausiliare di Roma e presidente della Fondazione Migrantes, durante la presentazione del XXV Rapporto immigrazione Caritas/Migrantes. «Gli immigrati non possono essere qualificati solo come lavoratori: sono mariti, padri di famiglia, figli – ha sottolineato -. La famiglia, il ricongiungimento familiare, una politica familiare attenta alle nuove famiglie miste, sempre più crescenti, è il secondo luogo fondamentale da tutelare nella costruzione di una cultura dell’incontro». Anche «ritardare i ricongiungimenti, lasciare troppi anni le persone, soprattutto i figli in un contesto di famiglia spezzata, amputata – ha ricordato – significa ritardare processi di inclusione sociale e di integrazione». Purtroppo, ha rilevato, i tanti minori migranti presenti nelle nostre scuole, negli oratori, nelle associazioni, «non sono riconosciuti  ancora come cittadini italiani pur essendo nati nella maggior parte di casi in Italia o  pur avendo studiato in Italia: un grave ritardo che si trascina ancora oggi e che speriamo venga superato al più presto».