Italia

«Infibulazione dolce», un coro di «no»

DI CLAUDIO TURRINIUn’infibulazione «dolce» in luogo della tradizionale mutilazione: una puntura di spillo sui genitali femminili anestetizzati per far uscire qualche goccia di sangue. È la proposta lanciata da un ginecologo somalo, Omar Abdulkamir, che opera presso l’ospedale Careggi di Firenze dove coordina il Centro di prevenzione e cura delle mutilazioni genitali femminili. Un vero e proprio osservatorio dove passano mediamente dalle 400 alle 500 donne l’anno, tutte per complicazioni dovute a questa pratica diffusa in varie culture e dove, negli ultimi anni, sono stati stati praticati più di 500 interventi di deinfibulazione, per la ricostruzuione dei genitali femminili, a donne provenienti da tutta Italia.

Della proposta l’assessore alla sanità della regione Toscana, Enrico Rossi, aveva investito l’Ordine dei medici e il Comitato regionale di bioetica. Ma prima che da questi due organi arrivassero delle indicazioni, una valanga di «no» ha sommerso l’“infibulazione dolce”, non appena è stata anticipata da un quotidiano nazionale. Reazioni dure e anche minacce di denuncia contro il ginecologo somalo. «Anche l’infibulazione alternativa può rappresentare un trauma, se non fisico sicuramente psicologico, per le bambine sulle quali viene praticata», ha dichiarato il consigliere regionale di Forza Italia, Anna Maria Celesti, vicepresidente della commissione sanità : «In un centro come quello di Careggi, dove si fa prevenzione contro l’infibulazione e si cerca di limitare le conseguenze di questa pratica, che si presentano soprattutto durante la gravidanza ed il parto – ha proseguito Celesti – è completamente sbagliato affrontare questa realtà con una alternativa, in quanto si tratta di una pratica aberrante che deve essere totalmente sradicata, non esistono soluzioni di compromesso o alternative».

Sulla stessa lunghezza d’onda un gruppo di immigrate a Firenze, da Somalia, Eritrea, Capo Verde, Senegal e Costa d’Avorio che assieme alle consigliere regionali Ds, Marisa Nicchi e Alessia Petraglia, all’assessore all’immigrazione del Comune di Firenze, Marzia Monciatti e alla presidente della Commissione pari opportunità, Mara Baronti. «I capi delle nostre comunità – ha detto Diye Ndaye, senegalese – hanno firmato un accordo sul progetto alternativo con il dottor Abdulkadir, senza sentire il nostro parere, se ci avessero sentito avremmo detto di no ed gli avremmo spiegato il perché». «Le donne come me, sfuggite ai fucili della guerra in Somalia – ha aggiunto Ghanu Adam -, ma non sfuggite alle mammane dell’infibulazione, che vivono oggi in Italia, in un paese civile, non vogliono che di quel rito resti nemmeno il simbolo perché alle nostre figlie insegniamo che non si deve fare e basta». «Sull’infibulazione – secondo Laila Abi, somala, dell’associazione Nosotras – non ci possono essere compromessi, va solo combattuta con l’informazione e la cultura dell’intangibilità del corpo femminile» e ha invitato «tutte le donne italiane a partecipare con noi alla giornata contro le mutilazioni genetiche femminili del prossimo 6 febbraio». «La vera alternativa – per l’assessore Monciatti – è quella di creare una rete di prevenzione che coinvolga Regione, Comuni, scuole, associazioni, medici di base, ospedali: solo sconfiggendo l’ignoranza si sconfiggono le mutilazioni genetiche, non trasformandole in un rituale anche se non invalidante».

Una bocciatura senza appello è arrivata anche dalle Associazioni di donne immigrate in Toscana. «Pur simbolica e fisiologicamente innocua – ha detto Clara Silva, presidente dell’Associazione Nosotras – la puntura rituale evocherebbe sempre e comunque lo spettro opprimente e inquietante della mutilazione che dovrebbe esorcizzare oltre ad essere psicologicamente devastante». «Forse – ha aggiunto Edith Okafor del Consiglio Provinciale degli Stranieri- Omar Abdulkadir, il medico che ha proposto l’infibulazione soft, ha pensato di fare una cosa giusta. Ma rimane portatore di una tradizione maschilista e patriarcale a cui bisogna opporci con un secco no». «All’assessore regionale alla Salute Enrico Rossi – ha proseguito con sarcasmo Farhia Aididaden del Centro livornese delle donne immigrate Cesdi – che parla di pratica indolore, mi verrebbe da dire: la provi lei». E da Firenze, dove si trovava nei giorni scorsi per partecipare ad un convegno, è scesa in campo anche Rita Levi Montalcino: «non è che ci vuole qualcosa di simile all’infibulazione – ha dichiarato il premio nobel -. Il fatto è che essa non va praticata».

Le polemiche hanno presto varcato i confini della regione. Il ministro della Salute, Girolamo Sirchia ha chiesto subito chiarimenti all’assessore regionale alla sanità Rossi, mentre della vicenda si è occupato anche il Parlamento dove si è scatenato un aspro scontro tra maggioranza e centrosinistra. Il caso è stato sollevato dalla leghista Carolina Lussana, relatrice a Montecitorio di una proposta di legge contro le mutilazioni sessuali: «Non permetteremo mai la dose minima d’infibulazione. Mi auguro che tutto il mondo politico, e non solo quello femminile, reagisca in maniera durissima di fronte a questa vergogna che, pure se dolce o indolore, resta una violenza inaccettabile e sconsiderata, fisica e morale a danno di bambine indifese». E sul banco degli imputati la deputata leghista ha messo subito l’assessore regionale Enrico Rossi: «È sconcertante – ha detto Lussana – che, nel momento stesso in cui con una legge cerchiamo di sradicare la barbara usanza delle mutilazioni sessuali che offendono profondamente la dignità della donna, considerata poco più di un oggetto, alcune istituzioni come l’assessorato alla salute della regione Toscana addirittura sostengono un progetto che permetterebbe di eludere le sanzioni penali previste dalla legge per chi si macchia di reati del genere. L’assessore Enrico Rossi dovrebbe dimettersi». Immediata la reazione del centrosinistra: Franca Bimbi della Margherita ha ricordato alla Lussana che «le mutilazioni genitali non avvengono solo in Toscana, ma anche e clandestinamente in Lombardia ed in Veneto». «L’onorevole Lussana – ha aggiunto la diessina Marida Bolognesi – ha perso un’occasione per tacere, visto che la Regione Toscana non ha concesso alcuna autorizzazione. Tuttavia – secondo l’esponente della Quercia – il problema c’è e va affrontato al livello culturale, senza finzioni, facendo capire alle donne immigrate che le mutilazioni genitali sono una mortificazione». Scatenato il capogruppo leghista Alessandro Cè che rivolto all’opposizione ha gridato più volte «vergogna sinistra» e «negrieri», al punto da essere richiamato all’ordine dal vicepresidente Alfredo Biondi. «L’assessore Rossi – ha affermato l’esponente del Carroccio – deve conoscere la Costituzione e rispettare i diritti delle persone. Altro che rivolgersi alla commissione di Bioetica ed all’ordine dei medici; avrebbe dovuto respingere la richiesta dell’ospedale e chiedere all’organismo di tutela della deontologia medica di valutare l’opportunità di provvedimenti disciplinari».

Alla tentazione di «buttarla in politica» non si è sottratta neanche il ministro per le pari opportunità Stefania Prestigiacomo che ha annunciato che dalla prossima settimana saranno distribuiti nelle varie regioni italiane, a cominciare dalla Toscana opuscoli multilingue «che illustrano la pericolosità e i gravi danni per la salute delle donne che la pratica dell’infibulazione può causare». «Ciò che è accaduto in Toscana – ha affermato il ministro – è particolarmente grave ed auspico che da tutte le forze politiche, anche da quella parte della sinistra che ha cercato di sminuire o anche di avallare la gravità della proposta di “infibulazione dolce”, giunga un’unanime condanna a questa violazione dell’integrità fisica e della dignità femminile. «Sono certa infine – ha concluso il ministro – che anche alla luce dei recenti avvenimenti il Parlamento approverà al più presto la nuova legge che definisce l’infibulazione come una fattispecie autonoma di reato prevedendo pesanti sanzioni».

Il dottor Abdulkadir, che da anni si batte contro la pratica dell’infibulazione e che ha proposto quella alternativa «ben sapendo che ci sono molte donne che non rinuncerebbero mai a sottoporre la figlia a questa pratica», è rimasto sorpreso da reazioni così dure, provenienti spesso da associazioni e gruppi con i quali, proprio per la sua attività al Centro di prevenzione e cura delle mutilazioni genitali femminili di Careggi,è in ottimi rapporti di collaborazione. «Penso che il mio progetto non sia stato capito fino in fondo – ha commentato -: io non propongo di perpetuare la pratica del’infibulazione, contro la quale ho dedicato tutta una vita, propongo solo un rito alternativo per chi, per ignoranza, non è disposto a rinuciarvi, e questo per evitare danni sulle bambine». Abdulkadir ha colto l’occasione per ripetere che «l’Islam non prevede l’infibulazione. Purtroppo in molti paesi islamici l’arabo è solo una lingua di cui si sa a memoria alcuni brani del Corano senza capirne il significato, quindi è facile in questa situazione dare ad intendere a chi non capisce l’arabo che l’infibulazione è prevista nel testo sacro dell’Islam». Un appoggio al progetto del medico somalo era giunto subito, sia pure a titolo personale, dal presidente dell’ordine dei medici di Firenze, Antonio Panti, «perché anche se una sola mamma, tra quelle legate alla tradizione, scegliesse il rito alternativo avremmo evitato danni irreversibili in una bambina». Panti non si nasconde tuttavia le difficoltà che l’introduzione dell’infibulazione alternativa, da praticarsi in una struttura medica, comportano. «Stiamo parlando di un intervento su minori – ha spiegato -, da praticarsi a titolo rituale e non terapeutico, il medico deve essere quindi immune, sul piano giuridico, da eventuali accuse di lesione, anche se la puntura di spillo è una lesione momentanea e non permanente».

«Nel caso della circoncisione praticata dai rabbini, ad esempio – spiega Panti -, questo rischio non esiste perché, trattandosi di una antichissima pratica religiosa, fatta da un ministro del culto, c’è alla base un’accettazione implicita da parte dei genitori». «L’infibulazione alternativa, invece è un rito in un certo senso inventato da noi e praticato da un medico. È quindi indispensabile il preventivo consenso scritto dei genitori del minore e, da un punto di vista deontologico, può esistere solo nell’ambito del principio della riduzione del danno così, come avviene quando forniamo la siringa sterile ai tossicodipendenti».

Più negativo il commento di Francesco D’Agostino, presidente del Comitato nazionale di bioetica, per il quale se dal punto di vista giuridico ed etico, è «del tutto evidente» che «ogni mutilazione del corpo femminile è assolutamente inaccettabile per il nostro ordinamento e per la nostra tradizione culturale», ciò non comporta il considerare frettolosamente tali pratiche «barbariche» senza «cercare di capire le motivazioni culturali che ne stanno alla base». «Se dal punto di vista etico – puntualizza D’Agostino – ogni mutilazione del corpo femminile va condannata, dal punto di vista culturale occorre impegnarsi perché queste pratiche abbiano una “trasfigurazione simbolica” e le loro motivazioni culturali – legate all’esigenza, molto radicata in alcune popolazioni come quelle dell’Africa subsahariana, di garantire l’“onestà” e l’“illibatezza” di una ragazza – siano recuperate su piani non cruenti, mutilatori o umilianti per la persona della donna». L’iniziativa della Toscana, secondo D’Agostino si muove «in questa linea, scegliendo però una strada ad alto rischio, visto che l’“alternativa simbolica” all’infibulazione implica un intervento, anche minimo, sul corpo della donna, da considerarsi sempre intangibile. Anche una semplice puntura di siringa è pur sempre un intervento fisico su un corpo, che non può avere alcuna giustificazione etica». Nel settembre del 1998 il Comitato nazionale di bioetica, ricorda D’Agostino, ha elaborato un documento che in risposta al quesito posto da un ospedale pubblico, esprimeva un parere contrario ad ogni forma di pratica di mutilazione sessuale nel rispetto del principio della intangibilità del corpo. Un principio assoluto che però non prescinde dal riconoscimento che pratiche come questa sono tanto profondamente inserite nella cultura di quei popoli che si consiglia di trovare delle «alternative simboliche», che non siano fisiche. E nel documento, ha ricordato D’Agostino, si riconosce alla circoncisione un valore differente: si tratta infatti di una pratica religiosa «che però ha anche una valenza profilattica ed igienica». Per questo i bioetici, in questo caso, non hanno sollevato alcuna obiezione.

Tirato in ballo pesantemente è dovuto intervenire anche l’assessore Enrico Rossi. «In Toscana – ha subito precisato – non si fa alcuna mutilazione genitale ma siamo consapevoli della molta sofferenza, spesso ignorata, che c’è intorno a queste pratiche; secondo l’Organizzazione mondiale della sanità sono almeno 135 milioni le ragazze e le bambine che hanno subito mutilazioni sessuali e in Italia si calcola che siano 4-5 mila le bambine a rischio ogni anno». «Nelle intenzioni del Centro di Careggi – ha proseguito l’assessore – la proposta ha come obiettivo proprio quello di prevenire ed evitare il ricorso a pratiche di mutilazione sulle bambine, a cui molte famiglie purtroppo ricorrono ancora, trasferendo le piccole nei paesi di origine proprio a questo scopo. Abbiamo ritenuto giusto sottoporla al vaglio della Commissione bioetica e della Federazione dell’Ordine dei medici, per la valutazione di tutti gli aspetti etici, giuridici e deontologici che porta con sè. Al di là delle valutazioni tecniche – secondo Rossi – ben venga un dibattito che coinvolga tutta la società civile e soprattutto le donne. Non abbiamo preconcetti, non ci appoggiamo a ideologie e non temiamo, anzi affrontiamo e teniamo vivo il confronto a tutto campo».

Quanto alle caratteristiche della pratica simbolica proposta, l’assessore Rossi ha aggiunto: «I tecnici che l’hanno formulata affermano che non si tratta di una mutilazione e che sarebbe sostanzialmente indolore». Ma si tratta di una pratica sanitaria? «Alcuni dicono che non può considerarsi tale – precisa l’assessore Rossi – così come, d’altra parte, non lo sono i piercing o i tatuaggi a cui molti ragazzi, anche minorenni, si sottopongono con il consenso o addirittura accompagnati dai genitori. È più invasiva, mi sembra, la circoncisione rituale praticata negli Ospedali, e non solo in Toscana, a carico del Servizio sanitario nazionale».

«Ciò detto penso che in tutto questo – ha concluso l’assessore – permanga un dato negativo: tutto sommato anche una pratica alternativa rischia di perpetuare, anche se in forma sostanzialmente diversa, un rito oppressivo e violento nei confronti delle donne. Sarebbe forse interessante studiare una proposta con un carattere assolutamente simbolico. Questa, se discussa e accettata, potrebbe dare un contributo ad affrontare un fenomeno che difficilmente si può pensare di risolvere esclusivamente con divieti penali. Ma proprio per questo – conclude – è bene discutere».

Infibulazione, la situazione in Italia e nel mondo