Italia

Le guerre dimenticate

di Patrizia CaiffaGuerre nel mondo e minori stranieri: due nuovi rapporti All’inizio del 2005, i Paesi coinvolti in conflitti armati di dimensioni significative erano 18, a cui si aggiungono due vere e proprie guerre, per un totale di 20 grandi conflitti nel mondo, di cui il 90% nei Paesi del Sud del mondo. I più dimenticati da tv e radio sono quelli in Colombia, Congo, Sri Lanka. Per il 97% degli italiani dietro ogni conflitto, anche i più dimenticati, ci sono “interessi internazionali politico-economici”, l’80% ritiene che il ruolo dell’Onu dovrebbe essere potenziato ma solo il 2% ha fiducia nell’Unione europea. Sono alcuni dei dati che emergono dalla ricerca su conflitti dimenticati, guerre infinite e terrorismo internazionale “Guerre alla finestra”, pubblicato in questi giorni da Caritas Italiana e realizzato in collaborazione con “Famiglia Cristiana” e “Il Regno” (Il Mulino).

I PIÙ DIMENTICATI. La rilevazione, riguardante tv e radio, è stata effettuata attraverso il monitoraggio sull’intera programmazione radiotelevisiva nazionale, nel periodo tra il 1° luglio 2001 e il 30 giugno 2004, in relazione ai sei conflitti: Iraq, Afghanistan, Palestina, Sri Lanka, Colombia e Congo. I dati emersi confermano nuovamente l’esistenza di conflitti dimenticati da parte dei media televisivi italiani: è netta la sproporzione in campo tra i tre conflitti più noti (Iraq, Afghanistan e Palestina), che si suddividono il 98,9% dell’informazione complessiva e gli altri tre conflitti (Sri Lanka, Colombia e Congo), che raccolgono il rimanente 1,1% di spazio televisivo. Secondo la ricerca Caritas, la Rai gioca il ruolo più significativo nell’informazione di guerra, con il 59,7% del totale dell’informazione complessiva sui conflitti, mentre i gruppi Mediaset e La7-Tmc coprono la quota rimanente (40,3%). I tre conflitti meno mediatizzati si suddividono il residuo 2,1% di informazione complessiva: alla Colombia l’1,1%, al Congo lo 0,7%, allo Sri Lanka lo 0,3%. Dal rapporto emerge che “aumenta il numero delle guerre civili e, più in generale, delle guerre diluite nel tempo e nello spazio. Ma cresce anche la domanda di mediazioni nonviolente”.

L’OPINIONE DEGLI ITALIANI. Secondo un sondaggio Swg commissionato dalla Caritas, su un campione rappresentativo della popolazione italiana, l’80% degli intervistati chiede di potenziare il ruolo dell’Onu e il 42% ha fiducia nella capacità del Papa e della Chiesa cattolica di costruire la pace. Il 78% degli italiani esclude, invece, la possibilità teorica di “guerre giuste”, mentre il 97% degli intervistati ritiene che dietro ogni conflitto, anche quello più dimenticato e periferico, vi sono concreti interessi internazionali, di tipo economico e politico. La maggioranza degli italiani si schiera, inoltre, a favore della prevenzione della guerra (77% degli intervistati). Evidente invece il forte calo di consensi per l’Unione europea: già nel 2001 aveva riscosso un debole 7% di consensi, ore giunge a valori prossimi all’azzeramento totale (2%).

Gli adolescenti figli di immigrati che vivono in Italia non presentano “allo stato attuale, segnali di conflittualità e devianza delle seconde generazioni, come invece è accaduto in altri Paesi europei”: ad affermarlo è il primo Rapporto Caritas-Unicef sull’infanzia straniera in Italia, pubblicato in questi giorni (ed. quaderni Unicef) e che verrà presentato a Roma il 5 dicembre.

POCHI SEGNALI DI CONFLITTUALITÀ. “È infatti raro che i protagonisti di atti devianti siano giovani di origine straniera nati in Italia e cresciuti nel nostro Paese – spiega WALTER NANNI, della Caritas italiana, tra i curatori del Rapporto – mentre è molto più frequente il coinvolgimento di ragazzi non accompagnati e di minori vittime di traffico”. Il volume nasce “dall’esigenza di avere dati indipendenti, in grado di integrare quelli di fonte ufficiale e governativa, sul vissuto reale dei minori stranieri”. La prima edizione si concentra su cinque aree tematiche: la presenza di minori stranieri nel nostro Paese; l’integrazione sociale e la devianza; l’inserimento scolastico; la formazione professionale; la dimensione della famiglia. Riguardo alle condizioni sanitarie, i dati mostrano che “non sembra più rilevabile il forte gap di salute alla nascita, registrabile fino a pochi anni fa tra minori italiani e stranieri”, anche se le difficoltà sono legate a condizioni di vita difficile e alle abitudini culturali che portano i genitori a non rivolgersi al pediatra o ai servizi sanitari se non in caso di emergenza. Totalmente assente è infatti il concetto di prevenzione.

LA DIFFICILE CURA DEI PIÙ PICCOLI. Molte famiglie straniere devono gestire però grossi problemi nell’accudimento, nella fascia di età 0-3 anni, “difficili da superare per gli stessi italiani”, per gli immigrati addirittura “insormontabili”. “La maggioranza delle famiglie straniere – spiega Nanni – cerca al proprio interno le risorse in grado di fronteggiare eventuali emergenze, ma lo scarso peso delle relazioni interetniche e tra famiglie determina spesso l’incapacità di risolvere alcuni problemi pratici e urgenti. Le difficoltà possono spingere le famiglie a rinviare il bambino nel Paese di origine, dove viene accudito dai nonni o altri membri della comunità parentale”. Altro problema segnalato dal Rapporto è un intervento pubblico “debole”, con una “tendenza alla riduzione della presa in carico dei minorenni extracomunitari”.