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Le tre ragazze cristiane decapitate in Indonesia. Chi semina tanto odio?

DI ELIO BOMURIQuattro ragazze di un paese dell’Indonesia, Poso, camminano per la strada per recarsi a lezione come gli altri giorni. Sono vestite di marrone, il colore del loro istituto. Sono state aggredite da un commando uscito da una piantagione di cacao. Tre di loro sono state decapitate, una è riuscita a scappare e nascondersi. Avevano rispettivamente quindici, sedici e diciannove anni. La colpa per cui hanno pagato è quella di essere cristiane in un Paese a stragrande maggioranza musulmana nel quale l’odio anticristiano è esploso più volte in forme brutali e crudeli.

Benedetto XVI ha inviato un messaggio al vescovo della diocesi di Manando, ed ha pregato per le famiglie e per la popolazione perché possa vivere in pace. Nello stesso giorno (domenica 30), all’Angelus ha ricordato i quarant’anni del Concilio Vaticano II, mettendo l’accento sui documenti che riguardano l’educazione e, in modo particolare, la dichiarazione sulle religioni non cristiane Nostra Aetate. È un modo indiretto per indicare al mondo delle religioni la via cristianamente ispirata del superamento dell’odio e della violenza che stanno montando in Paesi a maggioranza islamica contro i cristiani.

Nonostante le esteriori dichiarazioni dei responsabili della politica ufficiale, continua a diffondersi la cultura del disprezzo che alimenta l’odio e spinge i più fanatici alla provocazione e alle azioni criminose anche contro persone inermi e del tutto fuori dalle polemiche politiche e da contrapposizioni ideologiche. Facendo un salto mortale geografico possiamo ricordare che due anni fa, proprio in questi giorni, veniva barbaramente uccisa da terroristi in Somalia Annalena Tonelli che ha speso una vita per i malati. Le fedi religiose, con la loro forte carica di identità che costruiscono nella coscienza dei singoli e dei popoli possono essere utilizzate come legittimazione dell’uso della violenza contro il diverso percepito come nemico, soprattutto in quei contesti culturali in cui l’opinione corrente è alimentata dalla caratterizzazione denigratoria e ostile dell’altro.

Il richiamo del Papa ai documenti conciliari sull’educazione del popolo e sulle religioni non cristiane è indicativo della direzione da prendere per favorire la reciproca conoscenza, senza pregiudizi, il riconoscimento degli aspetti positivi pur presenti nella fede diversa dalla propria, stima e riconoscimento reciproco.

La Chiesa cattolica ha individuato un metodo e indicato una via invitando i capi religiosi del mondo a farsi carico insieme dell’educazione dei fedeli alla concordia e alla pace. Questo metodo è stato indicato da Giovanni Paolo II con l’espressione “Spirito di Assisi”, in cui è sintetizzato un programma e uno stile nuovo di comportamento delle religioni tra di loro e nei confronti dei loro membri, assegnando loro un principale decisivo compito educativo. Là dove finora le religioni per sostenere e stimolare la fede hanno marcato le differenze, sostenuto polemiche, indicato le deficienze dell’altro e soltanto i propri meriti, deve introdursi invece un metodo diverso per non essere fomentatrici di competizioni violenze terrorismi e guerre. Si devono convertire.

La Chiesa cattolica non ha esitato a chiedere perdono per errori commessi in passato ed ha osato scrivere delle religioni altre con toni non solo di rispetto, ma di alta stima spirituale e teologica riconoscendo ad esse un importante ruolo per il cammino di salvezza dei popoli. Benedetto XVI a Colonia ha sollecitato i musulmani a fare altrettanto, quando ha detto loro “l’insegnamento è il veicolo attraverso cui si comunicano idee e convincimenti. La parola è la strada maestra nell’educazione della mente. Voi avete una grande responsabilità nella formazione delle nuove generazioni. Insieme, cristiani e musulmani, dobbiamo far fronte alle numerose sfide che il nostro tempo ci propone. Non c’è spazio per l’apatia e il disimpegno e ancor meno per la parzialità e il settarismo. Non possiamo cedere alla paura e al pessimismo” e richiamava al rispetto delle minoranze e alla difesa della libertà religiosa. Dopo l’11 settembre 2001 e dopo tanti fatti di sangue che hanno contraddistinto gruppi e singoli che si richiamano alla fede religiosa, sia pure strumentalmente, molti sono stanchi e delusi del dialogo, ma proprio per la difficoltà del periodo e per le resistenze in atto si deve insistere su questa direzione considerando quanto diceva Santa Caterina da Siena a proposito della riforma della Chiesa del suo tempo. Quello che non intendete fare per amore, lo dovrete fare per necessità.

Oggi questo richiamo si può applicare alla “conversione” che le religioni sono chiamate a compiere abbandonando ogni spinta alla contrapposizione e alla violenza. Il Papa, sempre a Colonia ai musulmani ha detto in proposito: “Il dialogo interreligioso e interculturale fra cristiani e musulmani non può ridursi a una scelta stagionale. Esso è, infatti, una necessità vitale, da cui dipende in gran parte il nostro futuro”. Le tre ragazze indonesiane decapitate, mentre scuotono la coscienza dei timorati di Dio presenti nelle religioni, meritano il nostro convinto impegno su questo fronte, sperando con ciò di concorrere a porre fine alla denigrazione anticristiana presente ancora massicciamente in tanti ambienti non solo musulmani.

L’Angelus Benedetto XVI