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«Mafia di Roma», Carminati: un «pirata» al comando della Capitale

«Abbiamo individuato un’associazione che abbiamo chiamato mafia capitale», ha dichiarato il procuratore capo di Roma Giuseppe Pignatone nel corso della conferenza stampa sull’operazione, spiegando: «Si tratta di un’organizzazione romana originaria e originale, autoctona anche se collegata ad altre organizzazioni e con caratteri suoi proprie e originali rispetto alle altre organizzazioni mafiose».

Dai rifiuti, ai campi nomadi, all’emergenza immigrati: gli affari di Mafia capitale non tralasciavano nessun target. Le indagini hanno evidenziato da un lato, l’esistenza di imprese partecipanti a gare pubbliche direttamente riconducibili al sodalizio, e altre esterne, funzionali al riciclaggio ed alla creazione di fondi extracontabili destinati ai compensi degli stessi sodali e alla corruzione di pubblici ufficiali, incaricati di pubblico servizio ed esponenti politici. Su tale fronte, è stato accertato – hanno spiegato i carabinieri – come il sodalizio fosse interessato alle commesse ed ai finanziamenti del Comune di Roma Capitale e delle relative municipalizzate, nella gestione dei campi nomadi, delle strutture riservate agli stranieri richiedenti asilo ed ai minori non accompagnati, nonché nella raccolta dei rifiuti e manutenzione del verde pubblico. Così – hanno sottolineato i carabinieri del Ros – «attraverso la corruzione di esponenti politici ed amministrativi, le società controllate dall’organizzazione indagata hanno così ottenuto diversi appalti, condizionando le rispettive gare attraverso la conoscenza anticipata del contenuto dei bandi o, in alcuni casi, concorrendo addirittura alla stessa stesura».

Massimo Carminati è il numero uno dell’ordinanza sulla «Mafia di Roma» che riguarda 37 persone finite agli arresti. Lui, l’ex «angelo nero» dei Nar, il terrorista rimasto quasi cieco per sfuggire ad una cattura dei carabinieri, è il soggetto principale del «mondo di mezzo» descritto dai magistrati dell’Antimafia. Uno capace di entrare in contatto con la politica locale e di sostenere i suoi interessi nel terzo settore, nelle cooperative sociali, in quella realtà che lui ha certamente conosciuto per uscire dal carcere, per andare in prova dopo le detenzioni. Arresti cominciati negli «anni di piombo» o poco lontano, dentro quello «spontaneismo armato» che animò i ragazzi guidati da Fioravanti e Mambro e di cui Carminati era un «soldato» come lui ancora adesso si definisce, forse un po’ scherzando.

Proprio il gusto per la battuta, per il divertimento, è quello che l’ha accompagnato sempre nel suo rapporto con i difensori. Quando li avvisò, diversi mesi addietro, di essere seguito ed intercettato. Il giudice Flavia Costantini sottolinea che i contatti di Carminati «con latitanti all’estero, le disponibilità economiche, gli investimenti all’estero, in territori off shore» così come «i suoi contatti con apparati investigativi e di sicurezza dello Stato» ha motivato l’applicazione della custodia cautelare in carcere. Qualsiasi misura diversa da questa – spiega il gip – permetterebbe «l’immediata fuga dell’indagato e l’immediata ripresa di contatti con l’ambiente, criminale e istituzionale, di riferimento, ciò che da un lato agevolerebbe, secondo la sua consuetudine, la ripresa nella commissione di gravi reati, dall’altro il perseguimento del suo interesse all’inquinamento della prova».

I 37 provvedimenti di custodia scaturiscono da un’attività investigativa avviata nel 2012 dal Ros «nei confronti di un’organizzazione mafiosa radicata nella Capitale, facente capo proprio a Carminati», indicato come pluripregiudicato. Tra i fatti giudiziari, e quasi storici, si ricorda il depistaggio delle indagini sulla strage di Bologna del 1980, il rinvenimento nei sotterranei del ministero della sanità dell’arsenale della banda della Magliana nel 1981; il furto nel caveau del Palazzo di Giustizia di Roma nel 1999. Da un pò di tempo, dopo un lungo periodo di detenzione e poi di libertà vigilata, Carminati era tornato pressoché libero. La prima intercettazione che il giudice Costantini riporta attiene Carminati che si vanta per un articolo pubblicato dall’Espresso rispetto ai nuovi e pericolosi padroni di Roma. Lui quasi ne appare divertito. Non comprende quasi come invece delinei anche in quel modo il «ruolo apicale indiscusso», la «presenza operativa in tutti i settori di business illecito dell’organizzazione. «Il suo essere all’interno di mafia capitale il punto soggettivo d’interconnessione tra mondo di sopra e mondo di sotto, la sua capacità criminale che diviene brand dell’organizzazione, utilizzato per incutere timore nei settori di specializzazione di operatività di essa, sono elementi che, da soli considerati, imporrebbero un giudizio, assolutamente tranchant, sul pericolo di reiterazione di condotte analoghe».

Secondo chi indaga «sulla base delle disposizioni fornite da Carminati», sono stati «intessuti rapporti con pubblici amministratori, funzionali agli interessi delle imprese del sodalizio, occupandosi personalmente della gestione della contabilità occulta e della creazione di flussi finanziari illegali, utilizzati per alimentare un ramificato sistema corruttivo, in favore soprattutto di protagonisti della vita politica e amministrativa di Roma Capitale». Carminati era il «Nero» di Romanzo criminale, il libro di Giancarlo De Cataldo? Come più volte è stato spiegato le figure del romanzo sono state «riassunte» da quelle che hanno contrassegnato la cronaca di quegli anni di «banda della Magliana», di «pantaloni a zampa d’elefante e pistole in mano a minorenni», come ha scritto uno degli osservatori più attenti del periodo. Per come il personaggio si conclude, muore, nel film è certamente più vicino alla vicenda di Danilo Abbruciati, di un altro di quel gruppo che in pochi mesi «fece parlare Roma per i soldi che si era preso».