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Mamma «full time»: quel «tesoro» in casa così poco considerato

La mamma full time? È cuoca versatile: buona per piatti ricercati, da preparare con cura e da servire a familiari e ospiti nei dì di festa, ma anche capace di imbandire la tavola in tempi record, degna competitor dei dipendenti dei più conosciuti fast food. Autista dalle mille risorse, capace di rally in pieno centro pur di piombare a scuola in tempo e consegnare i suoi pupi alle custodi pochi secondi prima del suono della campanella che scandisce l’inizio delle lezioni. Contabile navigata: non sarà sempre preparata su equazioni ed algoritmi, ma è la donna giusta al posto giusto quando c’è fa far quadrare i conti con l’unica entrata derivante dallo stipendio del marito.

Ma la mamma full time è anche insegnante, ottima per il doposcuola: rilegge con i figli-studenti i libri di testo, spiega – pur senza lavagna a disposizione – ed interroga. Affabile guida di figli ed amichetti nei musei del territorio: capace di tirar fuori dal cilindro aneddoti accattivanti e con questi rendere la storia simpatica a chi la ascolta. La mamma a tempo pieno è l’infermiera che ogni malato vorrebbe avere al suo fianco nei momenti di crisi: un suo bacio nei dintorni della ferita fa più effetto di un antibiotico.

È organizzatrice di eventi: compleanni,  ricevimenti di compagni e colleghi del marito, merende e gite fuori porta con i genitori di bambini compagni di classe dei figli. Curatrice di immagine e, al contempo… addetta alle pulizie.

Se non ci fosse, andrebbe inventata. Oppure il marito o il compagno dovrebbe assoldare un tot di professionisti per assicurarsi eguali prestazioni.

La società Viking ha intervistato 500 mamme italiane, facendosi raccontare loro la giornata tipo. E provando a calcolare quanto costerebbe al marito (oppure alla coppia) affidarsi a dei professionisti per la gestione del mènage quotidiano.

L’età media delle donne intervistate è di 39 anni. La loro esperienza di mamme accumulata in otto anni. Tutte hanno rinunciato a cercare un lavoro (oppure, se ce l’avevano, l’hanno lasciato) quando si sono accorte di aspettare un figlio. Tra le intervistate, 46 ogni 100 hanno un solo figlio, 42 hanno due figli, 12 hanno tre o più figli. Nel caso di più figli, quello più grande ha, in media, 10 anni, quello più piccolo 6.

Ecco i risultati dell’inchiesta. Ogni mamma – secondo il report di Viking – impegna, in media, 106 ore a settimana per la cura della famiglia: 18 ore per pulire stoviglie, pavimenti, vetri delle finestre e indumenti (e solo per questo meriterebbe 133 euro settimanali)  17 ore per stare ai fornelli, preparare e servire a tavola (per un valore «potenziale» di 112 euro a settimana) 12 ore come educatrice (ibidem), 11 come autista personale (90,75 euro a settimana), 8 come psicologa (75 euro lordi a settimana), 7 come assistente personale (un professionista, per lo stesso periodo ed orario di lavoro, esigerebbe 64,19 euro), 6 come infermiera (euro 48,78) e come addetta agli acquisti (63,54 euro a settimana), 5 come contabile (e per questo potrebbe emettere una notula di 44,05 euro a settimana) 4 come personal shopper e fashion stylist, 4 ore a settimana – in media – come organizzatrice di eventi (e per questo «meritevole» di 42.28 euro ogni sette giorni).

Per tutto questo la donna dovrebbe percepire, in un anno, 51mila 387,83 euro lordi, frutto di tredici mensilità. Una cifra che corrisponde a circa 32.500/33.500 euro netti, a seconda della regione e delle detrazioni.

Ed invece, nonostante tante responsabilità e mansioni, le mamme full-time a fine mese non ricevono alcun stipendio, figuriamoci la tredicesima. Le loro malattie non sono pagate, i week-end sono tutti occupati e le ferie retribuite sono semplicemente … un sogno.

Il loro lavoro è riconosciuto dallo Stato? A parole, forse, sì. Nei fatti del prezioso servizio portato avanti dalle mamme full-time si occupano solo due normative: il fondo casalinghe istituito nel 1996, per metter ordine alla vecchia  disciplina della mutualità pensioni (risaliva al 1963); e la polizza contro gli infortuni domestici, istituita nel 1999.

Nel fondo casalinghe finiscono i contributi delle interessate: l’importo dei versamenti è libero, tuttavia, versando almeno 25 euro e 82 centesimi, viene accreditato un mese di contribuzione ai fini della pensione.

Spiccioli, secondo Tina Leonzi, bresciana, mamma di tre figli (ed ora anche nonna) fondatrice e presidente del Movimento italiano casalinghe (Moica): «quelle donne che, un tempo, versavano contributi in ossequio alla vecchia legge, oggi percepiscono una pensione di ottocento euro l’anno. Difficile fare una stima della pensione che potrà percepire una donna che si dedica completamente alla casa e alla famiglia versando trecento euro l’anno… Ed in effetti se, all’inizio, l’iniziativa aveva destato una certa curiosità – e al fondo si erano iscritte circa 25mila donne – oggi appena un migliaio continuano a versare contributi».

Anche la polizza contro gli infortuni domestici presenta molti limiti: «perché prevede una rendita vitalizia solo quando l’infortunio provoca una invalidità almeno del 27% e solo se i postumi risultano permanenti; e perché il sistema non contempla quelle mamme (o nonne) che si dedicano alla casa dopo i 65 anni, quasi che dopo quell’età smettessero di fare quel che hanno sempre fatto».Sono circa otto milioni le donne che lavorano in casa, pur non incassando il becco di un quattrino. Il loro servizio – secondo la stima del Moica – corrisponde al 32.9% del prodotto interno lordo del nostro Paese. Meriterebbero di più.

Ne è convinto anche Gianni Fini, presidente del Forum delle associazioni familiari della Toscana: «Il Trentino docet: laddove la coppia sa che, mettendo al mondo un figlio, non sarà lasciata sola, il figlio arriverà più facilmente. Lo Stato può fare molto, tendendo la mano, ad esempio, a quelle donne che rinunciano ad un lavoro fuori casa per dedicarsi completamente alla famiglia. E anche la Regione può dare segnali importanti: nelle scorse settimane ci siamo incontrati con il presidente e i componenti della terza commissione regionale (quella che si occupa di politiche socio-sanitarie), chiedendo che venga rifinanziata la legge triennale meglio conosciuta come Toscana solidale. E inserendo anche la proposta di finanziare, almeno per un certo periodo, i contributi figurativi per quelle donne che decidono di fare le mamme a tempo pieno».

Link alla ricerca Viking