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Meeting di Rimini, Vittadini: «Solo il bene cambia la storia»

Il bene cambia la storia. Una prospettiva perdente, almeno all’inizio, ma alla fine vincente. Non si tratta di buonismo ma di sano realismo, confortato dalla storia passata. È questo il messaggio che emerge dal Meeting di Rimini che si è chiuso ieri, 25 agosto, sul tema «Tu sei un bene per me». Quel «tu» che permette all’Io di esprimersi, di guardare all’altro non come un antagonista minaccioso della nostra vita ma come una risorsa, come spiega Giorgio Vittadini, presidente della Fondazione per la Sussidiarietà, al quale il Sir ha chiesto di tracciare un bilancio di questa edizione.

Presidente, che Meeting è stato questo che si è chiuso oggi e quale il messaggio che ha voluto lanciare?

«Il tema “Tu sei un bene per me”, è stato il filo rosso di questa edizione. Non si tratta di un auspicio o di un’utopia lontana dalla vita quotidiana, ma di qualcosa di concreto e possibile. A Rimini abbiamo conosciuto testimonianze impressionanti di uomini e donne che si dedicano a migranti, carcerati, reduci delle guerre, a chi vive nelle periferie. Nelle mostre e nelle esposizioni è stata richiamata la vita dei santi. Penso a Madre Teresa di Calcutta, di prossima canonizzazione, ai martiri americani, e tanti altri. Da tutte queste figure emerge in concreto che è il ‘tu’ che permette all’‘io’ di esprimersi. Si tratta di qualcosa di reale e concreto che diventa un criterio per affrontare grandi problemi come terrorismo, migrazioni, guerre, dialogo tra le fedi. Il ‘tu’ è la via alternativa alla violenza da perseguire e un modo per guardare alla politica, che pur nelle diversità di vedute, deve cercare di convergere sulla ricerca del bene comune. Il Meeting ha dimostrato che questa non un’utopia ma una strada possibile e realista. Tutto dipende da noi».

Una strada possibile e realista che deve, però, misurarsi, con quella «insicurezza esistenziale» di cui parla Papa Francesco nel suo messaggio al Meeting, e «che ci fa avere paura dell’altro, come se fosse un nostro antagonista…»

«Questa è la questione di fondo. Se partiamo da una esperienza di affezione, di essere amati, il rapporto con la realtà è positivo, solare, costruttivo. Se si parte da un livore, da una mancanza, si cerca il potere nella realtà per colmare il proprio buco esistenziale. Ecco allora l’appello del Papa di operare per “esaltare tutto il bene che c’è in tutto ciò che si incontra”».

A proposito di incontro, al Meeting il tema delle migrazioni ha occupato molti spazi e dibattiti. Il «tu» è solo il migrante?

«L’Italia ha avuto 26 milioni di migranti. Noi siamo un popolo di migranti. Le migrazioni hanno attraversato tutta la storia e non si sono mai risolte con i muri ma con i ponti. Questa è la prospettiva alternativa. Moltissime persone hanno trovato in altri Paesi un futuro e un destino che sentivano non avere. Si tratta di una prospettiva epocale, come hanno detto alcuni demografi relatori al Meeting, anche perché legata al neocolonialismo. La gran parte dei migranti, di cui si parla in modo drammatico, provengono dall’Africa. Se i Paesi Occidentali fomentano delle guerre, dietro le tribù e le etnie, per il possesso delle materie prime in Africa, la gente fugge. Se non aiuti lo sviluppo la gente scappa. Puoi mettere tutti i ponti che vuoi ma quando uno è alla fame e alla disperazione preferisce morire annegato nel Mediterraneo piuttosto che restare nel suo Paese a morire».

L’altro, dunque, è una risorsa che fa la differenza?

«Assolutamente sì. Costruisce di più chi sceglie di cooperare e condividere o chi invece si chiude e pensa al suo particolare? Questa è la sfida che di solito si risolve in termini etici, dicendo “bisogna essere buoni”. Qui invece vogliamo dire, in senso evangelico, che “l’altro conviene”. Stare “con l’altro” non significa solo fare “due” ma “duemila volte due”. La scommessa è uscire dall’utopia – quella che ti fa dire che sarebbe bello che fossimo tutti buoni – per entrare in una prospettiva personale, familiare, sociale, nazionale, internazionale, economica e politica di affronto dei problemi. Tutto nel solco di Papa Francesco».

Senza cadere nel buonismo magari…

«Certo, ma quello visto al Meeting ci dice qualcosa d’altro, ci mostra un modo diverso e possibile con cui affrontare le cose. I tanti esempi di convivenza, di dialogo, di integrazione, di lavoro comune, testimoniati qui in questi giorni, restano. Ecco dunque l’esigenza di tessere un dialogo continuo, quotidiano. Questo si chiama realismo, non buonismo».

Il bene può cambiare la storia?

«Lo ha già fatto. Il bene è l’unica cosa che ha cambiato la storia stabilmente. San Francesco, sant’Ignazio, san Filippo Neri, tanto per citare alcuni esempi, hanno cambiato la storia più delle guerre di religione che hanno fatto milioni di morti lasciando tutto come era. I santi hanno costruito ponti che sono rimasti. All’inizio perdenti ma poi a distanza di secoli li ritrovi come punti di unità. L’altro non è un’utopia buonista. Qui a Rimini abbiamo visto l’abbraccio tra la figlia di Aldo Moro, Agnese, e la terrorista, Maria Grazia Grena, già appartenente alle organizzazioni di lotta armata degli anni ’70. Ma come è stato vinto il terrorismo in Italia? Con un percorso di riconciliazione iniziato dopo aver fermato la lotta armata. È interessante aver ricondotto un fenomeno così su un percorso di riconciliazione. Questo resta e coloro che ne hanno preso parte ne diventano testimoni. Sono fatti di realismo che rimangono, esempi di questa possibile prospettiva che va da come aiutiamo le vittime e i colpiti dal terremoto fino agli immigrati».