Italia

Meeting, il volontariato come testimonianza di fede

Una grande sfida attende il volontariato cristiano di fronte al rischio di dimenticare la propria origine e trasformare la carità in filantropia. Un appello risuonato venerdì 26 agosto, al Meeting di Rimini nell’intervento del cardinal Robert Sarah, presidente del Pontificio Consiglio Cor Unum. “Il volontario – ha spiegato il cardinale – deve tornare ad essere innanzitutto un testimone di fede dalla quale nasce il suo bisogno di aiutare gli altri”. Un intervento espresso davanti a un’assemblea numerosa, formata – tra gli altri – da alcuni dei 4 mila volontari, in prevalenza giovani, che con la loro partecipazione hanno resto possibile questa XXXII edizione della rassegna. Quegli stessi uomini e donne che Roberto Fontolan, direttore del Centro Internazionale di Comunione e Liberazione, ha definito “lo spettacolo dei volontari”. Ed è a loro che il cardinale si rivolge ribadendo come “la testimonianza più grande resta la semplice coerenza tra il proprio essere cattolico e quello che si fa nella vita di tutti i giorni”.

Aspettando il Papa. Il tema del volontariato non poteva non rientrare tra gli argomenti al centro della rassegna riminese, in un anno, il 2011, che l’Unione Europea ha definito “Anno del volontariato”. Da qui la scelta di organizzare questo incontro intitolato “Volontariato e Sviluppo Internazionale” che, ha spiegato Fontolan, “vuole rappresentare un ponte ideale verso l’incontro che, nel mese di novembre, vedrà riuniti a San Pietro con Papa Benedetto XVI, i responsabili di tutte le organizzazioni di volontariato cattolico d’Europa”. Quello del cardinale Sarah è stato un intervento chiaro ed esplicito in cui non ha esitato a mettere in guardia dai rischi che il volontariato cristiano corre nella nostra società. “Le organizzazioni cattoliche – spiega il cardinale – sono molto ben radicate e offrono servizi che lo stato non riesce a garantire. Perciò vengono reclutate e sovvenzionate con fondi pubblici. Questo comporta che gli enti pubblici tendano a caricare le associazioni di volontariato di compiti di gestione di servizi che obbligano o a cambiare natura e a trasformarsi in imprese sociali”. Un tipo di organizzazione che “tende a privilegiare l’efficienza piuttosto che la gratuità, e perciò favorisce le grandi organizzazioni a danno dei piccoli gruppi di volontariato di quartiere, di paese, di parrocchia, totalmente fondati sulla gratuità e in grado di mobilitare la solidarietà della comunità”. Questo, ha proseguito il cardinale, “non significa parlare di impreparazione” ma evitare il rischio che la “concretezza e i risultati, a lungo andare, vengano prima della persona”.

La vera sfida. La preoccupazione, espressa chiaramente dal presidente di Cor Unum, è quella di dimenticare la nostra origine. “Il problema – precisa – non è dunque se ricevere sovvenzioni pubbliche o no, ma se riusciamo a riceverle senza perdere la nostra identità. Il fatto che istituzioni cattoliche, anche di lunga tradizione, perdano il loro afflato originario, non dipende semplicemente dal fatto che le fonti di finanziamento sono laiche, ma che al loro interno è venuto meno il senso di appartenenza alla Chiesa e, ancor più, è venuto meno il senso della testimonianza di Cristo. Su questo versante si gioca la vera sfida, di fronte alla quale non possiamo non porci anche oggi. Per questo è fondamentale per un volontario cattolico riscoprire la sua dipendenza dalla Grazia, perché solo così la nostra testimonianza può continuare”. “Certamente c’è un impulso naturale nell’aiutare l’altro – ha concluso il card. Sarah – ma Cristo ci ha insegnato che l’apice dell’amore è appunto la carità, cioè il dono di sé all’altro. Purtroppo lo stesso termine “carità” è semplicemente scaduto nel banale significato di elemosina”.

Un’altra logica. All’incontro ha partecipato anche Alberto Piatti, segretario generale della Fondazione Avsi, organizzazione non governativa vicina a Comunione e Liberazione, nata nel 1972. Una persona che conosce bene i rischi che corrono le Ong di ispirazione cristiana. “Il mondo del volontariato – ha ammesso – rischia di essere manipolato, finendo per dipendere da chi da i soldi”. L’origine di questo vizio, secondo il segretario di Avsi, affonda le radici in una nuova visione della cooperazione internazionale basata sui progetti e su quella che definisce una “religione umanitaria, il cui Papa laico è il segretario generale del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite”. “Siamo in balia di uno scientismo umanitario – ha continuato Piatti – che pretende di stabilire le regole dello sviluppo e con esse il futuro delle persone. Le agenzie Onu decidono i progetti e la loro durata, ma quando si assiste qualcuno non si può abbandonarlo quando il tempo stabilito per il progetto è finito”. Emblematica in questo senso sarebbe l’attuale situazione di emergenza nel Corno d’Africa. “Tra i 450 mila profughi in Kenya – ha concluso Piatti – quasi la metà sono giovani sotto i 15 anni. A questi ragazzi non è sufficiente dare cibo e acqua, perché hanno bisogno soprattutto di speranza, perché senza speranza non può esistere sviluppo”.

Nord Africa e Italia: un ponte non un muro

 

I 5 Paesi del nord Africa dal Marocco all’Egitto contano 165 milioni di abitanti. Questo significa che, il loro presente e il loro futuro, non possono non interessarci perché l’Italia ha una centralità culturale e geografica nel Mediterraneo a cui non può abdicare. È questa la convinzione che traspare dagli incontri della sesta giornata del Meeting di Rimini in cui il Mediterraneo e i recenti fatti di cronaca che arrivano dalla Libia sono stati protagonisti.

 La giornata si è aperta con l’incontro dal titolo “Mare Nostrum” che ha visto confrontarsi sulle politiche migratorie, il Ministro dell’Interno, Roberto Maroni, il sindaco di Bari, Michele Emiliano e il demografo Gian Carlo Blangiardo. Politiche di regolazione dei flussi su cui, ha spiegato Maroni, pesa “l’incognita di quello che succederà nei Paesi del Nord Africa, dal Marocco all’Egitto”. “Quello che sta avvenendo – ha proseguito Maroni – è un fenomeno sociale e al momento non sappiamo chi vincerà. La preoccupazione è che alle prossime elezioni vincano i partiti dell’Islam intransigente che vedono l’Europa come il nemico”.

Una questione europea. Il ministro dell’Interno non ha mancato una stoccata alla Nato e alle istituzioni Europee. “La mia preoccupazione – ha ammesso Maroni – è che l’interesse di alcuni Paesi in Libia sia dettato solo dalle materie prima, gas e petrolio”. Dall’altra parte – ha aggiunto – “l’Europa deve muoversi non solo attraverso la Nato e le bombe ma operare per garantire in quei Paesi della sponda sud del Mediterraneo uno sviluppo sociale che garantisca forme di rappresentanza democratica non ostili all’Europa”. Maroni ha presentato i dati sul fenomeno migratorio dall’Africa: “Nello scorso decennio, dal 2000 al 2010, il numero di immigrati arrivati dall’Africa è stato di 80 mila. Nel 2011, in solo quattro mesi, abbiamo avuto 57 mila arrivi”. Proprio riguardo alla situazione di queste persone e al loro futuro Maroni ha invitato a distinguere tra “operazioni di pronto soccorso e di accoglienza”. “È importante coniugare la massima accoglienza con il massimo rigore”, ha ribadito ricordando come dall’inizio dell’anno dei 57 mila nuovi arrivi 13 mila sono stati già rimpatriati e “contiamo di arrivare a 30 mila nei prossimi mesi”.

Falsi miti. Parlando di flussi migratori nel bacino del Mediterraneo il demografo Gian Carlo Blangiardo ha invitato a guardare con realismo alla realtà. “Se guardiamo allo sviluppo demografico dell’Africa – ha spiegato il professore – la popolazione era di 400 milioni di abitanti negli anni ’70, oggi sono un miliardo e fra vent’anni saranno 1,5 miliardi. Bisogna però sfatare una volta per tutte la prospettiva di Malthus, che ciclicamente ritorna sui nostri media. L’idea di fondo delle teorie maltusiane è che essendo la crescita demografica esponenziale a fronte di una crescita lineare delle risorse, sia inevitabile che ciclicamente ci siano delle crisi, come una bomba destinata a scoppiare periodicamente. Questo non è vero. Se guardiamo all’Africa dobbiamo riconoscere che uno sviluppo c’è, ma il problema vero non è la quantità della crescita, ma la qualità. I Paesi del fronte nord del Mediterraneo devono aiutare quelli a Sud a valorizzare il proprio capitale umano creano sviluppo in loco. Solo così si potrà mettere un freno all’emigrazione”. Un invito alla collaborazione tra le due sponde del Mediterraneo che il sindaco di Bari, Michele Emiliano, invita a mutuare dall’esperienza degli anni ’90 con i profughi albanesi. “Allora la popolazione di Bari – ha detto – dette prova di grande generosità e accoglienza. Nacquero così dei rapporti che sono vivi ancora oggi e che rappresentano la base dei positivi rapporti che oggi il nostro Paese intrattiene con l’Albania. È anche così che si gettano le basi per relazioni internazionali durature”.

Una road map per la Libia. A chiudere il cerchio sul futuro del Mediterraneo ci ha pensato il ministro degli esteri Franco Frattini, intervenuto in serata all’incontro “La sfida del Nord Africa”. Un appuntamento a cui era atteso anche il segretario generale della Lega Araba, Nabil El-Arabi, che ha dovuto rinunciare proprio per poter seguire l’evolversi della situazione libica. Parlando dell’evolversi della situazione in Libia il ministro ha definito la prossima conferenza di Parigi “la prima delle tappe per la costituzione di un governo transitorio che porti alle elezioni”. “Sappiamo – ha proseguito Frattini – che il Consiglio nazionale Transitorio è già al lavoro per la definizione di una road map per la Costituzione libica, e che i prossimi passi da muovere riguarderanno da vicino la formazione di un governo inclusivo”. Sul fronte degli aiuti, il ministro ha precisato che “l’Italia è già all’opera per destinare generi di prima necessità unitamente, a partire da lunedì, a benzina e gasolio fornite dall’Eni”.