Italia

Mezzogiorno: rapporto Svimez, sud sempre più giù. Paese diviso e diseguale

«Un Paese diviso e diseguale, dove il Sud scivola sempre più nell’arretramento: nel 2014 per il settimo anno consecutivo il Pil del Mezzogiorno è ancora negativo (-1,3%); il divario di Pil pro capite è tornato ai livelli di 15 anni fa; negli anni di crisi 2008-2014 i consumi delle famiglie meridionali sono crollati quasi del 13% e gli investimenti nell’industria in senso stretto addirittura del 59%; dal 2000 al 2013 il Sud è cresciuto la metà della Grecia; nel 2014 quasi il 62% dei meridionali guadagna meno di 12mila euro annui, contro il 28,5% del Centro-Nord». Questa la fotografia che emerge dalle anticipazioni del Rapporto Svimez sull’economia del Mezzogiorno 2015 presentate oggi a Roma. «A livello regionale nel 2014 segno negativo per quindici regioni italiane su venti – ricorda il rapporto -. Miglior performance in assoluto a livello nazionale per il Friuli Venezia Giulia, +0,8%. Nel Mezzogiorno la forbice resta compresa tra il -0,2% della Calabria e il -1,7% dell’Abruzzo, fanalino di coda nazionale». In termini di Pil pro capite, «il Mezzogiorno nel 2014 è sceso al 63,9% del valore nazionale, un risultato mai registrato dal 2000 in poi». Nel 2014 la regione più ricca è stato il Trentino Alto Adige, con 37.665 euro, la regione più povera è la Calabria, con 15.807 euro. Il divario tra la regione più ricca e la più povera è stato nel 2014 pari a «18.453 euro».

«Guardando agli anni di crisi 2008-2014, la caduta cumulata dei consumi delle famiglie ha superato nel Mezzogiorno i 13 punti percentuali (-13,2%), risultando di oltre due volte maggiore di quella registrata nel resto del Paese (-5,5%)», ricorda il rapporto Svimez. In particolare, «negli anni 2008-2014 il calo cumulato della spesa è stato al Sud del -15,3% per i consumi alimentari, a fronte del -10,2% del Centro-Nord; e di ben il -16% per il vestiario e calzature, il doppio del resto del Paese (-8%)». Significativo e preoccupante anche il crollo della spesa delle famiglie relativo agli altri «beni e servizi», che racchiudono i servizi per la cura della persona e le spese per l’istruzione: «-18,4% al Sud, oltre tre volte in più rispetto al Centro-Nord (-5,5%)». Anche nel 2014 «gli investimenti fissi lordi hanno segnato una caduta maggiore al Sud rispetto al Centro-Nord: -4% rispetto a -3,1%. Dal 2008 al 2014 sono crollati del 38% nel Mezzogiorno e del 27% nel Centro-Nord». In tempi di spending review, «a livello nazionale dal 2001 al 2013 la spesa pubblica in conto capitale è diminuita di oltre 17,3 miliardi di euro, passando da 63,7 a 46,3 miliardi di euro». In altri termini, «dal 2001 al 2013 la spesa nel Mezzogiorno è diminuita di 9,9 miliardi di euro, passando da 25,7 a 15,8».

A livello europeo, evidenzia il rapporto Svimez, «in tredici anni, dal 2000 al 2013, l’Italia è stato il Paese che è cresciuto meno di tutti i paesi considerati, +20,6% rispetto al +37,3% dell’area Euro a 18, addirittura meno della Grecia, che ha segnato +24% quale effetto della forte crescita negli anni pre crisi, che è riuscita ad attenuare in parte il crollo successivo. Situazione decisamente più critica al Sud, che cresce nel periodo n questione la metà della Grecia, +13%: oltre 40 punti percentuali in meno della media delle regioni Convergenza dell’Europa a 28 (+53,6%)». Un’altra voce negativa è il lavoro: «Il Mezzogiorno tra il 2008 ed il 2014 registra una caduta dell’occupazione del 9%, a fronte del -1,4% del Centro-Nord, oltre sei volte in più. Delle 811mila persone che in Italia hanno perso il posto di lavoro nel periodo in questione, ben 576mila sono residenti nel Mezzogiorno. Nel Sud, dunque, pur essendo presente appena il 26% degli occupati italiani si concentra il 70% delle perdite determinate dalla crisi». Nel 2014 «i posti di lavoro in Italia sono cresciuti di 88.400 unità, tutti concentrati nel Centro-Nord (133mila). Il Sud, invece, ne ha persi 45mila. Il numero degli occupati nel Mezzogiorno torna così a 5,8 milioni, sotto la soglia psicologica dei 6 milioni; il livello più basso almeno dal 1977, anno da cui sono disponibili le serie storiche dell’Istat».

Ci sono «segnali di un debole miglioramento nell’ultimo periodo: tra il primo trimestre del 2014 e quello del 2015 gli occupati sono saliti in Italia di 133mila unità, di cui 47mila al Sud e 86mila al Centro-Nord». Nel 2014 «a fronte di un tasso di occupazione femminile medio del 64% nell’Europa a 28 in età 35-64 anni, il Mezzogiorno è fermo al 35,6%. Ancora peggio se si osserva l’occupazione delle giovani donne under 34: a fronte di una media italiana del 34% e di una europea a 28 del 51%, il Sud si ferma al 20,8%». In generale, «il Sud negli anni 2008-2014 perde 622mila posti di lavoro tra gli under 34 e ne guadagna 239mila negli over 55. Il tasso di disoccupazione arriva nel 2014 al 12,7% in Italia, quale media tra il 9,5% del Centro-Nord e il 20,5% del Sud». Nel 2014 al Sud «si sono registrate solo 174mila nascite, un livello che ci riporta al minimo storico registrato oltre 150 anni fa, durante l’Unità d’Italia». Il Sud sarà quindi interessato nei prossimi anni «da uno stravolgimento demografico, uno tsunami dalle conseguenze imprevedibili, destinato a perdere 4,2 milioni di abitanti nei prossimi 50 anni, arrivando così a pesare per il 27,3% sul totale nazionale a fronte dell’attuale 34,3%». Infine, «quanto al rischio povertà, nel 2013 in Italia vi era esposto il 18% della popolazione, ma con forti differenze territoriali: 1 su 10 al Centro-Nord, 1 su 3 al Sud».