Italia

Migrazioni: Ispi, il sistema italiano dei rimpatri non funziona. Nei primi 4 mesi del 2018 il 75% in meno di sbarchi

Nei primi quattro mesi del 2018 sono sbarcati in Italia circa 9.300 migranti, il 75% in meno rispetto allo stesso periodo del 2017, trend in linea con il calo degli ultimi sei mesi del 2017 (-75% rispetto allo stesso periodo del 2016). C’è però da considerare che gli arrivi crescono da aprile e raggiungono un picco tra giugno e agosto (trend stagionale). A metà aprile, in quattro giorni sono sbarcate 1.500 persone: è presto però per capire che cosa succederà nei prossimi mesi dal momento che in gioco ci sono anche «le decisioni e le politiche degli attori coinvolti lungo la rotta». Calando gli arrivi sono calate le domande di asilo presentate. Anche se c’è «un significativo accumulo delle richieste d’asilo ancora da evadere»: a inizio 2018 sfioravano le 150mila per cui «l’Italia avrebbe bisogno di più di un anno e mezzo senza sbarchi per dare una risposta a tutti i richiedenti asilo», considerando che l’Italia valuta 7mila richieste al mese (rispetto alle 50mila del sistema tedesco). Il calo delle partenze ha ridotto drasticamente il numero assoluto di persone che perde la vita durante la traversata, anche se tra gennaio e marzo 2018 il rischio della traversata lungo la rotta del Mediterraneo Centrale sia quasi raddoppiato rispetto allo stesso periodo dell’anno precedente (dal 3,3% al 5,8%). Ma in realtà questo aumento sembra dipendere più dalle condizioni meteorologiche invernali e da singoli casi «eccezionali».

Le Ong non sono «taxi»: sono aumentati i salvataggi in mare da parte di imbarcazioni delle Ong (da 1% del 2014 a 41% nel 2017), ma «non esiste una correlazione tra le attività di soccorso in mare svolte dalle Ong e gli sbarchi sulle coste italiane», chiarisce l’Istituto per gli studi di politica internazionale (Ispi). A determinare il numero di partenze tra il 2015 e oggi sembrano essere stati altri fattori, tra cui, per esempio, le attività dei trafficanti sulla costa e la «domanda» di servizi di trasporto da parte dei migranti nelle diverse località libiche.

In «emergenza» è ancora il sistema di accoglienza in Italia e, se negli anni i posti a disposizione dello Sprar (Sistema di protezione per richiedenti asilo e rifugiati) sono aumentati (da meno di 4mila nel 2012 a circa 25mila nel 2017), il sistema è ancora lontano dall’offrire un numero sufficiente di posti rispetto alle richieste d’asilo. Nel 2017, infatti, l’86% dei richiedenti asilo e rifugiati accolti dal sistema di emergenza e di prima accoglienza non si trovava in strutture Sprar. Quanto ai ricollocamenti la solidarietà europea è pari solo «al 4% degli sforzi italiani», perché le promesse non sono state mantenute ma, in ogni caso, anche con le quote definite «più di 9 migranti sbarcati su 10 sarebbero rimasti responsabilità dell’Italia». Neppure le risorse finanziarie destinate dall’Europa all’Italia per far fronte all’emergenza sono state sufficienti: nel 2017, gli aiuti Ue hanno coperto «meno del 2% dei costi dello Stato italiano per gestire il fenomeno migratorio».

Il sistema italiano dei rimpatri non funziona: tra il 2013 e il 2017 l’Italia – spiega l’Ispi – ha rimpatriato solo il 20% dei migranti a cui è stato intimato di lasciare il territorio. Questo perché l’Italia ha emesso decreti di espulsione in massima misura nei confronti di persone con nazionalità africana (49% Nordafrica; 18% Africa subsahariana) e pochi sono gli accordi di riammissione sottoscritti con i Paesi africani. Se nulla cambia, gli arrivi dall’Africa non diminuiranno, al contrario: aumenta esponenzialmente la popolazione subsahariana e se la tendenza a lasciare il proprio Paese resta la stessa degli ultimi anni (il 2,5% della popolazione), «il numero di migranti internazionali provenienti dall’Africa subsahariana crescerà da 24 a 54 milioni» in tutto il mondo entro il 2050.

Se resta invariata anche la propensione a raggiungere l’Europa, «circa 7,5 milioni arriveranno in Europa entro il 2050, 220.000 persone all’anno, equivalenti all’1,5% della popolazione dell’Ue e al 12% della popolazione italiana». Perché la migrazione si fermi è necessario che i Paesi superino un reddito medio pro capite di circa 5.000 dollari annui (nel 2016 nei paesi dell’Africa subsahariana il reddito pro capite medio era inferiore a 3.500 dollari annui). Una possibilità è che riprendano le migrazioni intra-regionali se si innesca lo sviluppo dei Paesi africani. Sono però «necessari aiuti di importo molto consistente»: gli aiuti ufficiali allo sviluppo da parte dei paesi Ocse verso l’Africa subsahariana sono invece rimasti a un livello praticamente invariato dal 2010, e quelli italiani si sono addirittura ridotti di oltre il 70%.