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«Non si dica che Roma è impossibile da governare»

«Un consiglio per la sindaca Raggi? Roma ha bisogno di un progetto, di una strategia, che rimetta in moto la città anche come realtà produttiva». Giuseppe Roma, al di là del facile gioco di parole con il suo cognome, è uno studioso che di città si intende. Segretario generale della Rur (Rete urbana delle rappresentanze) e docente di gestione urbana nella terza università della Capitale, è stato per vent’anni direttore generale del Censis. Come Rur, su commissione dei sindacati confederali, alla vigilia delle ultime elezioni comunali ha presentato un rapporto su Roma ricco di analisi e proposte. Un documento che forse avrebbe meritato più attenzione di quella che ha poi avuto nella strettoia elettorale.

Si aspettava una partenza così problematica per la nuova giunta?

«Sinceramente sì. Perché finora sono mancati proprio un progetto, una strategia. A Torino il voto di cambiamento ha determinato una sostituzione di classe dirigente, a Roma no, questo non è accaduto. Il fatto è che qui la realtà, anche quella della classe dirigente, è molto più spappolata e non si capisce quali siano i soggetti – nella politica, nell’impresa, nella cultura – capaci di rappresentare veramente il volto della città in termini sociali. Ma non si dica che Roma è impossibile da governare. Servono persone che con onestà e competenza si mettano al lavoro nell’esclusivo interesse della città. Questa è la scommessa».

Se il suo consiglio è di puntare sulla ripresa produttiva, vuol dire che la situazione è ferma?

«In termini di Pil come città metropolitana, con circa 139 miliardi di euro – dati 2013, gli ultimi disponibili – Roma si colloca al quinto posto in Europa, dopo Parigi, Londra, Madrid e Milano e prima di Barcellona e Berlino. Questo dice delle enormi possibilità economiche che ci sono in partenza. Se però confrontiamo il dato con i 149 miliardi di euro del 2008, appare evidente come negli anni della crisi Roma non sia stata in grado di rinnovarsi e rilanciarsi. Tanto più che tra 2008 e 2014 la popolazione residente è cresciuta del 5,6% e anche da questo scarto scaturisce l’aumento delle disuguaglianze sociali e generazionali. Se in Europa Roma è ai primi posti in base al Pil, lo è anche per la disoccupazione. Il punto è che se non si rimette il moto il sistema produttivo non si generano neanche le risorse per intervenire sulle disuguaglianze e sull’esclusione sociale e queste, anzi, sono destinate ad aumentare ancora».

Ma un sindaco che cosa può fare su questo terreno?

«Certamente non può mettersi a fare l’imprenditore, né è un demiurgo che può risolvere tutti i problemi. Però il sindaco è colui che in un certo senso dà il tono alla città. Deve farla funzionare nei suoi servizi, certo, ma deve anche creare un clima di fiducia. È questo che stimola nei cittadini un comportamento attivo, che attrae quegli investimenti che a Roma mancano da troppo tempo, non certo una situazione di confusione e di litigi».

E le Olimpiadi?

«Le Olimpiadi in sé non sono né buone né cattive. Come dimostrano le esperienze di altre città, possono essere uno strumento utile per rimettere in moto i processi produttivi o un evento una tantum che non cambia nulla».

Per rimettere in moto Roma si può ripartire dalle periferie?

«Quando parlavo di disuguaglianze avevo in mente anche a questo dato: rispetto alla media dei cittadini romani, in periferia il reddito si riduce fino al 21,8% mentre cresce dell’86,3% in chi abita nei quartieri centrali. A fronte di questa situazione c’è bisogno innanzitutto di un riconoscimento della grande dignità delle periferie da parte di tutta la città: Roma è molto di più di quel che accade nel centro storico. Questo riconoscimento implica un salto di qualità nel ruolo istituzionale dei municipi che devono essere portati a livello di realtà comunali: non dimentichiamo che si tratta di agglomerati che hanno gli abitanti di città di media grandezza. Poi ci sono importanti risorse da valorizzare, a cominciare da un capitale umano capace di esperienze innovative e socialmente rilevanti. Gli stessi insediamenti produttivi è nelle periferie che sono inevitabilmente destinati a trovare collocazione. E non si trascuri il turismo: una delle strade per migliorare e rinnovare l’offerta turistica della città passa proprio per le periferie. Un esempio: Ostia antica. È uno dei siti archeologici più grandi del mondo, lo visitano ogni anno 300mila persone contro i 6 milioni del Colosseo. Ci sarebbero margini enormi di crescita».