Italia

Norberto Bobbio, il filosofo che sapeva di non sapere

di Gaspare Mura “Quel che conta nella vita sono i rapporti umani. Coloro che siamo riusciti ad amare, coloro che ci hanno amati… solo questo ha valore”. Così Bobbio si esprimeva in una recente intervista televisiva, consegnandoci quasi in modo sintetico il proprio testamento spirituale. Molto si è scritto infatti in questi giorni sull’uomo, sul filosofo della politica, sul maestro della libertà e della democrazia per intere generazioni, sullo scrittore di successo non solo di opere accademiche (“Politica e cultura” 1955; “Saggi sulla scienza politica in Italia” 1969; “Il problema della guerra e le vie della pace” 1979; “Dizionario di politica” 1983; “L’età dei diritti” 1989; fino al best-seller, tradotto in 14 lingue “Destra e sinistra” 1994; e ai recenti “Né con Marx, né contro Marx” 1997 e “Teoria generale della politica” 1999), ma anche propriamente autobiografiche e moralistiche (“Autobiografia” 1997; “Elogio della mitezza e altri scritti morali” 1998; “Il dubbio e la scelta” 2001; “La mia Italia” e “Maestri e compagni” 2001). Ma forse non si è sempre colta l’intima tensione morale e spirituale dell’uomo, dalla quale anche il credente ha molto da imparare.

La lezione di Bobbio, che occorre far propria anche da parte del credente, è quella dell’assoluto rispetto della propria coscienza. Bobbio è stato uno dei maestri laici della “coscienza”, intesa socraticamente come l’unica voce autoritativa a cui può e deve appellarsi ogni uomo che voglia spendere la propria vita nella ricerca incessante della libertà, della verità, della giustizia. A Bobbio potrebbero essere applicate le parole dell’Apologia di Socrate: “una vita senza esame, di sé stessi e degli altri, per ricercare ciò che è giusto e vero, e per rendersi migliori, non è degna di essere vissuta”. E suona socratica anche l’affermazione più volte ricorrente negli scritti anche divulgativi di Bobbio, e ric ordata in questi giorni dai suoi estimatori: “io so solo di non sapere”. Perché quel “non sapere” non significava per il “neoilluminista” Bobbio, arroccamento nelle presunzioni razionalistiche del Secolo dei Lumi, ma piuttosto senso del limite dell’umana ragione e senso del “mistero” che la circonda e che circonda la vita e l’esistenza dell’uomo, dell’universo, dell’origine e del fine di tutte le cose.

Per questo anche Bobbio amava dirsi “religioso” al di fuori di ogni religione: “Religiosità significa per me, semplicemente, avere il senso dei propri limiti, sapere che la ragione dell’uomo è un piccolo lumicino, che illumina uno spazio infimo rispetto alla grandiosità, all’immensità dell’universo. L’unica cosa di cui sono sicuro… è che io vivo il senso del mistero… questo profondo senso del mistero che ci circonda e che è ciò che io chiamo senso di religiosità” (Micromega, 2/2000). Non sarebbe corretto, nei confronti di Bobbio, ritenere semplicemente “agnostica” questa posizione, che costituiva invece sentita attitudine spirituale nei confronti del mistero del tutto e disponibilità a ogni ulteriore risposta che possa dare “senso” alla vita dell’uomo nel mondo e al suo destino.

Per questo anche il suo “sapere di non sapere” era in realtà denso, socraticamente, di molte verità, in particolare delle verità incontrovertibili della coscienza morale. Come non ricordare la ferma opposizione di Bobbio, “coscienza critica della sinistra”, alla legge dell’aborto e a favore dei diritti del nascituro? Come non ricordare inoltre l’umiltà con cui riconobbe pubblicamente di avere aderito al fascismo per opportunismo, con il fine di partecipare ai concorsi universitari, rifiutando di conseguenza il prestigioso premio di “Educatore civile” già conferito a Valiani e Bauer, ritenendosene indegno? E il suo costante impegno a favore degli anziani e dei poveri ? Ma soprattutto, il “non sapere” di Bobbio sapeva con certezza ca tegorica che la giustizia è il vero fondamento della libertà, della democrazia e della pace. Questo è stato il fulcro di tutto il suo magistero, e su di esso dovranno educarsi i giovani.Bobbio confessava sinceramente: “Io non sono un uomo di fede, sono un uomo di ragione e diffido di tutte le fedi”.

Eppure anche il credente, di fronte all’affermazione categorica di questa “ragione etica”, deve potersi interrogare circa il rapporto tra la propria fede e la propria coscienza morale. Deve cioè potersi chiedere se vi sia corrispondenza leale tra la propria fede e la propria coscienza, se si sia capaci di ascoltare e di seguire fino in fondo gli imperativi anche severi della coscienza, se cioè la propria fede sia sostanziata o meno dalla “durezza” dell’etica. Non è un caso allora che per figure morali, anche non credenti, del livello di Bobbio, abbiano nutrito simpatia e amicizia persino dei Pontefici: Paolo VI nei confronti di Prezzolini; Giovanni Paolo II nei confronti di Pertini. Di fronte alla professione di quest’ultimo: “Santità io non sono un credente, non ho il dono della fede. Ma ho sempre seguito la mia coscienza”, Giovanni Paolo II ebbe a rispondere: “Anche questa è trascendenza”.

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