Italia
Norberto Bobbio, il filosofo che sapeva di non sapere
La lezione di Bobbio, che occorre far propria anche da parte del credente, è quella dell’assoluto rispetto della propria coscienza. Bobbio è stato uno dei maestri laici della “coscienza”, intesa socraticamente come l’unica voce autoritativa a cui può e deve appellarsi ogni uomo che voglia spendere la propria vita nella ricerca incessante della libertà, della verità, della giustizia. A Bobbio potrebbero essere applicate le parole dell’Apologia di Socrate: “una vita senza esame, di sé stessi e degli altri, per ricercare ciò che è giusto e vero, e per rendersi migliori, non è degna di essere vissuta”. E suona socratica anche l’affermazione più volte ricorrente negli scritti anche divulgativi di Bobbio, e ric ordata in questi giorni dai suoi estimatori: “io so solo di non sapere”. Perché quel “non sapere” non significava per il “neoilluminista” Bobbio, arroccamento nelle presunzioni razionalistiche del Secolo dei Lumi, ma piuttosto senso del limite dell’umana ragione e senso del “mistero” che la circonda e che circonda la vita e l’esistenza dell’uomo, dell’universo, dell’origine e del fine di tutte le cose.
Per questo anche Bobbio amava dirsi “religioso” al di fuori di ogni religione: “Religiosità significa per me, semplicemente, avere il senso dei propri limiti, sapere che la ragione dell’uomo è un piccolo lumicino, che illumina uno spazio infimo rispetto alla grandiosità, all’immensità dell’universo. L’unica cosa di cui sono sicuro è che io vivo il senso del mistero questo profondo senso del mistero che ci circonda e che è ciò che io chiamo senso di religiosità” (Micromega, 2/2000). Non sarebbe corretto, nei confronti di Bobbio, ritenere semplicemente “agnostica” questa posizione, che costituiva invece sentita attitudine spirituale nei confronti del mistero del tutto e disponibilità a ogni ulteriore risposta che possa dare “senso” alla vita dell’uomo nel mondo e al suo destino.
Eppure anche il credente, di fronte all’affermazione categorica di questa “ragione etica”, deve potersi interrogare circa il rapporto tra la propria fede e la propria coscienza morale. Deve cioè potersi chiedere se vi sia corrispondenza leale tra la propria fede e la propria coscienza, se si sia capaci di ascoltare e di seguire fino in fondo gli imperativi anche severi della coscienza, se cioè la propria fede sia sostanziata o meno dalla “durezza” dell’etica. Non è un caso allora che per figure morali, anche non credenti, del livello di Bobbio, abbiano nutrito simpatia e amicizia persino dei Pontefici: Paolo VI nei confronti di Prezzolini; Giovanni Paolo II nei confronti di Pertini. Di fronte alla professione di quest’ultimo: “Santità io non sono un credente, non ho il dono della fede. Ma ho sempre seguito la mia coscienza”, Giovanni Paolo II ebbe a rispondere: “Anche questa è trascendenza”.
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