Italia

Povertà, la sfida si vince sul campo

di Mauro BanchiniSi fa presto a dire «povertà», ma spesso si fa anche una grande confusione: si mettono insieme situazioni diverse, si usano concetti non sempre sovrapponibili, si confrontano numeri che invece di fare chiarezza generano confusione e oscurità. Manca, in particolare, un sistema condiviso per rilevare nei livelli locali e regionali la diffusione di un fenomeno così complesso. Lo stesso Istat, che fornisce dati anche sulla povertà, lo fa con una ricerca secondaria e pensata sulla capacità degli italiani di consumare: questi numeri finiscono per dire poco su quelle che gli studiosi chiamano «carriere di povertà» e rischiano di dire ancora meno su quanto accade nei livelli locali, che poi sono i livelli più interessanti per mettere alla prova le politiche di contrasto alla povertà. C’è dunque un gran lavoro da fare per conoscere un fenomeno che purtroppo interessa non poche persone: in Italia almeno due milioni e mezzo di famiglie con un dato allarmante nel Sud, dove il livello di povertà arriva a coinvolgere più del 22% di famiglie, con un tetto del 27% in Basilicata. E non si pensi solo alla categoria dei senza fissa dimora, su cui c’è molta letteratura e spesso anche non poca retorica: a fare i conti con la miseria, oggi, sono costrette fasce di popolazione insospettabili. In un contesto di ingiustizie, il benessere di pochi genera sofferenza in molti. Cosa fare per aumentare la conoscenza su povertà, vulnerabilità, esclusione sociale nei livelli regionali e locali è stato il tema di un seminario nazionale di ricerca che si è svolto in Trentino, a Malosco, su input della Fondazione «Zancan» e della Regione Toscana. Una tre giorni coordinata dal sociologo Giovanni Sarpellon che ha visto un alternarsi di esperienze e un confronto fra chi è più impegnato sul fronte «povertà»: in particolare le Caritas.Gli «osservatori» Caritas (si stanno legando in un progetto nazionale che presto porterà alla presentazione di un rapporto unico) hanno raccontato cosa stanno facendo per «contare» i poveri in realtà molto diverse: Roma, Milano, il Nord Est, la Sicilia, la Calabria. Sociologi hanno riferito su ricerche analoghe in altre realtà. Per la Regione Toscana il vicepresidente Angelo Passaleva e la dirigente Giovanna Faenzi hanno illustrato le politiche di lotta su un fenomeno che colpisce perfino un territorio così apparentemente distante. Sono state analizzate le indicazioni provenienti da un monitoraggio nazionale su una misura (il Reddito Minimo di Inserimento) pensata dal governo all’inizio del Duemila per contrastare in modo non assistenzialistico le povertà, alla vigilia della probabile partenza di un’altra misura (il Reddito di Ultima Istanza) voluta dall’attuale governo, con un cambio di prospettiva che non è solo di carattere semantico e che, almeno a Malosco, preoccupa non poco.

Sono state ascoltate le riflessioni di Giancarlo Rovati, presidente della Commissione d’indagine sull’esclusione sociale e quelle dell’Istat rispetto alla possibile evoluzione dei metodi di ricerca, compresa la necessità di avere dati credibili almeno ai livelli regionali e compresa la necessità indagare non solo sui dati di reddito ma anche sulla povertà «relazionale».

C’è un rischio. E Malosco l’ha fatto intravedere bene: il rischio che si finisca per privilegiare la soluzione assistenzialistica, magari ricoperta di panni nuovi, più accattivanti, meno volgari. Il rischio che qualcuno pensi di utilizzare Caritas e volontariato come comodi strumenti per giustificare un sostanziale arretramento nelle politiche di welfare. C’è il rischio, avvertibile in certe aree del Sud, che la lotta alla povertà non sia perseguita con la forza necessaria perché sveglierebbe i cittadini da quel torpore che genera clientelismo (accade perfino, in Sicilia, che qualche Comune non voglia consegnare i suoi bilanci – ovviamente pubblici – al sistema Caritas che sta facendo un lodevole lavoro di messa in rete proprio di quei bilanci per far conoscere come i soldi pubblici vengono effettivamente spesi).

Il confronto di Malosco si è chiuso con la presentazione di un «modello» per favorire una migliore conoscenza sul fenomeno. Senza dimenticare una frase di don Mazzolari, citata da Angelo Passaleva, sulla necessità di cancellare ciò che potrebbe offendere le persone in difficoltà. «I poveri – diceva don Primo – non si contano, si amano».

Firenze, Prato e Pistoia:Caritas e Regione indagano insiemeIndagare, attraverso tecniche di ricerca sociale, le specificità locali dei processi che portano una parte della popolazione a essere destinataria di interventi sociali perché in condizione di povertà». Il territorio è quello di Firenze, Prato e Pistoia: aree di forte benessere ma dove non mancano persone in sofferenza. In questa zona la Regione ha finanziato un progetto, coordinato dalla Provincia di Pistoia e gestito dai tre Osservatori sociali, sul quale è attivata una interessante sinergia con il sistema delle Caritas diocesane.

Sono stati Angelo Passaleva e don Emanuele Morelli – assessore regionale al Sociale e rappresentante della delegazione Caritas Toscana – a firmare il protocollo d’intesa. La collaborazione punta sui Centri di Ascolto delle tre diocesi considerati come «luoghi privilegiati della rilevazione sul campo». Il progetto sarà concluso entro l’anno e prevede un costante scambio di informazioni fra gli Osservatori provinciali e le strutture di accoglienza delle Caritas.