Italia

Povertà, nasce «Numeri pari»: stop a sfratti e adeguamento Fondo nazionale sociale

Contrastare la disparità e la disuguaglianza sociale a favore di una società più equa e potenziare l’azione tra «eguali» nei territori, costruendo iniziative locali che uniscano tutte le forze delle diverse organizzazioni e dei cittadini disponibili a incisivi interventi concreti, dando luogo a significative sperimentazioni che forniscano idee e gambe per un effettivo welfare municipale. È l’obiettivo della rete «Numeri Pari», promossa e presentata oggi a Roma da Gruppo Abele, Libera, Cnca e Rete della conoscenza insieme a un documento base contenente modalità di intervento per un efficace contrasto alle povertà che permetta «una radicale inversione di tendenza» delle politiche sociali.

«Sfratti zero» è il primo punto, «come prima occasione – si legge nel testo – di un’attivazione nei territori, con il coinvolgimento del volontariato, dell’associazionismo e della cooperazione sociale (ma non solo), nella definizione di progetti intorno alle necessità di una realtà locale, che appaiono evidenti ai cittadini, ma non sono state ancora raccolte e tantomeno risolte». Quindi l’adeguamento del Fondo nazionale sociale «per la diffusione dei servizi sociali e l’affermazione su tutto il territorio nazionale dei Livelli essenziali di assistenza, senza discriminazioni regionali e locali». E ancora, «investimento sull’infanzia con una maggiore promozione all’accesso agli asili nido e alla prescolarità per i bambini delle famiglie svantaggiate e donne sole», e legge nazionale sul diritto allo studio che garantisca a tutti gli studenti effettive uguali opportunità.

L’istituzione del «reddito di dignità», che «metta finalmente al passo anche l’Italia con tutti gli altri Stati dell’Unione europea» è l’ulteriore intervento di contrasto alla povertà indicato nel documento base della rete «Numeri pari». Per i promotori si tratta «non solo di superare lo ‘spezzatino’ delle tante ma insufficienti, e a volte contraddittorie, misure assistenziali», ma di unire, «a un doveroso atto di giustizia sociale, l’occasione di riconnettere le risorse individuali e familiari alle esigenze scoperte delle comunità locali, restituendo protagonismo e autorevolezza sociale alle persone che vivono una condizione di marginalità e rischiano la deriva dell’emarginazione e della deprivazione sociale». Secondo la rete, inoltre, mantenere la spesa sociale fuori dal patto di stabilità, «proposta già avanzate dalle reti e campagne sociali in questi anni, è la condizione necessaria per mettere in condizione comuni ed enti locali di investire nelle politiche sociali, ridurre le disuguaglianze, sostenere esperienze innovative e coprogettazioni». Positivo il giudizio sulle misure di sostegno all’inclusione attiva (Sia), istituite e messe in capo ai comuni, pur se «le risorse assegnate sono limitatissime e i criteri di accesso al servizio estremamente rigidi». Un processo da monitorare e al quale «Numeri pari» può offrire un contributo «in termini di potenziamento dei progetti, di apporto di competenze, risorse da individuare, relazioni da attivare».

La risposta alla cosiddetta «emergenza profughi», si legge ancora nel documento, è la diffusione di «un’accoglienza residenziale diffusa su tutto il territorio nazionale, in strutture piccole a garanzia di una dimensione di vita più umana sia per chi è ospitato che per la comunità territoriale che accoglie». Ragionando di misure di contrasto alla povertà «non si possono ignorare i migranti – si legge nel documento base illustrato in conferenza stampa – che ne costituiscono una fascia rilevante, e che sono pretesto e oggetto di divisioni e ulteriore esclusione». L’«emergenza» profughi e il ruolo assunto nella loro gestione da cooperative «for profit» ha «pesanti ricadute» non solo sul «clima» dell’operatività ma anche sulla stessa possibilità di intervenire. Per la rete, «fare sì che i Comuni possano avvalersi maggiormente della pratica degli Sprar» può limitare «la diffusione a pioggia dei Cas (Centri di accoglienza straordinaria) che sfuggono di mano a qualsiasi gestione, non sono soggetti ad alcuna programmazione territoriale, e originano nei territori le note contraddizioni di cui riferiscono le cronache». Di qui l’importanza di denunciare «le gestioni, assistenzialiste, cattive e talvolta disoneste» e la diffusione di un’accoglienza residenziale diffusa su tutto il territorio nazionale con strutture che dovranno essere collocate «presso centri abitati collegati con il trasporto pubblico» per dare l’opportunità ai migranti di accedere ai servizi territoriali di base.

«Per un’azione sociale, etica, culturale e politica è necessario unire le nostre forze. Abbiamo il dovere tutti quanti di alzare la voce quando in molti scelgono un prudente silenzio, dobbiamo alzare la voce anche nei nostri gruppi e associazioni, nessuno escluso». Ha esordito così don Luigi Ciotti, fondatore e presidente di Libera e di Gruppo Abele, aprendo oggi a Roma l’incontro di presentazione della rete «Numeri pari», alla quale stanno già aderendo centinaia di realtà sul territorio. Nel suo intervento, don Ciotti ha chiesto «coraggio, umiltà, generosità e responsabilità» e ha detto no a i «navigatori solitari». «Dobbiamo alzare la voce – ha affermato – di fronte a questo sistema che Papa Francesco ha chiamato ‘ingiusto alla radice’», alzare la voce perché non vogliamo un’Italia e un’Europa a doppia corsia». Per questo è necessaria «una rivoluzione culturale, etica sociale che la classe politica attuale stenta non solo a realizzare ma anche a pensare». La rete, ha proseguito, vuole essere «un contributo che non arriva solo dal basso ma deve partire dal di dentro, insieme ai nostri amici che fanno più fatica». «Quattro milioni di poveri nel nostro Paese – esclama -; non è possibile! O alziamo la voce o diventiamo complici. Non bastano aggiustamenti a spezzatino a volte superficiali, la persona deve essere il fine e non il mezzo». Per ora la rete dei Numeri pari ha una pagina Facebook. A fine gennaio è prevista l’attivazione dl sito.

Disuguaglianza inaccettabile. «Bisogna riprendere il senso di una strada. Il mondo scoppia se va avanti così, se continua a rubare, massacrare, fare guerre. Otto persone possiedono tanta ricchezza quanto la metà della popolazione mondiale, questo non è accettabile». È il monito di don Armando Zappolini, presidente Coordinamento nazionale comunità d’accoglienza (Cnca), intervenuto oggi a Roma alla presentazione della rete «Numeri pari». Don Zappolini ha esordito citando il rapporto Oxfam che conferma il dato che denuncia dal 2015: l’1% dei più ricchi al mondo possiede quanto il restante 99%, diffuso ieri alla vigilia del Forum economico mondiale di Davos che si è aperto oggi. Compito della rete «Numeri pari», spiega, «è anzitutto denunciare perché non deve diventare normale quello che sta accadendo, occorre rompere la coscienza instupidita». Poi «evidenziare il bello che c’è, bisogna far capire al Paese che c’è una possibilità, quello che non possiamo rubare ai poveri è la speranza di un cambiamento. Non si può essere complici e dormire».

Azione tra eguali. La rete «Numeri pari» non nasce dal nulla ma «riprende la Costituzione italiana e la Carta di Nizza in questi ultimi anni messe da parte» e intende «potenziare l’azione tra ‘eguali’ nei territori costruendo iniziative locali» per un «effettivo welfare municipale», ha detto Leopoldo Grosso, presidente onorario del Gruppo Abele. «Gli 80mila senza tetto» sono «la punta dell’iceberg della povertà in Italia» che ha anche il volto delle «350 famiglie sfrattate in cinque anni per morosità incolpevole, più di un milione di persone», ha proseguito Grosso. L’altro risvolto della crisi, ha sottolineato, «è il forte attacco ai beni comuni: scuola pubblica e sistema sanitario nazionale».

Dal governo risorse insufficienti. Per il relatore «il miliardo e mezzo, anzi un po’ meno, che il governo ha messo sul tavolo come risorse per il contrasto alla povertà è insufficiente, vengono aiutate solo le famiglie che hanno un reddito inferiore ai 300 euro al mese, un criterio selettivo inaccettabile». «Vogliamo rilanciare con le istituzioni disponibili – annuncia – iniziative sui territori. Il nodo a livello locale sono i Sia: i Comuni devono attivare l’aiuto economico ma molti, soprattutto quelli piccoli, non hanno risorse né di personale né di competenza. Il lavoro deve essere fatto insieme: pubblico e volontariato». L’obiettivo, conclude Grosso, «è dare vita a intraprese sociali seguendo la strada dell’economia civile che può arrivare dove non arriva la politica».