Italia

Rom: rogo di Livorno, il Papa telefona in Curia

di Chiara Domenici

Quattro giovani vite spezzate in un rogo alla periferia della città, alle loro spalle l’annosa questione delle popolazioni rom con il loro stile di vita, l’integrazione che non c’è, le condizioni precarie e la povertà infinita ed in poche ore la tragedia si trasforma in un mare di polemiche. Il rimpallo delle responsabilità si mescola alle indagini degli inquirenti, la solidarietà e le accuse si moltiplicano raggiungendo i vertici della politica, locale, nazionale ed europea e tutti sembrano voler mettere bocca su una questione troppo spesso caratterizzata dal silenzio.

La vicenda occupa pagine e pagine di quotidiani e Tg, affamati di notizie in un’estate senza grandi eventi e la questione rom torna alla ribalta. L’opinione pubblica è divisa, tra chi sostiene la necessità di un’integrazione fattiva, con assegnazione di alloggi pubblici e sostegno economico a queste comunità sparse su tutto il territorio nazionale e chi invece li vorrebbe ancora confinati in campi alla periferia dei centri urbani, con la convinzione che l’isolamento sia la migliore soluzione per mettere fine a furti, accattonaggio e sfruttamento di minori.

Il sindaco di Livorno Cosimi interpreta subito la portata della tragedia prendendo a cuore il problema di queste famiglie colpite dalla morte dei loro piccoli e poi indagate dagli inquirenti, disponendo il lutto cittadino ed uno stop alla manifestazione «Effetto Venezia» che caratterizza l’estate livornese: un provvedimento contro corrente che suscita malcontento e anche reazioni forti da parte di commercianti e ristoratori.

Monsignor Paolo Razzauti, amministratore diocesano, invita la città a non rinnegare le sue radici di accoglienza e solidarietà: «Dobbiamo – afferma – aprire gli occhi sulle povertà vecchie e nuove che s’infilano disperate e mute nelle pieghe del nostro territorio, non possiamo permettere come cristiani, come uomini, che possano verificarsi tragedie simili. C’è bisogno di rispetto reciproco, di dono reciproco, e, a livello istituzionale, di un tavolo comune intorno al quale sedersi per trovare insieme soluzioni ai problemi della povertà». E offre il duomo per celebrare i funerali delle quattro piccole vittime.

Caritas e Comunità di S. Egidio da sempre impegnate nell’aiuto ai più deboli, insieme ad altre associazioni di solidarietà, si fanno carico delle famiglie coinvolte. Anche il Santo Padre si interessa personalmente alla vicenda, chiamando al telefono monsignor Razzauti: esprime il suo dolore e la vicinanza alla Chiesa ortodossa Rumena e al popolo dei rom, invita la città a reagire a questa tragedia con «la cultura dell’accoglienza e della solidarietà».

Passano i giorni, la tragedia dei quattro piccoli rom lascia le prime pagine dei giornali, i genitori dei bambini restano in carcere e ancora non c’è la data dei funerali, ma non tutto è dimenticato: nei prossimi giorni in vescovado si riunisce una commissione per affrontare la questione nomadi e prendere i primi provvedimenti. Forse Eva, Mengji, Danchiu e Lenuca non sono morti invano.

I FATTI

Nella notte tra venerdì 10 e sabato 11 agosto sotto un cavalcavia alla periferia di Livorno (località Pian di Rota) scoppia un incendio. I vigili del fuoco intervengono per lo spegnimento del rogo che ha coinvolto una baracca fatiscente e durante la bonifica del terreno si accorgono di quattro corpicini carbonizzati sul luogo dell’incidente.

La polizia livornese indaga su coloro che abitavano la baracca e grazie alle indicazioni dei vicini risalgono all’identità di alcuni rom. I rom vengono individuati e rintracciati dopo due ore dall’incendio alla stazione di Livorno. Dichiarano di essere scappati dal rogo e di non sapere che all’interno erano rimasti i loro figli: Eva, dodici anni, sordomuta, Mengji, quattro anni, autistico, Danchiu e Lenuca di otto e sei anni, rispettivamente tre fratellini ed un’amica. Dichiarano anche di essere stati aggrediti, di aver sentito qualcuno che li minacciava e di aver visto degli uomini che tiravano loro una bottiglia incendiaria e affermano di essere usciti per inseguire gli aggressori.

L’ipotesi non convince gli inquirenti che fermano i quattro rom accusandoli di incendio colposo e abbandono di minori. Dopo due giorni di interrogatori il gip convalida il fermo ed i quattro restano in isolamento al carcere delle Sughere di Livorno per timore che possano allontanarsi da Livorno. Nel frattempo viene predisposta l’autopsia e l’esame del dna sulle vittime. Alcuni giorni dopo, alla redazione livornese de «Il Tirreno» e poi a quella de «La Nazione» arriva una rivendicazione dell’episodio: è un gruppo che si firma «Gape» «Gruppo armato di pulizia etnica»; le forze dell’ordine sequestrano il volantino ma non si pronunciano sulla veridicità della rivendicazione. Intanto si moltiplicano le polemiche sulla «gestione» delle popolazioni rom nelle città ed il dibattito si allarga a tutta l’Europa.