Italia

Sanità. Elisoccorso, in 20 anni 27 incidenti e 22 morti

«In Italia negli ultimi venti anni durante l’attività di elisoccorso si sono verificati 27 incidenti gravi, che hanno portato alla morte di 22 persone e 37 feriti. Mediamente se ne verifica uno all’anno e l’ultimo schianto di un elicottero è avvenuto nel 2017 in Abruzzo, a Campo Felice, in seguito al quale hanno perso la vita sei persone, tra cui anche il medico dell’elicottero». Lo ha affermato Gianluca Facchetti, anestesista del soccorso alpino Cnsas, intervistato dall’agenzia Dire a Roma in occasione del Meeting «Saqure» organizzato dall’Aaroi-Emac. «Nei 27 incidenti gravi presi in esame- ha proseguito Facchetti- nel 52% dei casi l’elicottero è caduto perché ha impattato contro ostacoli (collisioni o cavi) e nel 33% perché non aveva visibilità (succede per esempio in caso di ‘whiteout’, condizione di visibilità azzerata, appunto, dovuta a condizioni meteo precarie e molta neve, ndr). Questi incidenti hanno portato ad un totale di 59 persone coinvolte, di cui 37 feriti e 22 morti (di questi 22, 16 hanno perso la vita durante incidenti causati da mancanza di visibilità e 6 in quelli causati dall’impatto contro un ostacolo)». «La tecnologia però ci viene in aiuto- ha spiegato il dottor Facchetti- Grazie a particolari allestimenti, gli elicotteri possono diventare macchine più sicure. Esistono infatti sistemi anticollisione (li abbiamo già sulle auto, perché non averli anche sugli elicotteri?), di identificazione dei cavi (in alcune regioni italiane, come il Trentino Alto Adige, esiste già una mappatura completa dei cavi), e strumentazioni che consentono un volo in sicurezza in caso di mancanza di visibilità. Sul nuovo elicottero dell’elisoccorso dell’Aquila, per esempio, queste nuove strumentazioni di sicurezza già ci sono».

E proprio per questo, per migliorare sia la sicurezza sia la performance degli elicotteri che prestano soccorso sanitario, circa due anni fa l’Aaroi-Emac ha stipulato un accordo con la Leonardo elicotteri. «Grazie a questa collaborazione- ha spiegato l’anestesista del soccorso alpino Cnsas-  noi medici abbiamo la possibilità di confrontarci con gli ingegneri che progettano i mezzi. E laddove esiste un confronto è sempre un qualcosa di positivo, perché insieme si possono trovare soluzioni migliori a problematiche che da anni affliggono il mondo dell’elisoccorso».

Al Meeting «Saqure» ha partecipato anche Alberto Zoli, considerato il «numero uno» del servizio sanitario di emergenza-urgenza della Lombardia, che a sua volta è un modello di efficienza studiato e preso ad esempio dentro e oltre i confini nazionali. «La Lombardia – ha commentato quindi Facchetti – è una delle regioni, ma non l’unica, a stare più avanti nell’ambito dell’elisoccorso. Mettere l’esperienza del dottor Zoli a disposizione degli altri sistemi è comunque estremamente positivo».

L’anestesista del Cnsas, intanto, era presente come medico del soccorso alpino durante la tragedia di Rigopiano (in Abruzzo) avvenuta a gennaio dello scorso anno, quando una valanga, a seguito delle scosse di terremoto, travolse l’Hotel causando la morte di 29 persone tra clienti e personale della struttura. Furono 11 i superstiti, alcuni dei quali strappati dopo ore alla trappola di macerie, ghiaccio e neve. Così Facchetti ricorda l’evento: «La tragedia di Rigopiano rappresenta un po’ un discorso a parte per la sua eccezionalità- ha detto Facchetti- per trovare valanghe catastrofiche simili, nel nostro Paese, dobbiamo andare indietro fino alla Prima guerra mondiale».

Come tutti i fatti eccezionali, ha raccontato ancora all’agenzia Dire l’anestesista del Cnsas, sono «difficili da gestire dal punto di vista dei soccorsi e in particolar modo dell’elisoccorso. A Rigopiano le condizioni erano pessime: era notte, era inverno e nevicava, e non c’era possibilità di far giungere un elicottero dove serviva. Questo, inevitabilmente, ha significato che i tempi si sono allungati… Basti pensare che gli uomini del soccorso alpino sono potuti arrivare sul posto solo con gli sci il più rapidamente possibile, ma comunque sette/otto ore dopo il verificarsi dell’evento. In merito non abbiamo ancora dati scientifici certi, ma senz’altro quest’allungamento dei tempi non ha giovato alla sopravvivenza delle persone che erano ancora vive sotto alle macerie». Ma come ci si prepara di fronte ad una emergenza/urgenza? «Per il Corpo nazionale del soccorso alpino e speleologico è previsto un iter formativo sia di tipo tecnico sia sanitario – ha concluso infine Facchetti – con esercitazioni su montagne, in grotte e nelle forre. La legge riconosce infatti specifiche scuole nazionali, che durano normalmente un minimo di un anno».